Scritto da Federico Perini
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Approvato nel luglio 2020 dal Consiglio europeo, il Next Generation EU (NGEU) è attualmente lo strumento più efficace attraverso cui l’Italia può cogliere l’opportunità di modernizzare in modo sostenibile la propria economia. Per accedere ai circa 191 miliardi di contributi destinati a tale scopo, il nostro Paese ha elaborato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), nel quale il tema delle «infrastrutture per una mobilità sostenibile» occupa un posto di primo piano. Infatti, se si prende in esame la «Missione 3» del documento programmatico[1], è possibile osservare come ben 24,77 miliardi di euro siano destinati a «investimenti» che coinvolgono il potenziamento della rete ferroviaria nazionale. Per comprendere l’importanza di tale asset strategico non solo per l’Italia, bensì anche per l’Europa, è indispensabile notare come il 2021 sia stato designato dal Parlamento europeo quale «anno europeo delle ferrovie». Riprendendo quanto attestato dal «web magazine sulle politiche di coesione» Cohesion, ciò è stato possibile poiché la «crisi Covid-19 ha mostrato come le reti ferroviarie», oltre a «migliorare la congestione del traffico e l’inquinamento atmosferico», possano «assicurare un trasporto rapido di beni essenziali»[2].
Se si considera un simile quadro economico, politico e ambientale, che intreccia la prospettiva europea con quella di una auspicata modernizzazione nazionale, si comprende l’importanza del dibattito promosso dal Forum Disuguaglianze e Diversità il 14 ottobre 2021. Introdotto dal Coordinatore del Forum Fabrizio Barca e moderato dal professor Gianfranco Viesti, l’incontro ha avuto come partecipanti: Giuseppe Catalano, del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (MIMS); Vera Fiorani, amministratrice delegata di Rete Ferroviaria Italiana; Paolo Beria, docente di Economia e Pianificazione dei Trasporti presso il Politecnico di Milano; Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente; Enrico Giovannini, Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili.
Nel presentare la ragion d’essere del dibattito, nonché i temi trattati, occorre innanzitutto osservare come il grande merito dell’incontro sia stato quello di invitare relatori che, per la loro eterogeneità e competenza professionale, hanno saputo inquadrare il tema degli investimenti ferroviari nel Sud Italia in modo tale da fornire anche ai meno esperti una panoramica chiara e completa della questione. Infatti, il confronto generato dai vari interventi ha saputo mettere in luce non soltanto gli aspetti finanziari e progettuali dell’Alta Velocità calabrese, bensì anche le dimensioni sociali.
È dunque con questo spirito che nelle loro introduzioni, sia Barca che Viesti, hanno sottolineato come parlare di tale argomento significa discutere sull’utilizzo dei circa 10 miliardi di fondi statali ed europei dedicati alla realizzazione della tratta Battipaglia-Praja-Tarsia: la prima destinata ad essere messa in cantiere in seguito alla presentazione ufficiale del progetto alla fine di questo novembre. Una cifra imponente, che considerando il delicato contesto socio-economico per cui è stata stanziata, deve far sorgere un interrogativo essenziale, attorno al quale il Forum ha, con successo, incardinato il dibattito: «è la scelta migliore tale investimento?»
Il primo a tentare di rispondere è stato Giuseppe Catalano, il quale ha subito posto l’accento sulla necessità di includere nella discussione pubblica sia le questioni propriamente tecniche sia quelle politiche. Classificando il suo come un «intervento metodologico» infatti, egli ha osservato come la questione dell’Alta Velocità tra Salerno e Reggio Calabria costituisca un problema che risulta essere soltanto un tassello in quella annosa questione che è la modernizzazione del Mezzogiorno italiano. Rintracciando delle analogie con l’analisi storica proposta da Guido Pescosolido[3], è interessante osservare come per Catalano, l’opportunità fornita dal PNRR debba rispondere, oltre che alla risoluzione di problematiche contingenti, alla pianificazione di una «strategia di sviluppo» sul lungo periodo capace di attuare la «perequazione» infrastrutturale non soltanto tra Nord e Sud del Paese, ma anche tra l’Est e l’Ovest: una discrepanza quest’ultima, che negli ultimi anni è andata sempre più acuendosi. Inoltre, includendo la valorizzazione del Sud nel più vasto contesto geo-economico mediterraneo, è possibile notare come egli consideri l’ampliamento della rete ferroviaria destinata al trasporto di persone e di merci in una prospettiva tipicamente euro-africana. Infatti, secondo il collaboratore del MIMS, occorre concepire l’Africa non come un continente «esportatore di esseri umani», bensì come un’area «esportatrice» e importatrice di merci dalla rilevanza strategica per l’Italia. Una prospettiva per la quale il nostro Paese deve impegnarsi con tutte le sue energie per instaurare un proficuo «dialogo» economico e culturale con gli Stati africani[4]. Se si analizzano tali considerazioni con la lente d’ingrandimento dello storico, è interessante notare come sia sopravvissuta fino ai giorni nostri la prospettiva di modernizzazione meridionale già proposta da Don Luigi Sturzo nel 1923. Secondo il religioso calatino infatti, nello stesso modo con cui l’«alta Italia» aveva trovato la propria «zona naturale di commercio e di comunicazioni» collegandosi con l’Europa continentale, il Mezzogiorno avrebbe dovuto valorizzare la «zona» mediterranea, sfruttando il proprio ruolo di «ponte gettato dalla natura» tra Europa e Africa per costruire un «centro economico e civile […] adatto allo sviluppo di forze produttive e commerciali»[5].
Spostando l’attenzione sulle questioni tecnico-economiche, il dibattito è proseguito con l’intervento dell’AD di RFI Vera Fiorani, la quale ha efficacemente esposto il complesso iter progettuale grazie al quale si è arrivati a individuare nel “percorso autostradale”, quello maggiormente idoneo alla costruzione della nuova tratta ad alta velocità. Infatti, tra le altre quattro opzioni (tirrenica, ionica, autostradale/ionica e autostradale/tirrenica), quella autostradale si è rivelata essere la migliore, poiché permetterebbe l’accesso all’infrastruttura al maggior numero di comuni possibili senza pregiudicare territori idrogeologicamente fragili come il Parco Nazionale del Cilento. Un approccio questo, attraverso cui RFI ha dimostrato una notevole attenzione alla necessità sociale non tanto di utilizzare l’alta velocità, quanto di poterla raggiungere. A tal proposito, parallelamente alla realizzazione dei «lotti 1 e 2» (Battipaglia-Praja e Praja AT-Tarsia), sarà affiancata un’opera di miglioramento della linea esistente e dei servizi offerti da essa. Inoltre, sarà avviata la costruzione della Galleria Santomarco, un progetto indispensabile al fine di mettere in comunicazione la parte tirrenica con quella ionica della regione.
Successivamente ai due interventi di carattere tecnico, è stato Paolo Beria a inquadrare il confronto dal punto di vista dell’«utenza», la quale risulta statisticamente più interessata ai «servizi» offerti dalla nuova linea rispetto al progetto in sé. Criticando notevolmente la posizione del Ministero e di RFI, il professore del Politecnico di Milano ha sostenuto come una «AV classica non serve» alla Calabria e al Sud Italia, poiché non sono presenti sul territorio delle vere e proprie «metropoli da collegare». Quello che la realizzazione del progetto comporterebbe infatti, sarebbe secondo Beria la creazione di numerosi «effetti Modena», ovvero di situazioni in cui tante realtà importanti per il territorio si troverebbero senza un accesso diretto alla tratta. Un dilemma inquadrato anche dal Ministro Giovannini, il quale ha tuttavia sottolineato come, se si moltiplicassero le fermate in modo tale da toccare ogni centro abitato di media grandezza, la linea perderebbe il proprio status di Alta Velocità, poiché non farebbe nemmeno in tempo a raggiungerla. Di contro a tale tesi, nuovamente Beria ha sottolineato come l’inefficienza della rete ferroviaria calabrese non dipenda da una saturazione del traffico ferroviario o da tempi di percorrenza così eccessivi da giustificare la costruzione di una Alta Velocità, quanto da una assenza di «servizi». Infatti, per essere collegati, molti territori possono contare solo su una manciata di treni giornalieri. Tale situazione inoltre, determinerebbe, per l’ingegnere del Polimi, l’attuale situazione per cui si riscontra tra i cittadini una scarsa domanda della componente “treno” (sia AV che convenzionale).
Dello stesso carattere è stato l’intervento di Edoardo Zanchini, il quale, affermando come la «prospettiva di Beria» fosse la più «convincente», ha evidenziato come la soluzione migliore per lo scenario calabrese sarebbe quella del potenziamento sia della rete ferroviaria attuale sia dei servizi offerti da essa. In questo modo, aree come quella del Cilento, apparentemente escluse dal percorso della linea AV, vedrebbero tutelati i propri interessi turistici e di mobilità.
Quale soluzione dunque per collegare efficacemente la Calabria con il Sud e con il resto del Paese? Sarebbe più opportuno dare priorità al potenziamento delle linee esistenti o alla costruzione della linea AV tra Salerno e Reggio Calabria? Inoltre, come rapportarsi all’attuale scarsa domanda di Alta Velocità presente tra la popolazione? Può la creazione ex nihilo dell’Alta Velocità aumentare, se non generare la domanda di tale servizio? Secondo il Ministro Giovannini sì. Infatti, sostenendo come in un caso simile sia l’«offerta» che crea la «domanda», egli ha sottolineato come il governo, attraverso il PNRR, debba necessariamente adoperarsi per equiparare le infrastrutture del Meridione a quelle del resto del Paese. Invece, sia Beria che Zanchini, riproponendo una querelle classica dell’economia politica, hanno evidenziato come l’offerta «può» creare la domanda; e può crearla solo se si potenziano i «servizi». Dunque, se si ammette tale scenario, in cui è la qualità del «servizio» a generare la «domanda», è possibile osservare come per entrambi vi sia la necessità di scindere la questione dalla «logica di mercato», per la quale, a fronte della attuale scarsa domanda, non sarebbe opportuno aumentare quei servizi necessari a generare un circolo virtuoso di domanda e offerta. Giovannini ha inoltre sottolineato come al Ministero si stia «provando ad avere un approccio organico con una visione non puramente trasportistica, ma di sviluppo complessivo. Per questo è importante sottolineare che il PNRR e il Fondo Complementare non sono solo Alta Velocità, ma riguardano un investimento per il Mezzogiorno molto più ampio».
Così delineata, tale dialettica non è stata portata a una sintesi dall’incontro. Ragion per cui, scrivere che la discussione ha avuto una “conclusione” può risultare fuorviante, poiché non permetterebbe di individuarne il reale significato. Infatti, se si considera la profondità e la pertinenza delle osservazioni economico-politiche compiute, è possibile apprezzare come il Forum Disuguaglianze e Diversità abbia raggiunto con successo l’obiettivo che si era predisposto, ovvero inaugurare quel dibattito pubblico, informato e democratico quanto mai essenziale per dipanare e risolvere criticamente le delicate questioni che si annodano attorno alla modernizzazione ferroviaria calabrese e nazionale. Un primo passo dunque, al quale ci si augura ne seguiranno numerosi altri.
[1] Si rimanda al testo del PNRR: Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pp. 153-159.
[2] Si rimanda a: «COHESION», Giugno_2021, p. 23.
[3] Per approfondire: Guido Pescosolido, La questione meridionale in breve. Centocinquant’anni di storia, Donzelli, Roma 2017.
[4] Su questo tema ha ragionato su «pandorarivista.it» Alberto Bortolotti: Il costo dell’attesa. La politica infrastrutturale italiana nello scenario geopolitico internazionale.
[5] Luigi Sturzo, Il Mezzogiorno e la politica italiana, in L. Sturzo, Il Partito Popolare Italiano: dall’idea al fatto (1919), riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2003, p. 323.