Il futuro, da bene di lusso a scelta di libertà
- 25 Giugno 2021

Il futuro, da bene di lusso a scelta di libertà

Scritto da Cristina Bertazzoni e Alberto Robiati

9 minuti di lettura

Questo articolo si inserisce all’interno di un percorso di approfondimento parte del progetto Aut – Futuri Fuori promosso da Cob Social Innovation. Aut – Futuri Fuori è un processo di immaginazione collettiva sulle possibilità di Futuro per costruire il nuovo modello di società al 2050. L’intento è cambiare la direzione attuale facendo leva sulla capacità umana di aspirare, e sulla possibilità di farlo insieme.


Conoscere il futuro

Che cosa accadrà? Che cosa ci aspetta? In tempi così complicati e indecifrabili, in cui aleggiano gli spettri della catastrofe ambientale, dell’automazione, delle disuguaglianze e dell’instabilità geopolitica, un’esperienza come quella della pandemia e delle conseguenti misure di controllo e limitazione ha amplificato il bisogno di trovare risposte nell’incertezza.

Eppure queste due domande, così frequenti di recente, ma così profondamente radicate nelle culture di ogni epoca, portano in sé due convinzioni diffuse, piuttosto fuorvianti. Che il futuro sia scritto e definito e dunque vada interrogato, appunto, “su ciò che accadrà”. E che questo accadere ci imponga una posizione passiva, di attesa, quasi fatalista.

Predire il futuro, avere risposte a queste domande è diventato ancora più urgente da quando il Covid-19 ha smontato ogni nostra sicurezza, mettendo in discussione presupposti impliciti come la linearità, la logica, la causalità, la misurazione. Abbiamo dovuto rivedere, al ribasso, la nostra “pretesa di certezza” e ci siamo dovuti occupare dell’ossessione per la quantificazione, superando il trauma che la vita non è esatta, perfetta, definita.

Ma il futuro contiene significati assai più interessanti. “The future is not a noun, it’s a verb. And we’re never going to stop futuring”, diceva in una conferenza pubblica nel 2004 Bruce Sterling, saggista e autore di fantascienza e promotore del movimento cyberpunk. Significa considerare il futuro come uno strumento di azione, quali sono per l’appunto i verbi nella grammatica. Vuol dire, in altre parole, attivare immaginazione e creatività per nutrire visioni di futuri possibili, alternativi, e costruire narrative funzionali a prefigurare ciò che potrebbe accadere domani. Oppure ciò che vorremmo fare accadere.

Senz’altro l’incertezza, la complessità o la turbolenza dei contesti in cui viviamo aumentano ansie e preoccupazioni per il futuro. Tuttavia il futuro è anche territorio del desiderio, del progetto e della speranza. A questo proposito è interessante ricordare il politologo Ossip Flechtheim che a metà del secolo scorso aveva coniato il termine “futurologia” riferendosi a un campo di ricerca nuovo, che mirasse a eliminare le guerre e a favorire la pace, stabilizzare la crescita della popolazione, eliminare la fame, la povertà, democratizzare lo Stato, fermare lo sfruttamento della natura e creare un nuovo homo humanus. Questa proposta ha avuto un seguito nei decenni successivi, grazie allo sviluppo, se pure un po’ frammentato, della disciplina degli studi di futuro e della previsione strategica, e alle diverse applicazioni in ambito strategico, sociale, politico, culturale, antropologico, psicologico, ingegneristico, semiotico.

 

Il futuro come guida per creare nuovi modelli sociali 

L’epoca incerta, fluida, imprevedibile in cui siamo gettati mette potentemente in crisi l’idea di un “presente cristallizzato” e la stessa narrazione lineare e razionale di progresso nutrita nell’epoca della modernità. Le turbolenze e il gradiente di complessità e incertezza che colora lo scenario attuale ci impone quindi, con forza, l’uscita da un “disturbo cognitivo collettivo” che ha caratterizzato i modelli sociali finora sperimentati: la “sindrome da deficit di futuro”, che immobilizza lo sguardo sul “qui ed ora”, sui tornaconti e le performance di breve periodo senza capitalizzare il passato e progettare nuovi orizzonti futuri. Il pensiero futurizzante è perciò un dispositivo trasformativo, una forma mentis aperta al plurale e al possibile attraverso cui costruire nuovi paesaggi di convivenza, nuovi quadri concettuali collettivamente desiderabili capaci di formulare nuove risposte alle emergenze sociali del presente.

Il futuro si configura come driver con una triplice funzione a livello sociale. Ha intanto una valenza aggregativa: il futuro è pertanto un dispositivo coesivo, cioè è attivatore di processi psicosociali, di sentimenti di appartenenza nutriti da aspirazioni individuali e collettive. Ha quindi una valenza strategica: in tal senso, il futuro è un dispositivo di anticipazione, attiva setting organizzativi e di pianificazione, consente di co-progettare piani di azione con impatto “produttivo”, facilitando l’ottimizzazione di risorse ed energie. Infine ha una valenza innovativa: il futuro è un dispositivo trasformativo capace di agire sul presente, di attivare processi di innovazione sociale per costruire un “futuro immanente nel presente” e traghettare il “qui e ora” verso futuri desiderati. Le domande di uguaglianza sociale, di felicità civica, di nuove forme di convivenza e partecipazione sociale possono perciò trovare risposte attraverso la pratica collettiva del futuro. Una pratica futures oriented che mette al centro la cura dello “stare insieme” (riflessione comune su esperienze del passato e del presente, scambio di aspettative ed attese sul domani), dell’“andare insieme” (immaginazione di scenari futuri, costruzione di futuri sociali desiderati e di strategie di azione) e del “fare insieme” (pratiche di futuro, applicazione trasformativa del futuro nel presente).

 

Il futuro come diritto e bene comune 

Abbiamo detto che il futuro è incerto, opaco, non più rappresentabile in modo progressivo, lineare, come promessa ottimistica e ricca di speranze. Cambiamenti climatici, pandemie, crisi economica, esclusione sociale, disoccupazione crescente, razzismo, disuguaglianze di genere frantumano l’immagine ordinata di un futuro spianato, ricco di desideri realizzabili e ci proiettano in una narrazione instabile, caratterizzata dal sentimento di impotenza, dall’accettazione irriflessa del presente come orizzonte ultimo, dalla rinuncia ad ogni slancio aspirazionale.

Nello scenario contemporaneo, questo processo di de-futurizzazione collettiva rimette al centro con urgenza il “bisogno di futuro”, la necessità di riconoscere, coltivare e nutrire, come sostiene anche Heidegger, una dimensione primaria dell’esistenzialità: il futuro come possibilità e progetto. Aprirsi al possibile, pro-jectare (gettarsi in avanti) significa coltivare la capacità individuale e collettiva di aspirare, cioè risvegliare e potenziare la “pratica di un orientamento attivo nei confronti del futuro” (Arjun Appadurai); significa nutrire l’immaginazione, dare spazio al proprio poter essere per trasformare il “vivere”, inteso come semplice ripiegamento su ciò che accade, in “esistere”, in capacità e desiderio di dare forma al quotidiano attraverso le aspirazioni future. Il futuro è quindi un “bene comune” da preservare e l’alfabetizzazione ai futuri, la futures literacy, non deve essere utilizzata come un’occasione per “fare business” ma va garantita come diritto universale fondamentale di tutti e di ciascuno.

Il futuro è, di fatto, un privilegio ancora di pochi, non un bene diffuso e a disposizione di tutti. La capacità di nutrire aspirazioni è distribuita in modo ineguale tra i diversi gruppi della società perché è correlata positivamente con le risorse economiche, sociali e culturali. C’è chi può immaginarsi un futuro aperto a una pluralità di “possibilità possibili” e chi si trova questo orizzonte dell’immaginario schiacciato culturalmente e socialmente dentro confini ristretti, che limitano potentemente l’emancipazione sociale e le pratiche verso futuri desiderati. Il concetto di futuro come diritto ha perciò una forte valenza politica: è diritto collettivo all’immaginazione che nutre l’aspirazione, ossia la capacità di agire insieme per attualizzare desideri di futuro. È il riconoscimento del diritto di ciascuno alla cura del sé e del noi, nel senso attribuito dai greci al temine epimeleia, la cura che fa fiorire, l’empowerment delle possibilità esistentitive di ogni persona e di ogni gruppo sociale.

 

Educare al futuro 

Una disciplina denominata futures studies and strategic foresight (nella formulazione compatta: futures&foresight), che possiamo tradurre con studi sui futuri e previsione strategica, consente di portare sguardo e pensiero strategico in avanti al di là dell’orizzonte del conosciuto e dell’atteso (il breve periodo, per certi versi). Senza entrare nel dettaglio del percorso storico di questo campo d’indagine, ci soffermiamo su un punto: si tratta di un modo organizzato e sistematico di guardare verso il futuro oltre la traiettoria prevista, per affrontare l’incertezza e la complessità. Il futures&foresight è descrivibile come una serie di approcci che possono aiutare chi prende decisioni (in tutti i contesti, a tutti i livelli) a costruire politiche o strategie migliori di fronte a cambiamenti ed evoluzioni imprevedibili del presente.

Poiché non siamo abituati a “usare il futuro nel presente” come strumento (strategico e progettuale, aggregativo, di innovazione) è necessario generare condizioni di predisposizione intellettuale. Va di moda parlare di mindset. Come detto, occorre attivare, e diffondere, una speciale mentalità, un’attitudine di pensiero che consente di guardare il presente con le lenti del futuro. Il nostro approccio ordinario ci porta a riflettere sul futuro a partire dal presente (o dal passato): ma ciò non basta più, in un mondo più interconnesso, veloce, turbolento, fragile, volatile, dobbiamo pensare il domani con “la testa nel futuro”, ossia come se fossimo già “lì” (a quel tempo). E neppure questo è sufficiente: ci serve allargare lo sguardo al di là delle tendenze note (e misurate), oltre le forze costanti che promettono di rimanere tali a lungo; si deve andare alla ricerca delle discontinuità, di quei fenomeni ed eventi che non rientrano nei nostri radar ordinari, le wild cards, le sorprese, i cigni neri, gli unthinkables.

Ciò non significa che non possiamo elaborare piani e programmi, ma che questi devono essere flessibili e pronti per rimodulazioni anche continue. Pertanto non solo è necessario disporre di metodi e tecniche, ma anche di apertura mentale ed elasticità di pensiero (resilienza e capacità di apprendimento sono tratti e abilità indispensabili per l’epoca che viviamo). Il confine dell’orizzonte delle possibilità è rappresentato dai limiti della nostra immaginazione. In altri termini, i futuri possibili sono tutti quei futuri semplicemente “pensabili” (compresi quelli oggi non realizzabili sulla base delle attuali conoscenze scientifiche e delle dotazioni tecnologiche). Rientrano in questa categoria i futuri immaginati dalla fantascienza, ma anche alcuni futuri pensati come “preferiti”, auspicabili, frutto dell’attivazione della capacità di aspirare. Alcuni esempi? La pandemia di Covid-19, la risonanza mondiale del movimento Fridays for future, il crollo del ponte Morandi, l’incidente di Fukushima, la crisi finanziaria del 2008, l’11 settembre, la diffusione di Internet o del personal computer. Sono eventualità dell’ambiente esterno a noi, talvolta molto lontane, ma il cui impatto diretto o indiretto, nel corso del tempo, ha ripercussioni anche sul nostro contesto.

Un altro aspetto fondamentale è l’uso di finestre temporali di lungo periodo. Parliamo di almeno 10 anni. Perché? Allungare sguardo e pensiero avanti nel tempo è equiparabile all’apertura del proprio campo visivo: possiamo intercettare più variabili, oggetti di studio, fenomeni, eventi. Questo comporta che possiamo considerare cambiamenti e trasformazioni che nel breve periodo non si potrebbero manifestare (che si tratti di eventi o fenomeni dell’ambiente esterno, oppure di azioni trasformative che intendiamo intraprendere per generare nuove condizioni – per esempio di crescita e sviluppo).

Quanto detto evidenzia una questione di fondo: dobbiamo tornare a scuola! Abbiamo urgente bisogno di allenarci a capacità tipicamente umane che abbiamo a lungo trascurato: immaginazione, creatività, pensiero sistemico, esplorazione, visione, aspirazione, intelligenza strategica, interconnessione, cooperazione, inclusione, multidisciplinarità, sviluppo sperimentale, argomentazione, narrazione, coinvolgimento.

 

Attivare processi di futuro

Per disegnare futuri collettivi è necessario coltivare un’apertura mentale capace di farci viaggiare nei futuri, di stimolarci a immaginare uno scenario condiviso e di mobilitare le energie del presente verso quella direzione. Alcuni costrutti tracciano, dal nostro punto di vista, un orizzonte teorico-metodologico polifonico a cui è possibile ispirarsi per stimolare desideri, pensieri e pratiche di futuro a livello personale, gruppale e organizzativo.

Coltivare, nutrire e prendersi cura delle relazioni di gruppo è un presupposto imprescindibile per attivare processi collettivi di apertura verso il possibile e di costruzione partecipata di futuri desiderati. Al riguardo, il riferimento teorico-metodologico attivatore di community building è la “comunità di pratica”, secondo la definizione che ne ha dato Étienne Wenger. Costruire comunità di pratica significa coinvolgere gruppi di persone attorno a pratiche di lavoro comune, stimolarli a individuare obiettivi aggreganti, a condividere saperi, significati, linguaggi, dando così vita ad un reticolo relazionale generativo di nuovi apprendimenti e pratiche condivise. È un processo delicato e complesso che richiede cura per le dimensioni relazionali intra-gruppo (integrazione e valorizzazione delle differenze, costruzione di un clima di fiducia, fluidità delle dinamiche relazionali interne, ecc.) e dei processi di costruzione culturale (individuazione di obiettivi comuni, visioni prospettiche condivise, progettazione di possibili pratiche ecc.).

Il lavoro di “coltivazione” di una comunità di pratica si intreccia perciò fortemente con il processo attivato metodologicamente dall’action-research. L’etichetta “ricerca-azione” racchiude una molteplicità di approcci con tradizioni e orientamenti filosofici differenti. In sintesi, possiamo definirla come un dispositivo metodologico con cui è possibile attivare nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle comunità, processi di esplorazione condivisa, partecipati e fortemente relazionali, finalizzati a costruire nuove conoscenze e a produrre cambiamento.

Comunità di pratica e ricerca-azione attivano la “tensione progettante”, il pensiero anticipatorio e allenano la “mente e il cuore del gruppo” alla pensabilità e praticabilità del futuro. Pertanto, futures & foresight, comunità di pratica e action-research, interpretati in modo connesso e dialogante, disegnano un arcipelago di metodi attivatori di futuri.

 

Il futuro che diventa presente

I processi applicativi cui ci riferiamo, e nello specifico quelli che ricorrono a metodi di foresight, non hanno lo scopo di predire il futuro. Nessuno può farlo, a causa delle molteplicità del presente e delle interdipendenze che lo caratterizzano: non ci è possibile chiarire quale prevarrà. Ma possiamo fare qualcos’altro di estremamente utile e produttivo: considerare una serie di possibilità alternative. Questa esplorazione delle possibilità ci porta in cerca di futuri probabili, basati sulla proiezione probabilistica di forze o tendenze in atto e che promettono di mantenere un certo andamento anche in futuro, e di futuri possibili, vale a dire eventi, fenomeni, dinamiche, che non rientrano nei nostri radar ordinari ma che potrebbero manifestarsi nel corso del tempo. I gruppi coinvolti in queste attività, che si tratti di “board direzionali” di aziende o comunità di cittadini, sono impegnati in conversazioni strategiche. Così non è importante che cosa il futuro ci dice, ma è conta che cosa il futuro ci fa fare oggi. L’obiettivo è allenare capacità di esplorare le diverse opzioni e prendere in considerazione quelle più utili a decidere e agire nel presente.

L’intento è rendere il nostro pensiero strategico di oggi più aperto e adattabile, più in grado di immaginare alternative, criticità e opportunità. Di conseguenza anche le nostre decisioni e le conseguenti azioni intraprese possono essere più adattabili, in grado di apprendere da ciò che accade strada facendo e ripensarsi e ridefinirsi all’occorrenza.

Man mano che il tempo scorre in avanti, le date future del calendario diventano il nostro presente. Come abbiamo visto, molti metodi hanno in sé la caratteristica di far convergere punti di vista, sensibilità e competenze differenti, mettendo insieme individui che tramite processi di intelligenza collettiva concorrono a definire futuri possibili e visioni preferibili. In corso d’opera, quegli stessi individui coinvolti nei processi e le loro rispettive reti di relazioni possono rappresentare il miglior contributo alla concretizzazione delle pre-condizioni alla base di quei futuri preferiti. In tal senso diciamo che ognuno può essere “generatore di futuri”.


Riferimenti bibliografici

Jacques Attali, Breve storia del futuro (2006)

Barbara Adam & Chris Groves, Future matters: Action, Knowledge, Ethics (2007)

Wendell Bell, Foundations of Futures Studies (1997)

George Cairns & George Wright, Scenario Thinking (2011)

Jim Dator, Alternative Futures at the Manoa School, Journal of Futures Studies (2009)

Ota de Leonardis & Marco Derio, Il futuro nel quotidiano (Egea, 2012)

Herman Kahn, Thinking about the unthinkable (1962)

Martin Heidegger, Essere e tempo (Longanesi, 1976)

Andy Hines & Peter Bishop, Thinking about the future (2007)

Eleonora Masini, Why Futures Studies? (1993)

Donella Meadows, Pensare per sistemi (Guerini Next, 2019)

Riel Miller, Transforming the future (2018)

Vincenza Pellegrino, Futuri possibili (Ombre corte, 2019)

Vincenza Pellegrino, Futuri testardi (Ombre corte, 2020)

Fred Polak, The image of the future (1973)

Roberto Poli, Lavorare con il futuro (Egea, 2019)

Roberto Poli, La previsione sociale (Carocci, 2021)

Gill Ringland, Scenario Planning (1998)

Peter Schwartz, The Art of the Long View: Planning for the Future in an Uncertain World (1997)

Nassim Taleb, Antifragile. Prosperare nel disordine (il Saggiatore, 2013)

Kees Van der Heijden, Scenarios: The Art of Strategic Conversation (2005)

Étienne Wenger, Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità (Cortina, 2006)

Scritto da
Cristina Bertazzoni e Alberto Robiati

Cristina Bertazzoni: Responsabile dello sviluppo organizzativo e membro del board scientifico in Forwardto – Studi e competenze per scenari futuri. Formatrice e consulente, esperta di dinamiche di gruppo e facilitazione, per centri di formazione, enti pubblici e aziende. Docente all’Università di Brescia e all’Università di Verona. Collabora con IPRASE e CRRS&S, svolgendo ricerca su innovazione e scenari futuri nella formazione e nell’educazione. Alberto Robiati: Direttore di Forwardto – Studi e competenze per scenari futuri e della Foresight Academy del Cottino Social Impact Campus. Esperto di innovazione e specializzato in Futures & Foresight Science. Membro del Consiglio consultivo dell’Italian Institute for the future; socio fondatore dell’Associazione futuristi italiani; ideatore del progetto Personal Futures. Cultore della materia al Dipartimento Culture, politica e società all’Università di Torino e collaboratore alla didattica al Politecnico di Torino. Direttore della Fondazione Human+, che svolge ricerca scientifica sulla “people-driven innovation”.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, ma puoi anche fare una donazione a supporto del progetto. Grazie!

Abbonati ora

Seguici