Scritto da Marco Magnani
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In Il grande scollamento. Timori e speranze dopo gli eccessi della globalizzazione Marco Magnani – docente di International Economics all’Università LUISS di Roma e all’Università Cattolica di Milano – riflette sulle forze che trasformano le relazioni internazionali e sulla fase di riarticolazione della globalizzazione che stiamo attraversando, tra fronti di scontro e nuove frontiere di cooperazione. Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’editore Bocconi University Press / Egea, un estratto dell’introduzione del volume, in libreria dal 9 febbraio.
La globalizzazione moderna ha prodotto un livello di integrazione internazionale senza precedenti nel corso della storia. Pur tra eccessi e contraddizioni e mostrando limiti e fragilità, il processo di internazionalizzazione che ha inizio al termine del secondo conflitto mondiale ha determinato un forte aumento di benessere in gran parte del mondo, migliorando la qualità di vita e facendo uscire miliardi di persone dalla povertà, ha consentito un enorme progresso scientifico, ha favorito una significativa riduzione del livello di conflitti. Con la fine della guerra fredda la globalizzazione si è ulteriormente allargata e rafforzata e si è diffusa la convinzione che potesse garantire una crescita economica continua e favorire la fine di ogni contrapposizione. Tale aspettativa si è rivelata errata.
Da diversi anni la globalizzazione è in crisi e non sembra più essere ‒ come appariva fino a qualche tempo fa ‒ inarrestabile e irreversibile. Molto dipende dal cambiamento radicale del rapporto tra Stati Uniti e Cina: il legame virtuoso degli ultimi decenni è oggi diventata rivalità strategica e potrebbe tradursi in disaccoppiamento (il decoupling è in fase avanzata in diversi ambiti) o addirittura scontro. Ma soprattutto sembrano essersi inceppati alcuni dei motori che avevano spinto la globalizzazione e si è indebolita la cornice politica che l’aveva favorita. In molti campi è in corso un progressivo scollamento che sta mutando profondamente le relazioni internazionali e dividendo il mondo in blocchi.
Non siamo quindi alla vigilia di un cambio di egemonia mondiale, come accaduto altre volte nel corso della storia, né all’inizio di una nuova guerra fredda tra due blocchi contrapposti, ché Cina e Stati Uniti non sembrano avere ‒ per diversi motivi – la necessaria forza di attrazione. La crisi della globalizzazione sta producendo un mondo diviso in tanti blocchi, all’interno dei quali esiste un certo grado di collaborazione ma che verso l’esterno tendono a erigere barriere. Ne segue una frenata nella crescita di scambi commerciali e investimenti internazionali, un calo nella circolazione di persone, idee e conoscenza, un rallentamento nella condivisione di tecnologie e innovazioni, una riduzione della cooperazione internazionale e una perdita di efficacia e credibilità delle istituzioni multilaterali.
Questo scollamento è particolarmente preoccupante alla luce delle sempre più numerose e urgenti sfide globali: problemi che riguardano l’intero pianeta e tutta l’umanità quali cambiamento climatico ed emergenze sanitarie, guerre e flussi migratori, proliferazione nucleare e terrorismo internazionale, fame e povertà estrema, crisi finanziarie sistemiche e aumento delle diseguaglianze, reperimento stabile di energia e materie prime, nuovi dilemmi sollevati da sviluppo tecnologico e progresso scientifico. Peraltro, il crescente scollamento tra diverse parti del mondo ‒ meno collegate e interdipendenti e più divise e distanti ‒ ostacola dialogo e comunicazione e aumenta esponenzialmente il rischio di incomprensioni, tensioni e scontri (anche militari).
In questo mondo sempre più frammentato è possibile cogliere tre grandi tendenze di fondo. La prima è una forte regionalizzazione. Accordi, cordate, alleanze locali e regionali diventano più importanti anche se rimangono spesso intrecciate con alcuni dei legami prodotti dalla globalizzazione. Pertanto, regionalizzazione e globalizzazione coesistono rendendo il contesto internazionale particolarmente complesso. La seconda tendenza è la crescente prevalenza della politica sull’economia. Il ruolo dello Stato aumenta a scapito di quello dei mercati, gli interessi geopolitici tendono a prevalere su quelli economici, la sicurezza nazionale condiziona le decisioni di politica economica. La terza tendenza è l’aumento della volatilità nelle relazioni internazionali, cui contribuisce la diffusione di “battitori liberi”. Sono più numerosi i paesi con forti ambizioni geopolitiche – spesso legate all’ascesa di un leader con tratti autoritari o populisti – che aspirano a una propria autonomia strategica, tendono a privilegiare atteggiamenti ambivalenti e a perseguire alleanze trasversali, cambiano con facilità le intese in base a esigenze e interessi del momento, con l’obiettivo di ottenere benefici economici o politici e aumentare il proprio peso internazionale. Esempi evidenti sono India, Brasile, Turchia, varie monarchie del Golfo, ma molti altri paesi vanno in questa direzione. Perfino la Russia, che però sta vanificando le proprie aspirazioni per eccessiva aggressività. La conseguenza è che, a fronte di alleanze solide e durature ‒ generalmente basate su prossimità geografica, affinità storiche e culturali, profonda integrazione economica, esigenze di sicurezza militare, condivisione di valori – aumentano le intese più volatili e temporanee. Ciò aggiunge un ulteriore elemento di complessità, imprevedibilità e instabilità al contesto internazionale.
Quali saranno le conseguenze di queste tendenze? Quale il futuro della globalizzazione? E come sarà il mondo che verrà? Queste sono alcune delle domande a cui il saggio cerca di rispondere.
Il Capitolo 1 ripercorre i principali processi di internazionalizzazione della storia, dall’antica Roma all’espansione arabo-islamica, dall’Impero mongolo al periodo delle grandi scoperte geografiche, dal dominio delle potenze coloniali fino alla globalizzazione moderna. Da questo excursus storico emerge che, fin dall’antichità, a periodi di apertura e forte integrazione sono seguite fasi caratterizzate da chiusura e allentamento dei legami internazionali. Il Capitolo 2 analizza benefici ma anche eccessi, limiti e distorsioni della globalizzazione moderna. Che da un lato ha generato prosperità, progresso e pace. Ma dall’altro ha fatto emergere distorsioni nella distribuzione della ricchezza prodotta (sia tra sistemi economici sia al loro interno), aumentato la vulnerabilità agli shock esterni, limitato la sovranità nazionale degli stati. Il capitolo approfondisce anche la complessa relazione tra globalizzazione e variabili non economiche quali cultura e identità locale, sostenibilità ambientale, livello di conflittualità (tra paesi e all’interno degli stessi). Il Capitolo 3 esamina i motivi della crisi della globalizzazione e le principali forze di cambiamento che stanno trasformando le relazioni internazionali. Alcune di queste forze sono di natura economica e tecnologica e, dopo decenni di aggressiva delocalizzazione produttiva, spingono alla riconfigurazione delle catene globali del valore e alimentano la tendenza a reshoring e near shoring. Altre forze scaturiscono da dinamiche di politica interna che portano a maggiore chiusura e protezione degli interessi nazionali. Anche i frequenti shock esterni – come pandemia, guerre, crisi finanziarie ‒ contribuiscono alla crisi della globalizzazione, rendendo evidente la fragilità di catene di approvvigionamento troppo lunghe e complesse. Infine, crescenti forze di natura geopolitica frenano la globalizzazione. Protezionismo commerciale, restrizioni ai movimenti di capitali e controllo degli investimenti, interventi sulla valuta e accesso ai sistemi di pagamento, sanzioni economiche, sono spesso utilizzati come armi non convenzionali per perseguire finalità geopolitiche. Lo stesso accade con la gestione di flussi di migranti e rifugiati, con le forniture di materie prime strategiche, energia e risorse alimentari, con l’accesso e lo sfruttamento dell’acqua, con la condivisione di tecnologia e di ricerca medico-scientifica, con gli investimenti in sport e cultura. Il Capitolo 4 descrive nel dettaglio la tendenza allo scollamento tra diverse parti del mondo che tocca non solo le supply chain nel commercio e gli investimenti diretti esteri, ma anche valute e sistemi di pagamento, energia e tecnologia, cultura, scienza e medicina. A fronte del crescente scollamento vi sono anche alcune nuove potenziali frontiere della globalizzazione – quali la regione Artica, gli Oceani e il Subacqueo, lo Spazio, l’Economia Digitale – che offrono enormi opportunità, non solo di crescita economica, progresso scientifico e innovazione tecnologica, ma anche in termini di possibile rilancio della cooperazione internazionale. A condizione che le “frontiere” non diventino “fronti” di competizione e terreno di scontro tra paesi. Infine, il Capitolo 5 illustra le principali conseguenze di questi molteplici cambiamenti e descrive alcuni possibili scenari del mondo che verrà.
Non è semplice prevedere a quale livello di frammentazione condurrà il processo di scollamento attualmente in corso. Che potrebbe innescare una ri-globalizzazione, cioè la riconfigurazione delle relazioni internazionali secondo nuovi e diversi criteri economici e geopolitici, oppure la de-globalizzazione, cioè un arretramento del processo di integrazione internazionale al punto da determinarne la sostanziale fine.
Alla luce delle tante tensioni e dei gravi conflitti attualmente in corso oggi il rilancio della globalizzazione appare irrealizzabile. Ma la globalizzazione non ha esaurito le proprie potenzialità. Perché in un mondo aperto i benefici sono complessivamente superiori agli svantaggi. E le tante e sempre più pressanti sfide mondiali, a cominciare dal reperimento di risorse naturali e fonti di energia e dalla transizione ecologica, possono essere affrontate con successo solo attraverso la cooperazione internazionale. Anzi, non affrontarle può essere fatale per tutto il pianeta.