Recensione a: Carlo Galli, Ideologia, il Mulino, Bologna 2022, pp. 168, euro 13 (scheda libro)
Scritto da Silvestre Gristina
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«Questioni ideologiche. Quel che ci vuole per lei, giovane amico!»
Robert Musil, L’uomo senza qualità
«Di questa gonfia ideologia oggi ne abbiamo fin sopra i capelli»
Robert Musil, L’uomo senza qualità
Nel paragrafo 81 de L’uomo senza qualità, Robert Musil ci fa assistere ad una conversazione tra il Conte Leinsdorf, vecchio conservatore e promotore della cosiddetta “Azione parallela”, e il protagonista Ulrich. Nel suo palazzo, il Conte «si pronuncia sulla “Realpolitik”» e, propagandando l’«ideologia anti-ideologica» di matrice bismarckiana, afferma: «Lei dovrebbe riflettere sul fatto che la politica ideologica non ha mai condotto a nulla di buono; noi dobbiamo fare della Realpolitik. Io non esito a dire che le tendenze eccessivamente spiritualistiche dell’ambiente di sua cugina sono alquanto pericolose». In questo breve dialogo, Musil offre una rappresentazione esemplare della produzione e del funzionamento del discorso ideologico: l’ideologia realpolitische della «necessità pratica» fa appello alla concretezza, all’efficacia e alla razionalità della propria dottrina per denunciare la natura ideologica delle «tendenze eccessivamente spiritualistiche» dell’ambiente di Diotima. In generale, si potrebbe dire che l’opera musiliana e il suo protagonista siano un esercizio di ironica esibizione e destrutturazione dell’ideologia, come macrocategoria, e delle molteplici ideologie nate in relazione alla crisi dell’Impero Austro-Ungarico e all’inizio della Prima guerra mondiale.
Il caso specifico del discorso del Conte Leinsdorf esibisce performativamente alcuni dei tratti principali che Carlo Galli, nel suo volume Ideologia (il Mulino 2022), sostiene caratterizzino la struttura dell’ideologia: il fatto di essere contraddizione dialettica, di necessitare di un’alterità polemica e negativa per affermarsi in termini dottrinari e di essere una risposta politica alla crisi. In questo senso, la Realpolitik di Leinsdorf, nel criticare la politica ideologica del “sentimento” e delle “idee”, non farebbe altro che proporre un altro modello ideologico, la cui costellazione concettuale s’impernia intorno ai nuclei dell’ “interesse” e del “realismo”. Il volume di Galli si propone di indagare «in chiave politica» (p. 11) la genesi e la struttura dell’ideologia – più che i suoi specifici contenuti – attraverso una sua indagine genealogica (p. 19), al fine di chiarirne il funzionamento e porre le condizioni per il riconoscimento e l’analisi dei discorsi ideologici attivi nel nostro tempo.
Nel primo dei quattro capitoli del volume, Alcune domande, per iniziare, l’autore prende avvio dal «caso più estremo» (p. 7) Goebbels, per fornire le coordinate categoriali che definiscono il discorso ideologico. Viene messa subito in rilievo la natura intrinsecamente contraddittoria dell’ideologia, che si propone di operare come principio rischiaratore, ma al contempo offusca, restringe lo sguardo; che si pone come istanza critica, ma tende alla dogmatizzazione dei propri contenuti; che, pur essendo parziale, pretende di valere come principio ordinativo integrale. In questo consiste, secondo Galli, l’essere “contraddizione” dell’ideologia come discorso impiegato dal potere politico e, in particolare, nella modernità, dallo Stato moderno, per chiarire e organizzare la vita collettiva. Per questa ragione, il dispositivo di produzione e consolidamento dell’ideologia si attiva in momenti di crisi politica e politico-teorica, come tentativo di ricomporre e dar senso ad una realtà frammentata: la crisi diventa il kantiano Kampfplatz sullo sfondo del quale le ideologie si definiscono in attrito reciproco.
Come nel caso esemplare del Conte Leinsdorf, l’ideologia si presenta come “dottrina” o “scienza” e definisce polemicamente “ideologico” qualsiasi altro pensiero politico. Galli mostra come il “nemico” sia una parte strutturale dell’ideologia. Questa ha, infatti, bisogno dell’Altro come contraltare polemico ed esempio di non-scientificità, rispetto al quale definire i criteri e la coerenza del proprio sapere pratico. Se l’ideologia è articolazione e configurazione di senso nella crisi, infatti, non può che presentarsi effettivamente come «veicolo della prassi, mediazione tra il presente e il futuro» (p. 17), un operatore di ricomposizione armonica di un presente disorganico. Tuttavia, il caso “musiliano” non ci dà solo la possibilità di vedere in funzione l’ideologia, ma pone anche il problema di come si possa svolgere un una riflessione non-ideologica su di essa, per rilevarne le strutture e smascherarne le pretese di assolutezza. Rispetto a questo problema, Galli convoca quell’«ideologia certa di sé» (p. 18) che è la filosofia, con la sua capacità genealogica e critica. Infatti, «poiché l’ideologia ha uno spessore concreto e storico, la più risolutiva chiave per individuarne l’essenza sta nella genealogia, cioè nel comprendere quando e perché il pensiero politico abbia assunto la forma dell’ideologia» (p. 19). Solo in questo modo, secondo Galli, sarebbe possibile individuare l’origine dell’ideologia, rilevare le variazioni di modalità con le quali le ideologie si danno oggi e assumere l’ideologia non come una «parola controtempo, un anacronismo, un concetto inattuale, desueto» (p. 25), ma come la «verità conclamata del nostro tempo» (Ivi).
Nel secondo capitolo, Ideologia e definizioni, viene presentata una galleria storica di definizioni e modelli di concettualizzazione dell’ideologia, al fine di mostrarne il carattere contraddittorio e il suo nesso strutturale con il potere. Galli colloca l’«inizio della vita cosciente dell’ideologia» (p. 26) nel proposito di Destutt de Tracy di fare una ideo-logia, una scienza delle idee, finalizzata ad un loro rischiaramento, e nella risposta di Napoleone, che accusò gli idéologues di aver progettato di fondare la società e lo Stato su una pseudo-scienza e non sulla concretezza passionale dei popoli. In seguito, l’autore presenta la celebre definizione marxiano-engelsiana di ideologia, così come viene presentata ne L’ideologia tedesca (1845-46). Per Marx ed Engels, l’ideologia è una costellazione di rappresentazioni (Vorstellungen) astratte, che condizionano materialmente la vita della società, giustificando lo stato di cose esistente e legittimando un determinato assetto economico e politico. Per gli autori de L’ideologia tedesca, scrive Galli, l’ideologia «non è tanto segno del distacco del pensiero dalla realtà – semmai di un’eccessiva adesione ad essa – quanto invece segnala il distacco del pensiero dalla propria origine, che gli resta impensata come un punto cieco» (pp. 32-33). Rispetto a questo schiacciamento del pensiero sull’esistente, il pensiero critico deve “situarsi” e assumere uno sguardo – quello del proletariato – che, pur essendo “parziale”, ha la pretesa di poter cogliere la verità oggettiva del Tutto. Questo posizionamento critico avrebbe la funzione di creare una sfasatura tra pensiero e realtà, rivelando i rapporti materiali come origine delle rappresentazioni ideologiche.
A questa definizione, Galli fa seguire la “risposta” della prima teoria dell’elitè di Mosca e Pareto, cominciando a chiarire una delle linee interpretative che guidano la sua ricostruzione genealogica dell’ideologia, ovvero la genesi dialettica e polemica degli apparati ideologici. Mosca e Pareto negano, infatti, qualsiasi superiorità all’ideologia socialista. Secondo Mosca, l’ideologia sarebbe il mezzo generale tramite cui l’essere umano risponde al suo bisogno di obbedire ad idee e non a persone. Si tratta di una visione positivistica, antidialettica e antisocialista, per la quale l’ideologia non avrebbe le caratteristiche della “falsa coscienza”, ma sarebbe piuttosto da assumere come il veicolo di legittimazione di potere. Per Pareto, infatti, l’ideologia assumerebbe la funzione di arma di un’élite contro un’altra, utilizzata per mediare tra potere politico e psicologia individuale e sociale, per incanalare l’agire degli esseri umani.
Secondo Galli, un caso che si allontana tanto dal modello marxiano, quanto da quello positivista di Pareto e Mosca, è invece quello di Mannheim e della sociologia della conoscenza. Secondo Mannheim, l’ideologia è un fenomeno generale proprio del modo di essere dei gruppi umani, che si manifesterebbe in epoche di crisi e di conflitto politico, come dispositivo di stabilizzazione. In questo senso, l’ideologia non avrebbe un rapporto privilegiato con il capitalismo, ma sarebbe legata in termini più generali all’origine e al condizionamento del pensiero. Questo implica una riflessione sul rapporto tra pensiero e contingenza storica, sull’emergere e il mutare dei concetti politici da cui le ideologie sono formate. Rispetto a questa definizione del problema, Galli fa anche riferimento al pensiero di Freeden, per il quale l’ideologia sarebbe l’intelaiatura grammaticale nell’ambito della quale i concetti vengono organizzati per un fine politico. In generale, queste prime definizioni del fenomeno ideologico sono accomunate dalla convinzione che l’ideologia serva come strumento di affermazione politica di un soggetto parziale.
Tuttavia, già nel corso dell’Ottocento si assiste all’emergere di altre interpretazioni, che vedono l’ideologia, non tanto come mezzo di azione e veicolazione di prassi, ma come dispositivo di inibizione e coazione. In questa accezione, l’ideologia non sarebbe qualificata come espressione di una “parte” ma di un Tutto, di un’alienazione universale e astorica che satura la vita degli esseri umani. Per Galli, in questo caso, l’ideologia viene considerata «la bolla metafisica, onto-teologica e gnoseologica, pratica e linguistica, in cui vive l’umanità occidentale da Platone in poi, ossia l’immensa finzione del raddoppiamento del mondo» nella quale «l’aspetto della critica viene meno, e resta quello della giustificazione dell’esistente» (pp. 44-45). L’autore indica il pensiero di Nietzsche come l’elaborazione concettuale nella quale questo modello interpretativo trova l’espressione più chiara. Nietzsche retrodata l’ideologia a prima della modernità e la considera l’universale piano di raddoppiamento del mondo, inteso come prezzo che l’occidente ha dovuto pagare per entrare nella civiltà. In questo senso, l’ideologia non avrebbe un connotato politico, ma ontologico ed esistenziale. Nel solco di questa tradizione, Galli fa seguire la definizione di Heidegger, per il quale l’ideologia sarebbe una rappresentazione generale dell’essere che trionfa nel moderno e trasforma il mondo in materia calcolabile, malleabile e organizzabile dal pensiero tecnico. Allo stesso modo, a questo filone interpretativo viene accostato Derrida, che assume l’ideologia come la struttura autoritaria, gerarchica e oppositiva dentro la quale si è costruita l’intera filosofia occidentale.
A questo punto, Galli discute delle definizioni di ideologia fornite da autori e autrici che, per quanto non dipendenti dalla matrice nietzscheana, intendono il piano ideologico come totalizzante. Secondo Arendt, ad esempio, l’ideologia sarebbe letteralmente “logica dell’idea”, ovvero la schematizzazione logico-dimostrativa della realtà materiale secondo le coordinate formali di un’idea astratta. Da questo deriverebbe una metafisica logica coercitiva, in grado di causare la perdita del mondo e l’inibizione delle pratiche umane, rispetto alla quale – secondo Arendt – proprio nuove pratiche comunicative interumane sarebbero l’unica riserva di libertà possibile. A questa posizione, secondo Galli, sarebbe accostabile la definizione di ideologia fornita da Voegelin. Pur rovesciando il punto di partenza arendtiano, Voegelin arriverebbe, infatti, alla stessa conclusione arendtiana. L’ideologia non sarebbe una metafisica, quanto piuttosto un radicale venir meno della metafisica, foriero però delle stesse conseguenze alienanti. L’ideologia viene così definita come la chiusura del mondo su se stesso, la chiusura alla trascendenza e la conseguente semplificazione del mondo. Per Weber, invece, l’ideologia è il risultato dell’azione disincantante-reincantante dei puritani, che hanno prima demistificato il mondo e poi lo hanno rivestito di un nuovo Weltbild, dando prima forma a quella soggettività libera e contemporaneamente asservita che avrebbe caratterizzato l’individuo liberale borghese.
Anche per Schmitt – scrive Galli – l’ideologia sarebbe la produzione di una seconda realtà che impedisce di cogliere quella vera. Per il giurista tedesco, «l’ideologia – il “quadro metafisico” che un’epoca si costruisce per interpretare la propria esistenza politica – è l’accompagnamento dei processi politici e sociali moderni, per comprenderli in modo pacifico e razionale» (p. 53). Tuttavia, questa è anche portatrice di polemicità, in quanto interesse di parte che si manifesta come universale, per il quale tutto ciò che risulta difforme dalla razionalità liberale e democratica viene squalificato come irrazionale e contrario alla pace.
Galli dedica poi delle pagine ad alcune definizioni “marxiste” di ideologia, che oscillano tra una valenza determinata e una totale dell’ideologia. Per Gramsci, l’ideologia è essenziale per costruire il terreno sociopolitico su cui si muovono gli esseri umani. Questa è un dispositivo fondamentale per organizzare le masse, motivo per il quale anche il socialismo sarebbe chiamato a produrne una all’altezza della lotta egemonica contro la borghesia. Si tratta, secondo Galli, di qualcosa di simile alla funzione del mito politico soreliano. Per Gramsci, in altri termini, l’ideologia sarebbe una pratica intrascendibile di parte, fondamentale per veicolare un uso pratico della filosofia. In questo gruppo di definizioni dell’ideologia, Galli fa rientrare Adorno, per il quale l’ideologia si manifesterebbe come un piano intrascendibile di saturazione degli spazi di azione. Questa intrascendibilità è, per il filosofo francofortese, una radicale chiusura e la legittimazione acritica dell’esistente, inteso come ovvio e naturale, «un’unica mega-ideologia strutturale che coincide con il reale» (p. 59). La sezione “marxista” si chiude con Althusser, che mette lucidamente a tema la linea di demarcazione fra ideologia e scienza. Per Althusser, l’ideologia non riflette e non giustifica la propria genesi, ma lavora come un dispositivo materiale che interpella soggetti, li irreggimenta e li organizza. L’effetto onnicomprensivo dell’ideologia è, infatti, quello di bloccare e inibire la dialettica marxiana, impedendo di conseguenza una ricostruzione critico-genetica del piano ideologico e una fluidificazione delle sue ipostatizzazioni alienanti.
Al termine di questa ricognizione delle definizioni di ideologia, Galli fornisce una sintesi delle coordinate dell’ideologia, mostrandone ancora una volta la struttura contraddittoria. Nell’ideologia, infatti, risulta chiaro che «c’è tanto la parzialità quanto la totalità, tanto la critica quanto il conformismo, tanto l’azione quanto la coazione» (p. 63). Risulta altresì evidente «che con l’ideologia si può tanto fare realmente qualcosa quanto che dentro di essa non si può fare nulla. Che il soggetto in essa vive e muore, ossia che senza di essa sarebbe libero ma anche che fuori di essa non esisterebbe. La contraddittorietà della nozione rispecchia, dell’ideologia, la complessità dei percorsi storici materiali e la problematicità dell’origine» (Ivi). Per queste ragioni, secondo Galli, la comprensione dell’ideologia non può essere puramente formale, ma deve essere agita tramite una genealogia. In questo tema emerge chiaramente il valore “pratico” del libro di Galli, che nel decostruire la nozione di ideologia, facendone una storia critica, comincia a funzionare come strumento di trasmissione della filosofia al piano della realtà materiale, come dispositivo di allentamento della tensione teorica dell’ideologia e di intervento individuante e critico.
Nel terzo capitolo, Ideologie: genealogia e storia, Galli afferma che le caratteristiche fondamentali dell’ideologia si debbano ricercare nella sua origine epocale. Infatti, «attraverso un’analisi dei percorsi storici delle ideologie si scopre che queste esprimono una coazione all’ordine che è immanente alla modernità, l’epoca dell’ordine perduto e necessario. Il che significa che qui si vogliono spiegare le ideologie con la modernità, e non la modernità con le ideologie: queste sono un prodotto di quella, ne sono un fondamentale lato intellettuale, ma non ne esauriscono la complessità» (pp. 65-66). Come si è anticipato, secondo Galli, l’ideologia intrattiene un rapporto intimo con la crisi e la modernità è l’epoca nella quale le crisi acquisiscono carattere essenziale. Per rintracciare l’origine delle ideologie, Galli risale a quella «crisi dei fondamenti e dell’autorità» che ha segnato l’inizio dell’epoca moderna, seguendo tre traiettorie. La prima è la crisi dell’autointerpretazione cristiana dell’Occidente, per cui Dio – prima fondamento unitario, garante della pace – diventa la ragione del conflitto. La seconda è il formarsi della scienza moderna come tentativo di ri-fondazione, con il conseguente emergere di un soggetto che vuole essere in grado di decifrare le leggi del mondo naturale e del mondo storico. Con la scienza moderna nasce anche la critica dell’ideologia, che designa la tradizione in generale, tutto il sapere fondato su presupposti non giustificati scientificamente (basti pensare alle filosofie di Descartes e Hobbes). La terza è l’ascesa della borghesia, lo strutturarsi del capitalismo e l’autonomizzarsi delle logiche di mercato dallo Stato.
Dopo aver tracciato questi vettori della crisi, Galli mostra come il razionalismo moderno si erga a sapere capace di far fronte alla criticità di un’epoca sfibrata dalla perdita del fondamento. Nell’Illuminismo, la ragione umana diventa la nuova ideologia in grado di ricomporre una realtà che sembra frammentata. Tuttavia, nell’interagire con il piano striato della crisi, la ragione si rifrange e si ramifica in diverse ideologie, che si presentano come «le vie e gli strumenti attraverso i quali diverse e conflittuali forze politiche e sociali producono diversi tentativi di interpretare la grande crisi moderna, di ricucire, rinnovandone le forme, il nesso fra individuo, Stato e società, libertà e ordine. […] Le ideologie in fondo sono teorie della giustizia» (pp. 76-77). In questo senso, la Rivoluzione francese è una fucina di ideologie, nella quale si sperimentano nuove traiettorie di fuoriuscita politica dalla crisi, che entrano in conflitto sia tra rivoluzionari, sia tra rivoluzionari e controrivoluzionari. Rispetto a questo proliferare di prospettive, Galli dà rilievo alla figura di Hegel, il quale prova ad affermare un razionalismo dialettico, che prevede di dominare le forme unilaterali e parziali, tramite il loro superamento in un Tutto-intero, che – tuttavia – sarebbe stato a sua volta giudicato parziale e ideologico dai giovani hegeliani e da Marx, in quanto puramente speculativo e distaccato dall’Intero materiale.
Questo susseguirsi di accuse di ideologia, mostra – secondo Galli – da un lato, la natura di incompletezza dell’ideologia, che deriverebbe dall’incompletezza dell’epoca moderna; dall’altro, il rapporto tra la tensione dell’ideologico verso la verità e il bisogno epocale di ordine. Per comprendere l’ideologia è quindi necessaria un’analisi genealogica complessa. In questo senso, «un’ideologia in senso genealogico-epocale è un progetto polemico […] di ordine oggettivo, giusto. Ovvero, è una forma della tensione moderna fra insurrezione e costituzione. […] Ed è anche un precario e instabile equilibrio fra apertura e chiusura, fra libertà e dominio. La complessità e la contraddittorietà dell’ideologia hanno la propria origine nella struttura di un’epoca che si dà il compito infinito di far coesistere, senza fondamento, ordine oggettivo e libertà soggettivo» (pp. 84-85). Se – come si è detto – «la modernità è una ferita, le ideologie si incaricano – dall’interno – di ricucirla, di rimarginarla; ogni volta, però, aprono un’altra ferita, un’altra polemica» (p. 86).
A questo punto, Galli passa ad accennare le caratteristiche di alcune delle ideologie contemporanee per mostrarne le collocazioni polemiche. Vengono così presentati il liberalismo, ora fautore del progresso, ora conservatore, che produce la democrazia come ideologia e orizzonte della politica moderna, e il socialismo con quelle che Galli definisce alcune dinamiche dell’ideologia nella loro “forma più pura”, ovvero la separazione da ideologie “esterne” e la scissione “interna” in ramificazioni ideologiche contrapposte.
La grande crisi della Prima guerra mondiale segna la nascita di nuove ideologie e la trasformazione di vecchie ideologie in forme inedite. Le più grandi novità ideologiche del XX secolo – scrive Galli – sono il comunismo, il nazismo e il fascismo, intrecciati al concetto ideologico di totalitarismo, con il quale «si cerca di uscire dalle contraddizioni politiche della modernità, riportare l’uomo integralmente a sé stesso, passare con la politica oltre la politica moderna» (p. 109). Tuttavia, questi regimi tentano di superare la Modernità mobilitando le strutture tipicamente moderne dell’ideologia, come il pensiero strumentale e una serie di coppie dialettiche (parte/tutto, critica/propaganda, soggettività/oggettività, minaccia/salvezza, idea/polemicità, inclusione/esclusione, illuminazione/oscuramento). Il comunismo sovietico si dota del materialismo dialettico, che interpreta la realtà attraverso lo schema della continuità tra fenomeni naturali e sociali. Il nazismo si riveste di un apparato dogmatico-ideologico come fusione di irrazionalismo attivista, razionalismo scientifico, razzismo, antisemitismo, militarismo e nazionalismo; mentre il fascismo si affida ad un’ideologia come contenitore vuoto, caratterizzato dalle flessibili coordinate del nazionalismo e di un pragmatismo attivista.
Dopo la Seconda guerra mondiale si apre una nuova faglia critica e, con essa, si assiste all’emergere di nuove ideologie. Si assiste in generale al coagulo dell’ideologia intorno al tema dell’identità occidentale, al dislocamento del conflitto tra ideologie alle ali estreme di sinistra e destra e all’emergere di nuove linee di frattura intorno all’islamismo, al movimento nero e antirazzista, al femminismo e all’anticolonialismo. Tra queste, che vengono definite come forme inedite di ideologia, Galli dedica ampio spazio al femminismo degli anni Sessanta e Settanta, «la cui essenza è di svelare e politicizzare una contraddizione rimasta occultata sotto una presunta neutralità e naturalità, nelle società occidentali: la differenza sessuale» (p. 124).
La quarta e ultima parte del volume, Nuove ideologie, è dedicata alla trattazione di quelle che Galli rileva come le forme ideologiche che caratterizzano i nostri tempi. Tra le nuove ideologie, quella maggiormente pervasiva e totalizzante è il neoliberismo, un’ideologia onnicomprensiva tesa a generare un ordine nuovo. Si tratta di una forma di pensiero economico, così come di una filosofia morale, sociale e politica che vede la politica come garante delle dinamiche economiche. La società viene permeata dalla logica economica della competizione e della performatività. Nel neoliberismo è la modernità capitalistica a fornire un ordine stabile in collaborazione con le istituzioni politiche. Lo Stato non è più autonomo e la sua funzione si rideclina nei termini della garanzia che il capitalismo funzioni a pieno regime e nel modo più efficace possibile. Si tratta di un’ideologia che si presenta come verità incontrovertibile che pone fine a tutte le ideologie; una verità fondata sulle coordinate della concorrenza, dell’aggressività e del merito come norme sociali.
In questo quadro, Galli fa riferimento a von Hayek come padre dell’ideologia neoliberista. Nel pensiero hayekiano, all’ordine artificiale dello Stato viene opposto l’ordine “spontaneo” delle interazioni economiche tra individui, rapporti modellizzati tramite la logica di domanda-offerta e della competizione. Quella di Hayek è un’ideologia imperniata sui principi della proprietà privata e della concorrenza. Si tratta di un «liberalismo super-efficiente che vede nel soggetto un imprenditore e nel mercato concorrenziale il presidio della libertà» (p. 133). Scrive Galli che «l’elemento ideologico-giustificativo di questa ideologia […] sta nel “pensiero unico”, nella monodimensionalità quasi naturalistica della veduta complessiva della società, ossia nel fatto che presuppone gli individui come ugualmente proiettati verso la competizione; ciò ovviamente favorisce chi, nella realtà concreta, percorsa da disuguaglianze strutturali, è già privilegiato, e penalizza invece chi deve ricorrere al conflitto sociale per alleviare la propria subalternità, L’ideologia neoliberista è dilagata come senso comune, come macchina ideologica complessiva: il neoliberismo è un’ideologia senza partito» (pp. 134-35), «un’ideologia strutturale, totale, che si è autoidentificata, politicamente, con la democrazia» (p. 136), diffondendo un senso generale di insicurezza, precarietà, oppressione, svalorizzazione e frustrazione.
Il pensiero critico contemporaneo ha decostruito il neoliberismo, secondo le più diverse tradizioni, ma sono le reazioni più immediate alla sua crisi e alle sue contraddizioni che si sono cristallizzate in nuove ideologie. Si tratta di esperimenti di ri-politicizzazione che si oppongono alla pretesa di spoliticizzazione del neoliberismo, ma faticano a scalfirne la superficie ideologica. In realtà, – scrive Galli – «la macchina mitologica del neoliberismo si è slabbrata, ma non è stata sostituita. La sua bolla ideologica è esplosa, ma ha lasciato parecchie eredità» (p. 143). L’incrinarsi della compattezza monolitica del neoliberismo si presenta come terreno critico per la proliferazione delle “nuove ideologie”. Secondo Galli, la mancanza di un ordine strutturato o il suo vacillare apre il campo alla nascita di fake news e di forme di complottismo, che rivelano l’esigenza di un modello di ordine che presenta caratteristiche similissime a quelle delle ideologie: sfiducia nel “mondo comune”, ricerca della verità in un altro mondo più illuminato, come dimostrato dai tentativi delle teorie del complotto di rimandare ad una coerenza pseudo-scientifica, che imita e mima la scienza. A questa deriva neo-ideologica, Galli accosta un pulviscolo di quelle che definisce micro-ideologie o quasi-ideologie, come la quasi-ideologia del politicamente corretto, che – a suo avviso – sarebbe connessa alla polverizzazione delle prese di posizione identitarie. Galli mostra come la lotta per il politicamente corretto sia fondamentale per allargare la sfera dei diritti delle potenzialmente infinite soggettività che li rivendicano, ma riflette anche sul rovescio problematico della richiesta di diritti. Questa attiverebbe, infatti, il classico meccanismo di neutralizzazione liberale di tutte le istanze polemiche e politicizzate. Lo Stato non si pone problemi nell’elargire diritti che attenuino le condizioni di disuguaglianza, ma, come costo per la tutela e per le quote di libertà e uguaglianza richieste, neutralizza la carica realmente politica ed emancipatoria delle rivendicazioni di queste soggettività polemiche.
Tra le micro-ideologie, Galli fa rientrare la lotta per la questione ambientale, il populismo – con il suo rifiuto ingenuo della rappresentanza e il suo antiparlamentarismo, che lo rendono un pensiero politico semplificatissimo – e il sovranismo – dispositivo ideologico «più apertamente politico, […] che affida il tentativo di rendere il popolo protagonista della politica alla rivalutazione, in chiave anti-universalistica, della nozione e della pratica della sovranità, che le logiche del neoliberismo hanno tentato di limitare» (p. 158). Naturalmente, conclude Galli, esiste anche un’ideologia mainstream occidentale che si oppone a queste correnti populiste e sovraniste, rivendicando una posizione di pensiero politico coincidente con l’idea universale della democrazia.
Alla luce di questo percorso genealogico, che si è qui tentato di ricostruire nei suoi snodi più significativi, si può sostenere che il volume di Galli svolga una funzione importantissima per la filosofia e per l’analisi dei concetti politici per due principali ragioni. La prima risiede nell’importanza “pratica” dell’operazione genealogica che l’autore compie sul concetto di ideologia. Attraverso lo scavo nella storia dell’ideologia, il volume diventa, infatti, un dispositivo di analisi polemica che permette di comprendere le strutture ricorsive dell’ideologia e di imparare a riconoscere l’ideologico nelle sue potenzialmente infinite modalità di esistenza e azione nella realtà socio-politica. La seconda ragione, è il guadagno che consegue dall’operazione genealogica, cioè il riconoscimento dell’esistenza effettiva di un pulviscolo di ideologie che continuano a proliferare intorno a faglie critiche, come tentativi di soluzione e di riorientamento del pensiero e della realtà. Tuttavia – ed è forse una terza ragione per cui il volume di Galli risulta prezioso –, lo sguardo acquisito dal carotaggio genealogico sull’ideologia permette di vedere che «le nuove ideologie sono almeno la dimostrazione dell’ineluttabilità della politica, tanto come coazione alla costruzione di un ordine che abbia senso per il soggetto quanto come la richiesta che attraverso la politica si possa agire sui processi nei quali è coinvolto il nostro destino» (pp. 163-164).
Per riprendere la nostra filigrana musiliana, citando liberamente dalle pagine de L’uomo senza qualità, «questioni ideologiche! Quel che ci vuole per lei, amico mio!», quel che ci vuole per Carlo Galli che ci ricorda che di ideologia ne abbiamo ancora “fin sopra i capelli”, mettendoci di fronte alla sua persistenza e alle sue potenzialità. Tuttavia, il volume di Galli non si limita ad “ri-attualizzare” l’ideologia, proponendo una mera tassonomia delle odierne ideologie e delle loro caratteristiche. Come si è anticipato, il valore del libro è quello di funzionare come “tramite” di esercizio pratico della filosofia. Galli fa filosofia, contrapponendo al piano saturante dell’ideologia l’attività critica della filosofia con la sua funzione genealogica. Per quanto nel libro la filosofia venga definita una “ideologia certa di sé”, nel suo complesso il volume di Galli sembra mettere la filosofia in pratica e suggerire un’operatività del filosofare sui concetti politici in grado di guardarsi ricorsivamente e riflessivamente, schermandosi dal pericolo di una ipostatizzazione ideologica e riguadagnando l’ideologia come dispositivo della politica. Come Musil può mettere in scena una parata di ideologie, incarnate nei personaggi radicalmente unilaterali della sua opera-mondo, grazie al funzionamento della sua filosofia del “saggismo”; Galli mette in pratica una filosofia critico-genealogica che gli permette di decostruire il piano ideologico, di comprenderne le strutture e il suo valore per la politica: è questa filosofia come genealogia che permette a Galli-Spinoza di chiudere il volume, sostenendo che «le nuove ideologie sono come le onde del mare. Spinte da venti variabili e incostanti smuovono la superficie e non scendono in profondità. Eppure, contrastano la calma stagnante delle paludi, e il mondo di ghiaccio dei poteri solidificati» (p. 164).