Recensione a: Paul Collier, Il futuro del capitalismo. Fronteggiare le nuove ansie, Laterza, Roma-Bari 2020, pp. 336, 20 euro (scheda libro)
Scritto da Francesco Nasi
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Dopo la crisi dei mutui subprime del 2008 è emerso con forza crescente un movimento intellettuale finalizzato a porre come questione centrale la riforma del capitalismo. In molti casi la critica nei confronti del sistema economico vigente non viene fatta in una prospettiva di anticapitalismo, ma è una critica dall’interno, di chi intende salvare il sistema stesso dagli eccessi e dalle storture prodotte dal neoliberismo del Washington Consensus. È in questo solco intellettuale ed accademico che sono emersi lavori come Il capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty[1], concentrato sugli insostenibili livelli di disuguaglianza raggiunti dalle società occidentali, o, più recentemente, Il capitalismo della sorveglianza di Shoshanna Zuboff [2], che ha fatto luce sull’economia dei big data e della previsione, evidenziandone i pericoli non solo per la privacy degli individui, ma per l’intero sistema politico ed economico nel quale viviamo.
L’ultimo libro dell’economista di Oxford Paul Collier, Il futuro del capitalismo, si colloca in questo solco. Se larga parte della letteratura precedente sul tema proveniva da studiosi tendenti verso la sinistra dello spettro politico, il lavoro di Collier si posiziona invece volontariamente ed esplicitamente al centro (p. 31). Il titolo del libro di Paul Collier richiama un testo che ha avuto una grande importanza nella storia della politica inglese: Il futuro del socialismo del laburista Anthony Crosland. Pubblicato nel 1956, il libro di Crosland mirava a fornire una prospettiva intellettuale alla socialdemocrazia nel suo periodo d’oro. Nei confronti capitalismo odierno Collier si propone di riordinare i fili di un sistema economico frammentato e confuso, andando alle radici delle storture capitalismo contemporaneo per formulare «un coerente insieme di rimedi per affrontare le nuove ansie del nostro tempo» (p. 25).
Per l’autore la riforma del capitalismo deve avvenire a partire dalla questione dell’etica. «Le società capitalistiche devono essere etiche, oltre che economicamente fiorenti» (p. 26) scrive Collier nell’introduzione. L’economista di Oxford nota come nei tre ambiti fondamentali della nostra esistenza – Stati, imprese, famiglie – l’individualismo si sia diffuso, mentre il senso comunitario si sia fortemente ridotto. In profondità, questo è dovuto a due ideologie assurte a senso comune nelle discussioni sul tema: da una parte, il sistema economico si fonda su una forma di utilitarismo benthamiano che trasforma l’essere umano in un homo oeconomicus «assolutamente egoista e infinitamente avido» (p. 14), atto esclusivamente alla massimizzazione del proprio utile attraverso il consumo; dall’altra parte, il sistema giuridico si rifà alla filosofia morale di John Rawls, con la conseguenza di concentrarsi esclusivamente sui diritti del singolo individuo e non su quelli della comunità. Secondo l’autore, questi insiemi di idee hanno fatta “piazza pulita” delle obbligazioni reciproche e del senso di appartenenza che invece avevano caratterizzato i Trente Glorieuses dopo la Seconda guerra mondiale, ponendo in questo modo le radici per le distorsioni del sistema capitalistico: a sinistra con il paternalismo sociale dello Stato onnicomprensivo e a destra con la sacralizzazione neoliberista del libero mercato.
Rifacendosi agli studi dello psicologo statunitense Jonathan Haidt[3], Collier sottolinea come per la grande maggioranza delle persone la sfera valoriale non possa essere ridotta a consumo e diritti: concetti come merito, dignità, rispetto, senso di appartenenza sono tanto fondamentali quanto dimenticati dall’analisi degli economisti e dei decisori pubblici. In questo scostamento tra i fondamenti morali del capitalismo e i fondamenti morali della vita delle persone in carne ed ossa sta l’origine di quelle che Collier definisce le «nuove ansie», che stanno alla base dell’ascesa di forze politiche antisistema e del drammatico senso di costante insicurezza che abita le società occidentali. Le spaccature individuate da Collier sono tre: divario geografico tra grandi metropoli e zone rurali, allargamento delle disuguaglianze di classe (soprattutto tra una classe molto istruita e specializzata e chi non può accedere a un’istruzione superiore) e infine la distanza tra nazioni ricche e povere del pianeta.
Davanti alle nuove ansie, la soluzione proposta da Collier è la ristrutturazione etica del capitalismo. Ciò significa cambiare il punto di riferimento e passare dall’homo oeconomicus a quella che l’autore definisce donna sociale razionale, un soggetto economico capace di abbracciare la pluralità dei valori umani (cura del prossimo, libertà, lealtà, sacralità, equità e autorità[4]) sostituendo alla massimizzazione del consumo la ricerca della stima sociale, un indicatore più comprensivo e meglio adatto a comprendere le varie sfaccettature della psicologia umana. La donna sociale razionale prevede una visione della morale che si concentra non tanto sui diritti e la massimizzazione del consumo, quanto sulla costruzione di legami di reciprocità. Questa reciprocità può essere ottenuta esclusivamente tramite narrazioni efficaci. Collier distingue tre tipi di narrazioni: quelle di appartenenza (a un gruppo o a un luogo, come uno Stato o una nazione) quelle di obbligazione (lo sviluppo di una coscienza comune che ci indica quello che dovremmo o non dovremmo fare) e infine le narrazioni di finalità che costruiscono i legami causa-effetto sui quali basiamo le nostre azioni quotidiane. Insieme, questi tre tipi di narrazione sono in grado di edificare un sistema di credenze e di reciproche obbligazioni che modifichi le regole del gioco capitalistico a favore delle collettività. Come sottolinea l’autore, gli effetti negativi dell’economia globale non sono connaturati al capitalismo stesso, ma piuttosto ad una sua distorsione frutto di un’erronea fondazione valoriale: per questo motivo diventa possibile e doveroso lavorare per un’alternativa.
Nel libro, Collier cerca di spiegare concretamente come la narrazione della donna sociale razionale debba affermarsi nei tre ambiti che più influiscono sulla vita delle persone (famiglia, imprese e Stato) e come questa svolta etica possa accorciare i divari che producono le «nuove ansie». A fianco di alcune soluzioni di carattere più astratto (come, per esempio, preferire un’identità patriottica/inclusiva ad una nazionalista/esclusiva con il fine di ottenere uno “Stato etico”[5]) l’autore avanza alcune proposte di politiche pubbliche concrete: collocare l’interesse pubblico e dei lavoratori all’interno dei consigli di amministrazione delle aziende, applicare una tassazione suppletiva sui guadagni dell’agglomerazione nelle metropoli e nei grandi centri produttivi, o ancora imporre una soglia minima al rapporto fra mutui ipotecari e redditi e fra mutui e depositi.
I temi trattati nel libro sono numerosi e ben articolati, ma è possibile individuare due fili conduttori. Oltre all’etica, il secondo elemento che attraversa il volume è quello dello spazio. I divari evidenziati da Collier non sono mai puramente economici o sociali, ma anche e soprattutto geografici. Questa variabile, apparentemente eclissata dai più recenti processi di deterritorializzazione e di disintermediazione, emerge invece prepotentemente nel ragionamento di Collier: la troviamo nell’enfasi posta sull’imprescindibilità di un luogo di appartenenza per la costruzione di un’identità collettiva, nelle vite completamente divergenti di chi abita il centro o la periferia (con le conseguenti diverse politiche da adottare) e anche nel muro che si alza sempre di più tra classi istruite e meno istruite, spesso per motivi strettamente legati al luogo di nascita.
Il principale tratto distintivo de Il futuro del capitalismo resta comunque lo sforzo di compiere un’analisi critica e propositiva dell’attuale sistema capitalistico, ponendo l’accento sulla questione etica: l’elemento di discontinuità sta nel fatto che, se la critica alla fallacia morale del capitalismo era già stata portata avanti in precedenza da chi attaccava il sistema “da fuori” o da chi lo faceva da una prospettiva prettamente filosofica o sociologica, Collier esegue questa operazione “dall’interno” del sistema e da una prospettiva squisitamente economica. In questo modo, l’etica torna ad essere una variabile economicamente significativa: essa non è più astratta riflessione fine a sé stessa, ma il fondamento valoriale da cui dipendono le azioni economiche degli individui, recuperando in tal modo lo status di «seconda natura» con cui Hegel definì l’etica[6].
Il rischio che il tentativo di rifondazione etica di Collier potesse ridursi ad un’impostazione moralistica o a una mera enunciazione di valori è contrastato dallo sforzo di coniugare obiettivi astratti e un impianto teorico chiaro a politiche e proposte concrete, frutto sia della ricerca accademica che del quotidiano senso comune. Per Collier, infatti, la donna sociale razionale non è un utopico modello da realizzare attraverso una complessa operazione di ingegneria sociale, quanto la realtà etica nella quale la maggior parte delle persone già vive: ciò che manca è portare questa concretezza anche a livello di immaginario collettivo e di affermazione istituzionale, in modo che indirizzi le scelte dei decisori pubblici con il fine ultimo di arrivare a quello che l’autore definisce «un mondo etico». L’esposizione è condotta con semplicità, sopratutto in relazione alla complessità della materia in questione. Collier unisce la ricerca scientifica più recente nel campo delle scienze sociali a un’esposizione scorrevole e precisa che non disdegna l’aneddoto personale e l’ironia delle note a piè di pagina per alleggerire il peso della trattazione. In questo modo si viene a creare un equilibrio – precario quanto riuscito – fra la fruibilità dei contenuti proposti e la loro validità intellettuale e scientifica.
In una società complessa e interconnessa come quella globale del XXI secolo non è pensabile risolvere i problemi del capitalismo mondiale con un singolo volume. Il libro di Paul Collier è estremamente ambizioso ed olistico e, di conseguenza, inevitabilmente non esaustivo. Tuttavia può costituire, sia a livello di opinione pubblica che di dibattito accademico, un tassello significativo nel processo che da ormai più di un decennio sta portando a un radicale ripensamento di quei paradigmi che per anni erano stati considerati come immodificabili.
[1] T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, Milano 2014.
[2] S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, LUISS University Press, Roma 2019.
[3] Per un’analisi più approfondita di questi valori, si rimanda allo studio citato da Collier nel suo volume: J. Haidt, The Righteous Mind: Why Good People are Divided by Politics and Religion, Vintage, New York 2012.
[4] Ibidem.
[5] L’autore parla a lungo di “Stato etico” all’interno del libro. Ovviamente, Collier conferisce a questo termine un significato ben diverso rispetto a quello con cui è spesso inteso nel dibattito italiano con riferimento al fascismo. Per l’autore, lo Stato etico è lo Stato che riesce a costruire obbligazioni reciproche e di fiducia tra i propri cittadini, affermando un modello di “maternalismo sociale” contrapposto al “paternalismo sociale” in cui un’autorità statale onnicomprensiva impone un unico modello di benessere, con conseguenze negative sull’autonomia e il reale benessere dei cittadini e delle cittadine.
[6] G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Laterza, Roma-Bari 2004.