Il Gruppo di Visegrad: da satellite a polo attrattivo?
- 26 Giugno 2017

Il Gruppo di Visegrad: da satellite a polo attrattivo?

Scritto da Pietro Dalmazzo

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La disgregazione del Patto di Varsavia ed il crollo del sistema sovietico avvennero in pochi anni ed ebbero effetti profondi sull’Europa centro-orientale, generando un vuoto non solo politico, ma anche sociale, culturale ed ideologico[1]. Vuoto che, tra gli anni Ottanta e Novanta, portò la regione ad affrontare una complessa fase di transizione verso un sistema post-socialista. In un contesto di forte incertezza e potenziale instabilità, i presidenti di Polonia e Cecoslovacchia, con il primo ministro ungherese, si trovarono concordi sulla necessità di ritornare all’Europa e sul fatto che, l’avvicinamento all’Europa occidentale, sarebbe stato più semplice e rapido se compiuto assieme[2]. Forti di queste convinzioni, Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia siglarono, il 15 febbraio 1991, il trattato di Visegrad: un patto finalizzato ad un’integrazione politica, sociale ed economica con l’Europa occidentale; integrazione traducibile praticamente nell’entrata nell’Unione Europea e nella Nato[3].

Nei primi anni di vita, il gruppo, pur rifiutando di porsi come blocco, perseguì un processo di integrazione regionale su più livelli, presentandosi, su un piano continentale, come attore capace di una transizione pacifica dal socialismo alla democrazia[4]. La stabilizzazione della regione, ottenuta anche grazie ad un sistema di sicurezza collettivo nel quale si impegnarono i tre paesi, lo sviluppo di politiche comuni ed il confronto diretto con l’Europa occidentale tramite continue consultazioni ed incontri, furono i primi effetti tangibili del gruppo. Le aspirazioni economiche dei tre di Visegrad, presero corpo nel dicembre 1992, con la firma del CEFTA[5]; un accordo quinquennale che prevedeva lo sviluppo del libero commercio nella regione, in modo da creare un sistema simile all’EFTA; con l’obbiettivo di una completa integrazione, anche economica, nell’Unione Europea[6].

Il modus operandi dei primi anni, fondato sulla coordinazione e l’armonia delle politiche di questi tre paesi, subì una brusca interruzione in particolare dopo la divisione tra repubblica Ceca e Slovacca. Gli interessi dei singoli stati nazionali si sovrapposero all’agire del gruppo i cui membri, pur rimanendo attratti dal medesimo obbiettivo, iniziarono ad operare singolarmente per raggiungerlo; rimanevano comunque inalterati i trattati economici e le cooperazioni avviate precedentemente.

L’integrazione nei sistemi occidentali ed europei avvenne: entro la fine degli anni Novanta, tutti i paesi erano entrati a far parte della Nato mentre, nel 2004, entrarono a far parte dell’Unione Europea; la Slovacchia, dal 2009, è coinvolta nel sistema monetario dell’Unione. Una volta raggiunto lo scopo principale, i quattro di Visegrad (V4), rimasero, almeno nominalmente, all’interno dell’alleanza, proseguendo nella ricerca di specifici interessi comuni, come lo sviluppo di un mercato digitale unico ed il supporto verso un ulteriore allargamento dei confini dell’UE[7]. Concepito non come alternativo all’Unione, ma più come complementare e preparatorio, il gruppo di Visegrad sembrava rimanere in secondo piano sulla scena politica europea, pur rimanendo un fattore determinante nella regione; le sue aspirazioni furono solitamente circoscritte ad una scala regionale e non continentale.

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Indice dell’articolo

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Pagina 2: I rapporti con L’Unione Europea

Pagina 3: Visegrad, un futuro polo attrattivo?


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Scritto da
Pietro Dalmazzo

Nato a Sanremo nel 1993. Studia scienze storiche presso l'Università di Bologna, dove si è laureato nel 2015 in storia con una tesi sui rapporti tra Italia e Kosovo negli anni '90. Ha preso parte al progetto Erasmus presso l'Università di Gand nell'anno accademico 2016/2017, precedentemente ha collaborato con East Journal ed è un grande appassionato di viaggi.

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