Recensione a: Alessandro Aresu, Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2022, pp. 256, 20 euro (scheda libro)
Scritto da Giacomo Centanaro, Alessandro Strozzi
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«Senti, potresti dirmi qual è il primo requisito di un buon pilota? L’esperienza?» «No. È l’ispirazione, sai?» Così il cacciatore di taglie Marco risponde alla piccola Fio, nel capolavoro cinematografico Porco Rosso, di Hayao Miyazaki. L’ispirazione, che fa grande il pilota. Forse questa può essere la parola più adatta a distillare la provocazione che Alessandro Aresu lancia all’Europa, nei confronti del conflitto tecnologico globale in cui ci troviamo immersi. Infatti, solo grazie all’ispirazione, al genio, all’intuizione, Aresu racconta come gli ingegneri di Asml e Zeiss siano arrivati a concepire “La Macchina”, cioè i dispositivi dal costo multimilionario per realizzare circuiti integrati nell’ordine dei 5 nanometri. Come ricorda Carlo Emilio Gadda, nella sua lettera del 1953 per Civiltà delle Macchine: cosa ottiene l’uomo dalla macchina? «Quell’accrescimento di potenza, e però di ricchezza, che calamitava lo stupore del bambino e avvera tra le genti meccaniche il sogno filosofale del dottor Fausto».
È a Veldhoven, in Olanda, che l’umanità persegue il sogno della “Macchina perfetta”. È lì che ha trovato la sua casa «la più importante azienda di cui non avete mai sentito parlare». Così Asml viene chiamata dai suoi dirigenti. Ispirazione e tecnologia. Tecnologia che è anche dominio del cielo: come in Porco Rosso, così l’ispirazione guida il giovane turco Haluk Bayraktar che, dopo un master in ingegneria industriale presso la Columbia University di New York, sogna di far volare i propri droni. Ci riuscirà, e anche molto bene, visto che nel 2021 l’esercito ucraino ha utilizzato nella guerra nel Donbass i droni d’assalto Bayraktar TB2. In un volume sulla grande sfida tra Stati Uniti e Cina, degno successore del precedente Le potenze del capitalismo politico, Aresu intreccia dati e analisi ad acume filosofico e profondità culturale. Così richiama il concetto di volo del grande autore giapponese Miyazaki, a rappresentare l’ambiguità delle capacità umane in ambito tecnologico: da un lato il sogno, la magia e il senso di libertà. Gli strumenti che permettono di volare esprimono maestria tecnologica e progettuale. Ma il sogno della tecnologia è maledetto, perché, per parafrasare un recente volume di Limes, la tecnologia serve a farci la guerra.
La storia della competizione per la supremazia tecnologica, finalizzata alla supremazia geopolitica, si declina su numerosi piani e vede protagonisti molto diversi. È una storia complessa, in cui la sicurezza di Stati grandi come continenti si intreccia alle opportunità commerciali di aziende e alla speranza di progresso economico di milioni di individui. È una storia che nell’ultimo decennio si è imposta come questione primaria per gli equilibri politici globali e le potenziali conseguenze militari. Il dominio del XXI secolo di Alessandro Aresu struttura un’analisi che unisce tutti gli elementi sopra menzionati e offre una chiave interpretativa di dinamiche che condizioneranno ancora a lungo gli affari globali. È anche un viaggio nella complessità di un settore, quello dei semiconduttori e delle sue filiazioni tecnologiche, che si sviluppa attraverso articolate supply e value chain.
La tecnologia si conferma eterna e decisiva componente della tragedia della politica internazionale e dei conflitti, e Aresu lo ricorda con chiarezza: «la guerra economica serve a limitare la capacità degli avversari e a proteggere il potere militare». Il messaggio è immediato: la parte tragica del volo, che Miyazaki ricorda nei suoi film, è inevitabile. Ma se la tecnologia è l’intera forza armata, da quali unità è composta? A rigor di metafora, tra software e hardware, fonti rinnovabili e batterie, l’unità di misura risulta essere il transistor: componente elettronico realizzato con materiali semiconduttori, come silicio e germanio, che a partire dal 1948 consente lo straordinario sviluppo dell’elettronica che segna la storia della tecnologia della seconda metà del Novecento. Nella competizione tecnologica diversi materiali hanno un ruolo di primo piano, tra cui grafite, manganese, nichel, rame. In particolare, non si può sottovalutare il ruolo del cobalto, in termini tecnologici e geopolitici. Da non dimenticare però che il conflitto delineato da Aresu non è tra macchine, gli strumenti della competizione, ma tra i grandi manager del comparto tech. Americani, asiatici, europei… Aresu ripercorre alcune affascinanti biografie, tra cui quella di Morris Chang, fondatore di TSMC e di Robert “Bob” Noyce fondatore di Fairchild Semiconductor e poi di Intel insieme a Gordon Moore (da cui prende nome la celebre Legge).
La cornice in cui si sostanzia questa competizione tecnologica globale è quella della sicurezza nazionale. L’autore richiama il discorso The Bases of an American Defense Policy (1940) pronunciato da Edward Mead Earle, professore all’Università di Princeton, che racchiude la matrice con cui comprendere l’intreccio tra tecnologia, economia e forza militare: l’utilizzo del concetto di sicurezza – oltre a quello più ristretto di difesa – per fare sì che un Paese abbia lo stato di preparazione necessario a fare la guerra in tutela degli interessi nazionali. Ma di sicurezza nazionale si parlava addirittura prima: già Alexander Hamilton, padre fondatore e primo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, riteneva che il sistema economico fosse legato indissolubilmente alla sicurezza nazionale, e nel 1922 un documento della Marina militare statunitense postulava la moral suasion delle navi da guerra americane nel facilitare i commerci marittimi. Per inquadrare la dinamica della competizione tecnologica globale, Aresu ricorda che la catena del valore dei semiconduttori si articola principalmente tra Taiwan, Cina e Stati Uniti e beneficia di una crescita esponenziale, come risulta dal volume di vendite: da 200 miliardi di dollari nel 2000, a 440 nel 2020, con previsioni per il 2030 nell’ordine dei 1.000 miliardi. È quella dei semiconduttori, la battaglia decisiva nella guerra tecnologica ma che non potrà essere a somma zero per la complessità della filiera. Essere leader, come gli Stati Uniti, in una fase della supply chain come il design, ad alto tasso di innovazione, non significa sicurezza delle forniture; per la Cina avere accesso ai materiali e alle componenti per assemblare elettronica avanzata non significherà stare sulla frontiera dell’innovazione; infatti, la Cina ad oggi importa semiconduttori per valori maggiori delle proprie importazioni di petrolio. Ma non tutti i circuiti integrati hanno la stessa qualità: benché ne produca in grandi volumi, la Cina ad oggi si limita ad una distanza tra i transistor (indice della qualità dei circuiti) di 14 nanometri; mentre i leader del mercato (la coreana Samsung e la taiwanese TSMC) già raggiungono i 5 nm, puntando ai 3/2 nm.
Il conflitto per i semiconduttori è oggi nella sua seconda fase. Infatti, la cosiddetta “prima guerra dei semiconduttori” aveva contrapposto Giappone e Stati Uniti negli anni Ottanta e Novanta, concludendosi con l’instaurazione di un regime di “managed trade” tra i due alleati: una guerra commerciale en forme, governata da considerazioni politiche, per evitare che diventasse totale. L’arsenale normativo statunitense per la protezione dell’economia nazionale, consolidatosi nel secondo dopoguerra, fu fondamentale come lo è oggi, nella seconda “guerra dei semiconduttori” con la Cina. Da dove ha origine? Dal National Security Act del 1947, che ha imposto un’importante riorganizzazione della politica estera e delle strutture militari e di intelligence del governo degli Stati Uniti. La legge creò molte delle istituzioni per la formulazione e l’attuazione della politica estera, tra cui il National Security Council, ancora oggi fondamentali. Strutture che da più di settant’anni presidiano la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, il loro deep state e lo stato d’eccezione. In parallelo queste stesse strutture hanno declinato la tutela degli interessi nazionali americani sotto il profilo economico, ricordando la lezione di Hamilton: il sanzionismo. Ecco il termine che Aresu conia per identificare l’opzione nucleare che l’Occidente ha per contenere avversari strategici come la Cina, spezzandone i mercati. Insomma, l’allargamento della sicurezza nazionale è il vero metro dei poteri pubblici sulla vita dei cittadini, in un processo di securitizzazione delle componenti di un sistema paese e di cui l’arma a doppio taglio che connette politica ed economia sono le sanzioni. Il dilemma del giusto trade-off tra libertà economica e sicurezza nazionale permane nell’elaborazione delle politiche, ma la seconda, già da quanto sostenuto da Adam Smith, ha la precedenza. Come si è visto, fin dagli anni Cinquanta, la storia dello sviluppo in settori sulla frontiera tecnologica è in parte anche la storia personale degli individui che animano e incarnano quelle industrie. Al sanzionismo statunitense si oppone la programmazione strategica cinese nei settori tecnologici abilitanti più avanzati (dai chip alle batterie). Questa si esprime in capacità cognitiva, di monitoraggio dei settori strategici e della loro evoluzione sulla scala globale, sapendo tenere le redini della forza lavoro, dei brevetti, del trasferimento tecnologico.
Un conflitto che ridisegna le supply chain, obbligando gli attori privati a riallinearsi secondo precise collocazioni politiche e nazionali, e da cui anche i maggiori esponenti del capitalismo tecnologico statunitense non sono immuni. Nel 2021 un gruppo di senatori del Congresso scrissero al ceo di Apple Tim Cook, spingendolo ad allontanarsi dalla Cina comunista. Era emerso che nel 2016, per tutelare il business in Cina, Cook aveva visitato il “tempio” del Partito Comunista di Zhongnanhai, adiacente alla Città proibita di Pechino. Alla “corte” del Partito, Cook aveva promesso investimenti per centinaia di miliardi di dollari. Il Congresso americano ha voluto ricordare che la sicurezza nazionale non accetta concorrenti, e il sanzionismo non è solo strumento di offesa diretto, ma anche strumento per ricondurre a unità gli attori economici del sistema paese.
Il conflitto descritto da Aresu, così complesso e plurale nel coro di interessi e soggetti che vi prendono parte, comprende sfide politiche, imprenditoriali, politiche e identitarie. Tuttavia, nonostante le volontà delle alte sfere politiche, i limiti e le necessità tecnologiche persistono. Inoltre, stare sulla frontiera tecnologica ed essere in grado di farla avanzare è un obiettivo arduo anche per le maggiori economie mondiali che, infatti, hanno recentemente dedicato alla ricerca in settori specifici somme senza precedenti. Se nella partita tecnologica il fine per l’Occidente, ad oggi leader nel design dei chip, è riprendere in mano anche la capacità produttiva, il mezzo sono il Chips and Science Act del 2022, che porta alla ricerca scientifica 280 miliardi di dollari totali, di cui 50 solo sui semiconduttori, la Legge europea sui semiconduttori, dello stesso anno, ne prevede 43 miliardi. I processi produttivi richiedono diversi passaggi (deposizione, litografia, cleaning e process control) e i fornitori di equipaggiamento hanno una collaborazione stretta con i venditori di prodotti chimici, con le fonderie e con le organizzazioni di ricerca. Anche i segmenti di assemblaggio e test sono complessi e sempre più avanzati. Ma non è questione di sola politica di potenza o di competizione economica tra blocchi, quanto elemento definitorio dell’identità e delle capacità di una comunità politica. L’azienda fondata da Morris Chang nel 1987 a Taiwan è definita dai cittadini della piccola isola su cui incombe la massa continentale della Cina popolare come “la montagna sacra che ci protegge”. Non solo dimostrazione dell’eccezionalità delle capacità industriali di Taiwan, ma anche potenziale strumento di deterrenza economica: un paper prodotto dal Pentagono ha ipotizzato addirittura di minare i siti delle grandi fabbriche di chip taiwanesi, avvertendo la Cina che alla prima avvisaglia di invasione queste sarebbero esplose. L’autore cinese Wang Huning in America against America sostiene che la Cina per insidiare il primato degli Stati Uniti debba investire su scienza e tecnologia. Ad oggi la fonderia cinese più avanzata e importante è la Semiconductor Manufacturing International (SMIC) fondata da Richard Chang (senza legami di parentela con Morris Chang), mentre la pedina più specifica del mercato su cui Pechino può contare è la Yangtze Memory Technologies (YMTC). Il conflitto è ovviamente non solo sugli aspetti commerciali ma anche su quelli finanziari. La denominazione “adversarial capital” è quella usata dal Pentagono per identificare la strategia cinese di investire in start-up tecnologiche statunitensi attive nella filiera della Difesa e in altre supply-chain ad alta intensità tecnologica. A queste acquisizioni, andrebbero contrapposti i “trusted capital”, ossia gli investimenti “patriottici” degli apparati militari e di sicurezza nazionale.
Un altro fronte della guerra tecnologica che viene trattato in profondità dall’autore, con numerosi dati e particolari, è l’industria delle batterie, che sta diventando il driver principale della domanda di mercato di alcune materie prime critiche come litio, nickel e cobalto, su cui la presa cinese è strategica, detenendo il 92% della capacità globale di catodi e il 91% di quella di anodi. Il primato cinese si concretizza anche nel controllo del 60% delle attività di processazione mondiali. Primato che si consolida anche nel segmento estrattivo dei minerali necessari: oggi la Cina detiene interessi commerciali sul 67% dell’output minerario del Cile, il 41% sui progetti pianificati in Argentina e il 61% su quelli australiani. Tra il 2005 e il 2021, la Cina ha investito in progetti minerari internazionali 160,92 miliardi di dollari. Le aziende cinesi possono rifornire, in quantità e qualità, i produttori internazionali secondo standard elevati, in più Pechino sta costruendo una gigafactory quasi ogni settimana. Di nuovo, il ruolo delle imprese è centrale, in particolare per ciò che riguarda il litio: la Cina, attraverso i due giganti cinesi Ganfeng Lithium e Tianqi Lithium, compete per la supremazia globale con la statunitense Albemarle. Aresu cita il concetto formulato da Paolo Cerruti, cofondatore di Northvolt, di deep supply chain: una catena di approvvigionamento e fornitura più profonda di quanto appaia. L’industria delle batterie richiede materie prime e componenti che devono essere trattati, a cui si aggiungono gas industriali, tecnologie per l’assemblaggio e per l’ingegneria. Secondo un’espressione dell’autore, «mappe della tecnologia e mappe della presenza geografica si intrecciano».
L’esempio di Morris Chang non è stato dimenticato e la vera “trappola di Tucidide” tra Stati Uniti e Cina è quella che influirà, limitandole o riorientandole, sulle attività di migliaia di ricercatori sulle due sponde del Pacifico. E proprio sul numero di ricercatori si apre un altro fronte di competizione tra le due superpotenze. Pechino, grazie alla “ferrea legge della demografia” e alle sue politiche in materia di istruzione potrebbe nel giro di pochi decenni sopravanzare Washington. A partire dalla metà degli anni Duemila la Cina ha formato più dottori di ricerca in materie Stem degli Stati Uniti e il divario sta aumentando: si stima che nel 2025 le università cinesi produrranno più di 77.000 dottorati Stem, rispetto a circa 40.000 negli Stati Uniti. Questo scenario peggiorerebbe ancora di più se gli Stati Uniti dovessero limitare ulteriormente gli scambi e le interazioni con gli studenti internazionali.
Fin qui ci si è concentrati su Stati Uniti e Cina; l’Europa è spettatrice? Forse. Aresu ricorda che «molta della leadership in realtà è nei produttori di macchinari come Asml, e di materiali». Il cuore del mondo della precisione è a Veldhoven, in Europa. L’autore ripercorre con attenzione la storia di questa capacità industriale, ricordando le origini dalla casa Zeiss, che produceva dal XIX secolo strumenti ottici per gli utilizzi più disparati. Tra il 24 e il 25 giugno 1945, l’esercito degli Stati Uniti evacuò i principali scienziati e dirigenti dell’azienda, secondo la politica di reclutamento e attrazione di primarie figure scientifiche, che saranno fondamentali per gli Stati Uniti nella competizione della Guerra fredda. Il messaggio è chiaro: l’Europa, attraverso vecchie creature ottocentesche, è ancora in grado di dominare il XXI secolo. I sogni degli ingegneri, le acquisizioni, il rapporto con clienti e fornitori, la cooperazione tra Veldhoven e Oberkochen (dove ha sede Zeiss), tutto ciò converge verso l’eccellenza tecnica. I due macchinari più avanzati sono Twinscan NXE:3400C, che supporta la produzione di circuiti nell’ordine dei 7 e 5 nm e Twinscan NXE:3600D, per 5 e 3 nm.
Le «grandi sfide globali […] non si possono affrontare con successo senza un profondo, massiccio intervento dello Stato». Così il 20 ottobre 2021, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ricordato al Parlamento l’importanza del capitalismo politico. L’Unione Europea ha provato a costituirsi in maniera unitaria come modello di “potenza normativa” in una fase di tensioni internazionali limitate. Ma la tragicità della storia obbliga il vecchio continente a convergere su realtà come Veldhoven e la sua “Macchina”, per non diventare insignificante. Pena uno scenario alternativo e distopico, in cui le potenze asiatiche domineranno il XXI secolo, all’ombra del sorriso enigmatico di leader come Xi Jinping. Per Aresu «la politica resiste nella volontà di dire: basta», per non diventare spettatori del secolo asiatico. Nell’universo fantascientifico di Dune, nulla è possibile senza la spezia. È l’estrazione della spezia dal pianeta Arrakis a scatenare le guerre. Senza la spezia, la civiltà non può svilupparsi. Allo stesso tempo, la spezia genera ebbrezza, droga potente dalle possibilità inesplorate. Come dice il barone Harkonnen «chi controlla la spezia, controlla l’universo». Sulla Terra, allo stesso modo, chi controlla la tecnologia, governa il mondo. Ma la tecnologia, per non diventare tragedia militare o economica, va imbrigliata. Come? Ci risponde Alessandro Aresu: con la sicurezza nazionale, «vero ritmo politico del mondo».