Verso la Grande Coalizione? Il dilemma della SPD
- 11 Dicembre 2017

Verso la Grande Coalizione? Il dilemma della SPD

Scritto da Domenico Romano

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Il voto per il rinnovo del Bundestag tedesco tenutosi il 24 settembre scorso ha portato, anche nel Paese che attualmente è leader in Europa, tutti gli sconvolgimenti che in varia maniera gli Stati europei stanno vivendo oramai da diversi anni. Se il sistema politico dei Paesi a tradizione liberaldemocratica tende in generale a riflettere la situazione della società sottostante, anche la Germania vive una fase di profonda insoddisfazione per lo status quo.

La coalizione governativa uscente, formata dal partito democristiano della Cancelliera Merkel e dai socialdemocratici guidati da qualche mese da Martin Schulz ha perso il 13.2% dei voti[1]. Non si ricorda in nessuna elezione precedente (da dopo la Seconda Guerra Mondiale) un caso di crollo così verticale di una maggioranza uscente. È bene sottolineare, per leggere correttamente questo dato, che vi è stato un innalzamento della partecipazione al voto degli elettori tedeschi di circa 5 punti rispetto al 2013. Il partito del Cancelliere mantiene comunque il ruolo di prima forza del Paese sia nella forma coalizzata con la gemella bavarese della CDU, la CSU, sia come singolo partito avendo raccolto il 26.8% dei consensi.

Lo junior partner della coalizione, la SPD, crolla invece a un livello che rappresenta il peggior risultato dalle elezioni del 1932: il 20% dei voti complessivi, meno di dieci milioni di consensi espressi per le liste del Partito. Guadagnano invece tutti i partiti che non hanno fatto parte della Grande Coalizione, meno di un punto a testa la Sinistra ed i Verdi, quasi 6 punti il Partito liberale, che rientra in Parlamento dopo il disastroso esito delle elezioni del 2013, che l’avevano visto restare sotto la soglia di sbarramento[2]. La vera novità di questa tornata elettorale è il consenso raggiungo da AfD, formazione di stampo nazionalista-conservatore che guadagna oltre 8 punti percentuali e diventa il terzo partito del Paese[3].

La fase post-elettorale è diventata, per la distribuzione dei seggi in Parlamento determinatasi, un puzzle di difficile soluzione. La Merkel ha l’onere di condurre le trattative per la formazione di un governo, essendo impossibile comporne uno senza la presenza del gruppo parlamentare della CDU/CSU. In un primo momento sembrava possibile la formazione di una maggioranza formata dai democristiani, dai liberali e dai verdi, ma nei colloqui esplorativi questi ultimi si sono ritirati perché, come ha dichiarato il loro leader Linder è «meglio non governare che farlo nel modo sbagliato».

A questo punto il Presidente federale, Steinmeier, un socialdemocratico, ha invitato in maniera piuttosto netta anche il suo partito a partecipare a colloqui aperti per sondare la possibilità di dare alla Germania un nuovo governo di Grande Coalizione per la stabilità del Paese. Per la SPD si apre una stagione nuova. Nei primi giorni dopo il voto la leadership del partito, sulla base del pessimo risultato elettorale, aveva scelto la via dell’opposizione, ma a seguito delle pressioni del Capo dello Stato questa decisione è stata parzialmente rivista.

 

La tempesta perfetta sulla SPD

I problemi che affliggono la SPD sono perfettamente simili a quelli affrontati da quasi tutti i partiti socialisti europei nella fase in cui si trova attualmente la politica continentale. Sul partito che fu di Brandt agiscono poderose spinte in varie direzioni, che spingono in definitiva ad accettare l’invito presidenziale, pur mantenendo una formula molto cauta: i “colloqui aperti”. Inoltre, anche se molto sottotraccia, nel partito comincia anche a delinearsi una questione di leadership e in questo contesto i principali esponenti della SPD cominciano a muoversi in vista del prossimo futuro. Il tutto determina una situazione altamente instabile, dove in gioco ci sono niente di meno che le condizioni di esistenza della SPD come partito autonomo e politicamente rilevante per la Germania.

Il quadro delle regole costituzionali tedesche prevede in sostanza quattro opzioni:

  1. la Grande coalizione, cioè la riedizione della maggioranza della precedente legislatura. In questo scenario i due partner della maggioranza discutono ed approvano un programma comune e compongono assieme il Consiglio dei Ministri con esponenti di tutte e due le formazioni politiche.
  2. Governo di minoranza “tollerato”: in questa versione esistono accordi espliciti su alcuni punti (elezione del cancelliere, Bilancio dello stato etc) ma ad andare al governo sarebbe solo la CDU/CSU (forse in alleanza con una forza tra Verdi e Liberali). La SPD si riserverebbe una condotta parlamentare autonoma sui punti non negoziati ed anche su quelli negoziati la concessione sarebbe più sull’assenza di una opposizione ostruzionistica che sulla adesione reale al programma.
  3. Il governo di minoranza in senso stretto: la Merkel viene eletta da una base parlamentare che non ha i numeri per una maggioranza assoluta[4] e la SPD garantisce solamente il fatto che valuterà provvedimento per provvedimento il suo voto. In questo caso manca un accordo esplicito ed anche il voto sul Cancelliere.
  4. Resta infine l’opzione di nuove elezioni al termine di colloqui che non portano ad un esito positivo.

Il dibattito interno ed esterno della SPD su questi scenari si è infiammato subito dopo la rinuncia dei liberali a proseguire i colloqui con la Merkel ed i Verdi.

A favore dell’accordo spingono considerazioni di tre ordini: in primis, la situazione dei deputati SPD. Una nuova corsa elettorale per molti di loro significherebbe una elezione a rischio. Dopo una prestazione così brutta e senza il tempo necessario per poter ridefinire il proprio profilo, sono in molti coloro che pensano che la SPD potrebbe subire ulteriori perdite sia verso AfD sia verso la Sinistra o i Verdi. Questo è stato il vero punto che ha determinato la rottura rispetto alla linea Schulz successiva al voto (SPD all’opposizione) da parte del gruppo parlamentare, vero protagonista del cambio di linea della socialdemocrazia tedesca. In secondo ordine esistono forti spinte, sia tedesche che europee, per mantenere la SPD al Governo. Sono pubbliche le dichiarazioni in cui Schulz ha dichiarato che sia Macron sia il premier greco Tszipras hanno chiesto il massimo degli sforzi per tenere la SPD in coalizione con i democristiani. In questo senso l’opinione di chi sostiene questo ragionamento è che la SPD può svolgere un ruolo di freno alle tendenze di destra ed iper-liberiste presenti dentro la CDU (e sopratutto dentro la bavarese CSU). Vengono inoltre sottolineati gli elementi di stabilità politica necessari a preservare per la Germania il ruolo di pilastro dell’Unione Europea. Infine, si sostiene, il potere relativo della SPD nei confronti della Merkel sarebbe anche maggiore, essendo i numeri ancora più ristretti della volta precedente. La SPD potrebbe quindi chiedere condizioni di partecipazione ancora più stringenti per assicurare la partecipazione al Governo.

I sostenitori della linea del no alla Grande Coalizione argomentano l’opposto: il voto esprime una chiara opposizione da parte dell’elettorato SPD a questa formula di Governo, la SPD non può assolutamente consentire che il ruolo di opposizione alla Merkel venga preso dal gruppo parlamentare di AfD e dei liberali, vi è la necessità di ricucire un rapporto con il proprio elettorato attraverso una fase di opposizione che consenta di ricostruire il partito come candidato credibile a guidare la Germania. In generale i sostenitori del #noGroKo sostengono che la presenza governativa logorerebbe ulteriormente il partito con il rischio di farlo finire in una situazione simile a quella olandese o francese, con i rispettivi partiti socialisti polverizzati dal voto popolare. La presenza della SPD, si sostiene, non sarebbe in grado di ottenere alcunché di utile, perché la crisi non riguarda solo la SPD stessa, ma anche la CDU/CSU insidiata nel ruolo di riferimento privilegiato di una parte della popolazione tedesca da un nuovo partito sulla propria destra (ed anche dai Liberali in splendida forma, per dire la verità). Ci si domanda quindi: quante concessioni può realmente fare la Merkel prima che l’ala destra del suo partito non decida di staccare la spina?

In conclusione è bene aggiungere che la linea “#noGroKo”[5] non è univoca sulla soluzione alternativa, essendo presenti almeno altre tre ipotesi come descritto sopra.

 

Il Congresso della SPD e le decisioni

Archiviato il rifiuto preventivo di qualsiasi colloquio sulla spinta del gruppo parlamentare, la SPD si è riunita a Congresso a Berlino. All’ordine del giorno vi erano l’elezione del leader, l’elezione dei vice Presidenti, e il voto sulle mozioni, delle quali la più importante era relativa all’autorizzazione da dare al leader del Partito a partecipare a colloqui aperti con le altre formazioni politiche.

Il Congresso si è svolto in un clima decisamente partecipato ed è stato preceduto da un dibattito pubblico piuttosto vivace tra i vari leader del Partito. Nel frattempo si sono svolte anche le elezioni regionali nella Bassa Sassonia, che hanno confermato la guida della SPD in quella Regione (un fortino dei socialdemocratici[6]). Il focus del dibattito è stato centrato ovviamente sul pessimo risultato del voto, rispetto al quale sono state messe in campo diverse interpretazioni. Interessanti, per la provenienza, le considerazioni del Vice Premier e ministro degli Esteri Gabriel (nonché leader della SPD prima di Schulz). In un intervento in cui ha cercato di tenere assieme le ragioni della prosecuzione della GroKo con un’autocritica, Gabriel ha sostanzialmente individuato il problema centrale nella linea di comunicazione tenuta verso i tedeschi. Secondo il vice premier tedesco la SPD non è stata abbastanza brava a mettere in luce i provvedimenti di carattere sociale ed a favore dei lavoratori ottenuti con la GroKo 2013-2017, mentre si sarebbe concentrata troppo sui provvedimenti relativi a “temi liberali e dei Verdi”. In linea di massima tutto il gruppo dirigente, compresa la sinistra interna, sembra condividere la necessità di evitare elezioni a breve. Molto più complicata è l’articolazione delle posizioni interne riguardo al tipo di maggioranza da costruire. Schulz, oltre a prendere su di sé il peso e la responsabilità del pessimo risultato, ha chiesto un mandato per una discussione aperta con gli altri partiti, promettendo che saranno poi gli iscritti del Partito a decidere se accettare o meno la proposta che la Direzione della SPD formulerà. Ha richiesto che il partito si rinnovi profondamente, che si prepari a tutti i possibili dibattiti ed ha promesso impegni in questa direzione.  Sul fronte della politica estera Schulz ha fatto una proposta molto forte sulla necessità di proporre un trattato di trasformazione dell’Ue in una struttura pienamente federale entro il 2025 con ratifica affidata al voto popolare in ognuno dei Paesi interessati[7].

Arrivati al dunque, il Congresso presentava tre elementi di interesse: il voto su Schulz, il voto sui vice Presidenti del Partito e il voto sull’autorizzazione a tenere colloqui aperti alla leadership della SPD. Sul primo fronte Schulz è stato rieletto leader, ma con un crollo del 20% dei consensi rispetto all’unanimità che aveva ottenuto qualche mese prima; il voto dei Vice Presidenti invece misura storicamente i rapporti di forza tra le aree del partito, che sostanzialmente si contano su questo ruolo. I nuovi Vice Presidenti sono tutti personaggi di spicco della SPD attuale e potenzialmente dei candidati alla sostituzione di Schulz. In particolare c’è da segnalare che due dei sei vice presidenti hanno ottenuto nel voto una percentuale di consensi superiore a quella di Schulz[8]. Sulla questione delle coalizioni il ruolo di promotori del fronte del no è stato assunto dagli Jusos, l’organizzazione giovanile della SPD, che ha presentato una mozione per escludere la GroKo dai possibili esiti dei colloqui. La mozione è stata respinta e quindi la SPD ha approvato la linea Schulz, che prevede di fare dei colloqui con gli altri partiti, l’elaborazione di una proposta e poi il voto degli iscritti sulla proposta stessa. Si conclude così il Congresso della SPD, che determina una condizione di equilibrio apparente e sposta sulle spalle degli iscritti la decisione sul futuro del partito.

Qualsiasi decisione prenderà la SPD, sarà molto rilevante per il futuro degli schieramenti politici tedeschi ed anche ben oltre la Germania. A voler vedere il bicchiere parzialmente pieno questo elemento è l’unica carta rimasta in mano ai socialdemocratici dopo una prova elettorale letteralmente da incubo. Da una propria decisione e da un proprio dibattito dipende ancora l’orientamento di scelte importanti per il partito stesso e per la Germania. Non è poco considerando che il voto ha già brutalmente cancellato alcuni storici partiti socialisti europei, non tanto per il fatto di essere tornati all’opposizione ma perché sono stati spodestati anche dal ruolo di prima forza dell’opposizione. Le speranze di non diventare un partito “inutile” o “succedaneo” risiedono tutte nel fatto che i dirigenti e gli iscritti socialdemocratici non sbaglino la strada in queste settimane.


[1] Il calcolo sui seggi in questo caso non è fattibile perché il Bundestag per effetto delle disposizioni costituzionali tedesche non ha un numero fisso di deputati e proprio in questa occasione il numero totale è schizzato fino ad oltre 700 membri totali.

[2] In Germania è al 5%.

[3] https://en.wikipedia.org/wiki/German_federal_election,_2017

[4] È un meccanismo possibile per le regole costituzionali tedesche

[5] Hashtag con cui si è sviluppato il dibattito su Twitter nei giorni della riapertura della SPD ai colloqui.

[6] https://en.wikipedia.org/wiki/Lower_Saxony_state_election,_2017

[7] https://www.spd.de/fileadmin/Dokumente/Reden/20171207_Rede_Schulz.pdf (relazione in tedesco di Schulz al Congresso SPD)

[8] https://www.spd.de/partei/bundesparteitag-2017/

Scritto da
Domenico Romano

Nato nel 1984 a Roma. Laureato in Scienze Politiche presso l’Università La Sapienza. Ha studiato sopratutto i sistemi politici istituzionali anglosassoni ed i partiti politici europei ed americani.

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