“Il lavoro dello spirito” di Massimo Cacciari
- 30 Luglio 2020

“Il lavoro dello spirito” di Massimo Cacciari

Recensione a: Massimo Cacciari, Il lavoro dello spirito, Adelphi, Milano 2020, pp. 118, 13 euro (scheda libro)

Scritto da Alessandro Aresu

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«Se l’esposizione del passato costringe sempre a parlare di noi, come diceva Benjamin, mai questo è più vero che nel caso dell’opera di Max Weber» (p. 83)[1]. A scriverlo è Massimo Cacciari. E parla, credo, anche della sua lunga relazione intellettuale con lo stesso Weber. Si tratta di un capitolo della storia culturale del nostro Paese degli ultimi cinquant’anni, passata per riviste come Contropiano, Laboratorio Politico, il Centauro, per il dialogo con i filosofi e pensatori politici italiani che hanno accompagnato quelle esperienze[2], nei convegni ‘inattuali’, nei centri studi, nell’accademia.

Nel pensiero di Cacciari c’è una costante ‘lotta con l’angelo’ Max Weber, dai libri degli anni Settanta ai commenti ai testi, da quella critica della ragione socialista proposta nel 1979 in dialogo con la lezione weberiana del 1918 agli ufficiali dell’esercito austriaco, fino all’introduzione alle lezioni sulla scienza come professione e la politica come professione[3]. D’altra parte, come può l’uomo che ha la vocazione per la politica, per la formazione, per la formazione della politica evitare di affrontare Max Weber?[4] Quando Cacciari nel 2004, mentre all’Università Vita-Salute San Raffaele tiene il corso ‘L’età della globalizzazione’[5], avvia a Milano il Centro di Formazione Politica, sulla homepage dell’iniziativa campeggia l’inevitabile citazione da La politica come professione: «Etica della convinzione e della responsabilità (…) si completano a vicenda e solo congiunte formano un vero uomo, quello che può avere la ‘vocazione della politica’».

Gli studenti di Monaco che hanno sentito per la prima volta quelle parole nel 1919 sono rimasti a dialogare con Weber fino alle due di notte. E Cacciari, a modo suo, prosegue il suo dialogo col pensatore morto un secolo fa, il 14 giugno 1920, per una polmonite causata probabilmente dall’influenza spagnola, anche se Carl Schmitt preferisce attribuire la sua morte alla disperazione.

Il libro di Cacciari Il lavoro dello spirito ruota attorno al concetto di geistige Arbeit, ‘lavoro spirituale’ che restituisce meglio il percorso di Weber del tradizionale ‘lavoro intellettuale’ delle traduzioni delle conferenze su scienza e politica come professione. Su questo riprende e approfondisce i temi e i problemi del suo lungo confronto con Max Weber. L’esordio riprende la crisi della ‘rosa’ che avrebbe dovuto sbocciare dalla croce del presente: il lavoro spirituale come sistema della libertà, come continua liberazione. La ‘marcia’ del lavoro spirituale si riflette nella specializzazione, nell’incedere delle competenze tecniche e dei loro rapporti contrattuali sul piano strettamente economico e nella costruzione giuridica dei processi economici. Ciò coinvolge un incrocio essenziale del pensiero filosofico, ma anche dell’impalcatura economico-giuridica e della sua crisi. O meglio, krisis. Come ricorda un passo di Weber spesso riletto da Natalino Irti, le imprese economiche che durano, e soprattutto quelle di tipo capitalistico, richiedono una ‘sicurezza del traffico’ del diritto, fondata sulla calcolabilità del futuro, sulla sua regolarità. «Imprenditore è per eccellenza colui che calcola; anche ‘speculare’ designa il guardare oltre, l’osservare prima, il rendersi conto di ciò che può accadere» [6]. Sono tutti elementi in cui l’impulso schumpeteriano si unisce alla professionalità, alla progressiva professionalizzazione e specializzazione dei processi.

Allo stesso tempo, il lavoro dello spirito non si arresta all’evoluzione economica, ai conflitti sulla sua composizione. Riguarda intimamente la dimensione politica. È il lavoro della costruzione di un’autorità che non si limiti a garantire i vari rapporti contrattuali ma sappia conciliare, nell’agire democratico, l’esigenza del comando e il riconoscimento delle libertà. Si tratta di un «esercizio di altissima alchimia» (p. 22), scrive Cacciari. La capacità professionale, l’esercizio professionale non si colloca nel vuoto. È gettato nella città, nella relazione tra città e Stato, nel nodo Stadt/Staat[7] fondamentale per l’orientamento della razionalizzazione. In questo concetto della modernità, la professione è sempre una responsabilità, la risposta a una chiamata, non l’esercizio della solitudine. Come Cacciari ha ricordato nell’orazione per l’amico Cesare De Michelis, «l’autentico professionista sa di vivere e vuole vivere nella vita intera della città, promuoverla in tutti i suoi aspetti». A prescindere dalla presenza della specifica ‘chiamata politica’. Il dramma della scienza come professione è quello della separazione. «Il lavoro produttivo contemporaneo, il lavoro che determina il progresso del sapere realmente potente, è soltanto quello del cervello sociale» (p. 43). Senza il cervello sociale, non c’è accrescimento della scienza, della potenza, delle tecniche. Ma come possiamo affrontare il cervello sociale senza porre una questione politica? Proprio su queste contraddizioni e su queste aporie Cacciari riprende a interrogare Weber.

Non dimentichiamo che Weber è il grande – e insuperato – pensatore dell’età burocratica, età in cui ancora siamo immersi. «Il potere reale, che non si manifesta né in discorsi parlamentari né in dichiarazioni di sovrani, bensì nel manovrare l’amministrazione nella vita quotidiana, sta necessariamente e inevitabilmente nelle mani della burocrazia, sia militare che civile»[8]. Quel potere dello Stato moderno, nell’accoppiamento tra capitalismo e burocrazia che ancora una volta Weber scorge prima degli altri, si concretizza negli imperi e aspiranti tali, nei soggetti del nostro tempo, potenze del capitalismo politico[9]. Che sia l’organizzazione del Pentagono, il Ministero per il commercio internazionale e l’industria del ‘miracolo’ giapponese, la pianificazione del Partito Comunista Cinese, il complesso militare-energetico russo unito all’ambizione internazionale, il rapporto di Samsung col governo coreano, il nesso burocrazia-organizzazione-tecnologia è la fiamma viva della nostra epoca. È impossibile leggere queste strutture, ragionare sulle loro comparazioni e sulle loro differenze, senza ‘inciampare’ in Max Weber, senza attraversare Max Weber.

Solo in relazione con una politica, con un senso malcelato o esibito di ‘civiltà’, le stesse grandi burocrazie potranno prendere vita. E solo con un’adeguata professionalità, sarà possibile «collocarsi nella dimensione moderna reale dello scontro politico, della lotta per il potere, oggi»[10]. Questa è una lezione weberiana continua, un rintocco che ci riguarda sempre: fuori dalle illusioni di miti ‘liquidi’ (miti che con diverse varianti sentimentali coinvolgono tante fasi storiche), la professionalità deve accoppiarsi all’organizzazione, alla sua forma. Lo ricorda Cacciari nella sua lettura di Rathenau, nel cogliere la debolezza della sua nuova economia senza un vero partito: «Per fare politica sono necessari apparati, burocrazie»[11]. Ne va della stessa sopravvivenza del politico, della sua influenza nella realtà effettuale. «Senza apparato tecnico-burocratico, senza organizzazione, privo di competenze, il Politico non è professione, e risulterà perciò necessariamente inefficace a governare un mondo dominato dalle potenze tecnico-scientifiche» (p. 55). Certo, anche se vittima della sua inefficacia, del suo disaccoppiamento da ogni prospettiva di governo del reale, la politica in qualche modo continuerà ad esistere. Prenderà una forma demagogica, prenderà la forma del lamento rispetto a ciò che non riesce più a controllare (perché priva di strumenti), come avviene nella discussione sui vari ‘Stati profondi’. Fino a risolversi in una continua agitazione improduttiva, mentre va avanti la mobilitazione universale dell’apparato tecnico-economico.

Non possiamo pensare il lavoro politico se lo astraiamo dal lavoro intellettuale che gli è proprio. «Il lavoro politico ha come propria vocazione la ricerca del potere, non è il potere per il potere, è il potere di realizzare la propria idea di Stato»[12]. Dentro questa dialettica del lavoro spirituale, nel Politico deve esserci la consapevolezza delle forze in campo, altrimenti il suo agire è vano. Allo stesso tempo, la politica è l’azione contro l’inevitabilità. È vivere per la possibilità della liberazione: «Dovere del Politico sarebbe quindi stato combattere l’adattarsi servile all’idea dell’inevitabilità dell’appropriazione dei prodotti del cervello sociale da parte delle ‘leggi’ della riproduzione capitalistica» (p. 82).

Il capitalismo, nella sua esuberanza, anche nella produzione di innovazione che esprime la sua potenza, riduce a sé e al suo sistema i prodotti del lavoro dello spirito di cui esso stesso si nutre. Lo spazio dello spirito è la contraddizione di questo riduzionismo. Nelle crisi del capitalismo, nel capitalismo come crisi, il politico ha il compito di tenere accesa questa fiammella della libertà, della liberazione. Si tratta di un compito gravoso, che non può essere svolto ‘geometricamente’, perché è motore di conflitti, di contrapposizioni. Ciò richiede, in ogni passaggio, la consapevolezza delle reali forze in campo: «Una qualche autonomia del Politico, se mai si darà, potrà fondarsi nell’epoca del capitalismo globalizzato soltanto sulla potenza auto-liberantesi del lavoro intellettuale, cioè come rappresentazione e ordine che ha in questa potenza sia la sua causa motrice che la sua causa finale» (pp. 92-93).

Nella riflessione di Cacciari, Weber è il pensatore che legge questi temi con disincanto. Soprattutto se raffrontato ai classici dell’età borghese, di cui Weber riconosce la grandezza ma da cui si distacca. D’altra parte, non si può comprendere il lavoro spirituale se non si vede il suo legame con l’età borghese, con le sue grandiose prospettive, con le disillusioni. «Che significa lavoro spirituale, professione? La Kultur mitteleuropea a cavallo del secolo rispondeva: borghesia. Che sarebbe la Kultur se non borghese? si ripeteva da ogni parte, fiduciosi con questo di continuare sulle tracce di Goethe» (p.65). La conciliazione tra economia e politica, il compromesso tra economia politica, è il sogno dell’età borghese, mediata dalla cultura, mediata dai processi formativi in grado di giungere alla selezione dei migliori, alla democratizzazione attraverso la cultura, in grado di nutrire le istituzioni.

Per comprendere il dramma di Weber, la forza del suo sguardo tragico, bisogna attraversare questo passaggio. È un tema molto presente anche in altri importanti interventi di Cacciari negli ultimi anni. Penso alla presentazione a Roma il 10 gennaio 2018 della raccolta di scritti di Thomas Mann curata da Giorgio Napolitano[13]. Penso alla conversazione che abbiamo svolto su Limes, in occasione del numero della rivista dedicato alla Germania nel 2018. In quel contesto, Cacciari ricorda: «Nella storia tedesca emerge il Bildungsbürgertum: una borghesia formata, colta, intellettuale, una borghesia che cerca la propria legittimazione, la propria definizione culturale ed etica. Una borghesia imprenditoriale che cerca la propria immagine all’interno di una capacità di rinuncia. Se il fine è lo sviluppo, per questo io debbo rinunciare a qualcosa, io debbo reinvestire i miei profitti. La proprietà è un obbligo: questo è il comandamento che scrive la borghesia sulla sua bandiera, sulla costituzione di Weimar, cui collaborò Max Weber. Ma Weber ha letto Nietzsche, ha letto i più spietati pensatori dell’Ottocento. Sa che quella borghesia si compie con la Prima Guerra Mondiale, mentre il tentativo della rivoluzione di Weimar è di rimetterla in piedi»[14].

Che fine ha fatto la borghesia?[15] Viviamo un lungo congedo da un concetto che ha caratterizzato il nostro modo di pensare la cultura e la società, di declinare i rapporti tra economia e società. In alcuni paesi poveri di grandi imprese, come l’Italia, la borghesia chiaramente non esiste più, o esiste solo ed esclusivamente in una forma nostalgica, nell’esperienza o nel racconto di qualche ‘grande vecchio’. In Germania, quello dalla borghesia, anche per la forza del Mittelstand che pare per certi versi confermata dalla pandemia, è un congedo lunghissimo, dove certe cose non ‘vivono’ ma in ogni caso ‘sopravvivono’. Permangono elementi ottocenteschi con quelli del nuovo secolo, in cui convivono ancora i tratti descritti da Thomas Mann e le varie Industria 4.0. Ma il rilievo politico della borghesia, il ruolo politico della borghesia, è una lunga sequela di funerali. Come quello dell’ex cancelliere Helmut Schmidt nella Hauptkirche Sankt Michaelis di Amburgo nel 2015, per certi versi un funerale postumo della socialdemocrazia. Io immagino sempre l’inaugurazione di un nuovo grattacielo a Shenzhen, la riunione di un comitato di standardizzazione di telecomunicazione dove un tecnico di Huawei, sveglio, avanza i propri interessi mentre i rappresentanti statunitensi dormono in un angolo.

Cacciari ne è convinto: «Lo spirito borghese è una memoria che progressivamente si discioglie e esaurisce nello spirito del capitalismo. Weber lo riconosce amaramente» (pp. 78-79). Eppure, anche nell’età borghese era presente l’ambizione di universalità. La stessa età borghese coi suoi ‘grandiosi’ comitati d’affari si confronta con la riduzione delle distanze in cui Adam Smith legge il senso della globalizzazione, con una gestione di affari ‘universali’, di respiro imperiale. In quel senso, l’economia di quell’età è politica.

Lo stesso Walther Rathenau[16] rende chiaro questo passaggio, anticipando la politica delle grandi imprese, la discussione sul loro ruolo nella politica estera: «La gestione di affari ‘universali’ impone di per sé il politico, i rapporti e le dimensioni di una grande politica»[17]. Questa gestione richiede capacità organizzativa, razionalità diretta a uno scopo. «Il genio della organizzazione è il genio della potenza economica tedesca, la quale trova finalmente nella dimensione mitteleuropea la sua vera Patria»[18]. Ma questo, ancora una volta pone una questione politica, su cui il ‘socialismo del capitale’ di Rathenau si arena. Ricorda ancora Cacciari che la nozione di ‘capitalismo organizzato’, al centro della riflessione di Rathenau, «presuppone meccanismi di volontario accordo industriale fondati su un solido compromesso politico»[19].

La justissima tellus dei compromessi sfarina sotto i piedi del Novecento. Mentre in questo giovane secolo, non si è materializzata una ‘borghesia mondiale’. Conosciamo soltanto la sua caricatura. E soprattutto, la globalizzazione – che nella sua versione attuale produce tensioni ‘ottocentesche’ – non ha prodotto l’unità del mondo. Alla sua nervatura infrastrutturale e logistica non corrisponde un’infrastruttura né politica, né culturale, in grado di suscitare riconoscimento. «Il Mondo è uno, ma composto di energie che si contraddicono e combattono. Tutto converge in uno e tutto si frantuma» (p. 85). Carl Schmitt, notoriamente scettico rispetto all’unità, che «può costituire un accrescimento tanto del bene quanto del male», visto che «anche l’impero di Satana è un’unità», nel 1952 scrive che «la concreta realtà politica non offre oggi l’immagine di un’unità, ma quella di una dualità, e di una dualità inquietante»[20].

In termini diversi, la ‘dualità inquietante’ ci caratterizza nello scontro tra Stati Uniti e Cina, dove le energie che si contraddicono e combattono non portano in modo semplice a una pluralità. Né emergono traduttori in grado di svolgere pienamente il compito di interpretare queste dinamiche conflittuali. E se, secondo l’adagio di Naumann, «solo gli Stati grandissimi hanno ormai un significato proprio», l’orizzonte non è più quello della Mitteleuropa. Forse abbiamo visto, vissuto una nuova replica di questa vicenda storica – su cui valgono i giudizi di Marx sulla storia – con la catena del valore della Germania. La potenza al centro, che trattiene, smussa, comunque non dirige veramente (a suo modo ‘catecontica’), non vive pienamente questa sorte politica, che in ogni caso implicherebbe strappi laceranti nella dimensione europea. Qui si vede la difficoltà europea di disegnare, ma ancor più di praticare, un ‘grande spazio imperiale’, circondata dalle ambizioni altrui. Il ‘compasso’ di questa strategia non sembra funzionare. Non giunge alla ‘altissima alchimia’ della democrazia, ma la mette in discussione davanti all’incedere ambizioso dei capitalismi politici, senza vivere fino in fondo la dimensione del conflitto.

E ora? E noi? Non sappiamo se gli studenti si fermino a discutere animatamente fino alle due di notte. Dove, quando potrebbe accadere? Accade tutto in ogni momento, ogni giorno è la conferenza di Weber, nel paradossale ‘capitalismo come religione’ che può buttare i calendari, che può fare a meno di sparare agli orologi, come nella rivoluzione ricordata da Walter Benjamin, che vuole arrestare il tempo. Gli studenti che vivono nel tempo della pandemia non possono guardarsi in faccia, la loro discussione è mediata da uno schermo. Davanti alle loro vite sotto il cielo d’Europa, colpite dalla spirale di una doppia crisi lacerante, è difficile per un qualunque docente chiedere la parola su Zoom, o su altre piattaforme, e cercare di moderare la loro irrequietezza con la voce di Schelling a Monaco nel 1830: «Controllate voi stessi» (p. 32). E poi, esiste ancora quello spirito di rivolta, e di ricerca?

Cacciari conduce la sua ‘lotta’ con Max Weber, partendo dagli articoli nelle riviste, dai suoi volumi essenziali per la storia culturale italiana degli anni Settanta e per ogni ‘attualità’. Fino a questa felice sintesi che ci riporta a Monaco. A Monaco, ad ascoltare ancora Weber assieme agli studenti, come fosse la prima volta, quando nelle ultime pagine dopo il sonetto di Shakespeare siamo chiamati al difficile esercizio della maturità. «Di geistige Arbeit è necessario ancora discutere» (p. 20).


[1] Le citazioni con numeri di pagina nel testo sono da M. Cacciari, Il lavoro dello spirito. Saggio su Max Weber, Adelphi, Milano 2020.

[2] Sarebbe utile un lavoro storiografico su quella specifica stagione delle riviste di filosofia, politica e cultura. Su il Centauro si veda tra l’altro La crisi del politico. Antologia de ‘il Centauro’, a cura di D. Gentili, Guida, Napoli 2007.

[3] Si vedano M. Weber, Sul socialismo reale, trad.it. Savelli, Roma, 1979; M. Weber, La scienza come professione. La politica come professione, trad.it. Mondadori, Milano, 2006 (e la nuova edizione 2018, che riprende il titolo classico Il lavoro intellettuale come professione).

[4] Rimando anche al mio breve omaggio A. Aresu, Max Weber, politiche e politica, Scuola di Politiche, 14 giugno 2020.

[5] La leggenda del corso L’età della globalizzazione (a.a. 2004/2005), di cui sono conservati gelosamente gli appunti, vuole che per i 3 CFU richiedesse l’immersione in Hegel con le lezioni di Kojève, Schmitt, Heidegger e molto altro.

[6] N. Irti, Il diritto incalcolabile, Giappichelli, Torino 2016, p. 34.

[7] Si veda la riflessione su Weber, in questo senso, in M. Cacciari, Metropolis. Saggi sulla grande città di Sombart, Endell, Scheffler e Simmel, Officine Edizioni, Roma 1973, in particolare pp. 34-36.

[8] M. Weber, Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland. Zur politischen Kritik des Beamtentums und Parteiwesens, trad.it. Parlamento e governo, Laterza, Roma-Bari 1982 (prima ed. 1919).

[9] Qui rimando a A. Aresu, Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina, La Nave di Teseo, Milano 2020.

[10] La citazione è dalla sezione Da Weber a Lenin in M. Cacciari, Pensiero negativo e razionalizzazione, Marsilio, Venezia 1977. Ma Weber è a suo modo presente anche in M. Cacciari, Krisis, Feltrinelli, Milano 1976.

[11] M. Cacciari, Walther Rathenau e il suo ambiente, De Donato, Bari 1979, p. 82.

[12] M. Cacciari in Il lavoro dello spirito. Massimo Cacciari dialoga con Giacomo Mameli, Fondazione di Sardegna, 20 giugno 2020, disponibile all’indirizzo https://vimeo.com/430818183/aa798217f1

[13] Si veda T. Mann, Moniti all’Europa, con un’introduzione di G. Napolitano, nuova ed.it. Mondadori, Milano 2017. La presentazione del volume, con gli interventi di Cacciari, Maggioni, Mieli, Zavoli è disponibile su Radio Radicale.

[14] Berlino-Monaco, la crisi del compromesso che regge l’Europa, conversazione con M. Cacciari a cura di A. Aresu, «Limes», Essere Germania, 12/2018, p. 196.

[15] Si veda su questo anche il contributo di Cacciari in A. Bonomi, M. Cacciari, G. De Rita, Che fine ha fatto la borghesia? Dialogo sulla nuova classe dirigente in Italia, Einaudi, Torino 2004.

[16] Sul contesto filosofico-giuridico di Rathenau all’interno del dibattito sulla tecnocrazia, il contributo recente più profondo è in N. Irti, Del salire in politica. Il problema tecnocrazia, Nino Aragno Editore, Torino 2014 (il riferimento è tutta la seconda parte del volume, frutto del dialogo con Guido Rossi ed Emanuele Severino il 21 gennaio 2013 a Palazzo Strozzi).

[17] M. Cacciari, Walther Rathenau e il suo ambiente, cit., p. 42.

[18] Ivi, p. 53.

[19] Ivi, p. 66.

[20] C. Schmitt, Die Einheit der Welt, trad.it in Stato, Grande Spazio, Nomos, Adelphi, Milano 2015, p. 274.

Scritto da
Alessandro Aresu

Laureato in filosofia del diritto con Guido Rossi all’Università San Raffaele di Milano, è consigliere scientifico di «Limes» e collabora con varie riviste. È stato consulente e dirigente di diverse istituzioni, tra cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tra le sue numerose pubblicazioni: “Geopolitica dell’intelligenza artificiale” (Feltrinelli 2024), “Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia” (Feltrinelli 2022), “I cancelli del cielo. Economia e politica della grande corsa allo spazio. 1950-2050” (con Raffaele Mauro, Luiss University Press 2022), “Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina” (La Nave di Teseo 2020) e “L’interesse nazionale. La bussola dell’Italia” (con Luca Gori, il Mulino 2018).

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