Scritto da Tommaso Alberini
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Questo articolo si inserisce in un dibattito promosso da Pandora sulle categorie di liberalismo, liberismo e neoliberismo. Leggi gli altri contributi sul tema usciti finora:
1) Le due facce della medaglia neoliberale
Giovedì 9 aprile, alla libreria Ubik di via Irnerio a Bologna, Pandora ha patrocinato la presentazione del libro Il Front National da Jean-Marie a Marine Le Pen, del politologo Nicola Genga. Il libro ripercorre tutte le fasi di crescita e sviluppo di quello che ormai è, in Francia, un partito nazionale a tutti gli effetti, tanto da essere arrivato primo alle elezioni europee del 2014. Il volume, sopratutto, stimola domande: perchè, e come, nella culla della democrazia europea si è avviluppato il seme del nuovo fascismo, seguito a ruota da movimenti apparentemente analoghi sorti in tutto il continente? L’autore di questa riflessione era presente alla presentazione, che gli ha ispirato le seguenti considerazioni, che ci ha inviato.
So bene di non aver scoperto l’acqua calda, se dico che i nazional-populismi in Europa stanno più che mai avanzando: è un fenomeno evidente e iniziato da tempo. Vorrei però focalizzare l’attenzione su un dettaglio spesso trascurato: questi movimenti sono profondamente diversi tra loro, per ragioni storiche, geo-politiche e culturali legate alla terra di provenienza. L’unica cosa che li accomuna, il FN lepenista alla Lega Nord di Salvini, lo UKIP di Nigel Farage al M5S, i popolari danesi ad Alba dorata in Grecia e ad AFD in Germania (e già che ci siamo, in questo gran calderone, potremmo buttarci anche il movimento spagnolo “Podemos” e Syriza di Alexis Tsipras) è la loro avversione all’attualità sociale, politica ed economica europea.
Questi movimenti si oppongono allo status quo, dove sedicenti destre e sinistre “democratiche” si scannano in tivù e si coccolano a letto, adeguandosi compiacenti a ballare il valzer delle grandi istituzioni finanziarie. Accade ovunque: in Francia tra socialisti e neo-gollisti, in Germania con democristiani e socialdemocratici, e qui in Italia dove Renzi, per lo meno, ci risparmia l’iprocrisia di una diversità orgogliosa, tanto cara ai vecchi notabili del partito, facendo del trasformismo insipido il suo vessillo di battaglia. C’è una frase di Leonardo Notte, interpretato da Stefano Accorsi nella serie tv 1992, che riassume perfettamente la parabola dei nostri tempi: “illusione, delusione, collusione“. E’ il paradigma della nostra classe dirigente, un’intera generazione di sognatori che si è arresa alla fine della politica come scontro tra fazioni, crogiolandosi nell’idea comoda di un brodo caldo preparato dagli “esperti” e servito con reverenza, verso l’alto, e prepotenza, verso il basso. Questo “brodo caldo”di cui parlo è un insieme di ricette economiche e finanziarie che, nell’immaginario comune, si rifugia dietro al nome di “neo-liberismo”. Il termine è tuttavia assai inflazionato, il che crea non poca confusione laddove se ne voglia dare una definizione storicamente, culturalmente e, perchè no, anche etimologicamente corretta.
La parola “neo-liberismo“ sorge per indicare una rinascita delle teorie economiche classiche (seppellite nel 2° dopo guerra dal trionfo del keynesismo) che concepivano lo Stato come un guardiano della libera concorrenza, e gli individui come veri produttori di economia e progresso. Pur correndo il rischio di semplificare eccessivamente questa teoria, una sua formula riassuntiva potrebbe essere: – tasse e – spesa pubblica. Oggi l’idea non è più quella, però, e sempre più spesso si tende ad indicare come neo-liberiste le così dette politiche di austerity. Si è cioè stravolto il concetto di liberismo classico e si è sostituita la formula con una sua versione conservatrice, + tasse e – spesa pubblica. Si ha così il peggio di Keynes e il peggio di Hayek, anche perchè così lo Stato interviene eccome, ma solo per prelevare. Questa bella accozzaglia ideologica è poi promossa a oltranza dal manipolo di istituzioni transnazionali che da ormai due decenni guida il processo di mondializzazione economica: il Fondo Monetario Internazionale e la troika europea in testa. Il primo a metterci la faccia fu l’imprudente e beneamato Ronald Reagan, che con la sua incoscienza fiscale di – tasse e + spesa pubblica (per lo più di difesa militare, peraltro) traghettò il liberismo dalla vecchia alla nuova formula. Adesso la cautela non è più necessaria perchè quelle idee hanno cannibalizzato tutte le altre, e la faccia sopra ce la si mette anche volentieri: Christine Lagarde, Jyrki Katainen, Jean-Claude Juncker, solo per nominare i più noti.
A sinistra ci si sbizzarrisce e si invoca quest’ideologia come un demonio da esorcizzare, un maligno di cui liberarsi senza dio da sostituirvi: lo statalismo è tramontato e i progressisti non sanno che simulacro costruire al suo posto. A destra sono quanto mai confusi: “è roba nostra?”, si chiedono i più. Eppure anche da questa parte c’è chi combatte il “demonio” ribattezzato neo-liberismo, auspicando soluzioni difficilmente collocabili nello spettro politico-economico odierno: penso ad esempio al “liberismo protezionista” della Lega Nord.
Ma come si è arrivati a questo punto? Alla fine del secolo scorso, nella foga dei cambiamenti che stravolgevano il mondo, ci si ritrovò catapultati in un’orgia ideologica che piegò politica e politici come lamiera: era finita un’epoca e la guerra delle idee, che nei libri di storia è chiamata fredda, terminò lasciando tutti interdetti, vincitori e vinti. Pochi reagirono con coerenza, quasi tutti issarono le vele in direzione del vento favorevole. Il fatto è che, oggi, il così detto neo-liberismo è il pensiero unico, a destra come a sinistra, e l’architrave della politica mondiale è ormai un affresco scolorito che propone ovunque le stesse ricette, calmierate qua e là da accenti più nostalgici che ideologici.
Rousseau e i giacobini sorridono nella tomba, a vedere che l’idea occidentale di una storia progressiva dell’umanità si rivela falsa e quanto mai ipocrita: avevano ragione loro, a dire che il progresso è ciclico e che tutto, fatti eventi e persone, si ripete, al massimo tinteggiato dai colori delle epoche che si susseguono. E’ ciò che sta accadendo: l’integrazione europea, nome altisonante per un processo mortificante, è in realtà un ritorno lento e celato ad un mondo di governi paternalisti e sprezzanti, davvero poco interessati alle esigenze dei governati, cioè del popolo, molto interessati invece a ricostruire un ancièn regime fatto di disuguaglianze e proteste inascoltate: il tutto con la benedizione della stessa intellighènzia di stato, un tempo ruggente, oggi plaudente.
Il neo-liberismo vero, quello sorto in antitesi allo statalismo post-bellico, in realtà non ha mai preso piede: riposa in pace nelle pagine de La via della schiavitù di Friedrich Von Hayek, che suo malgrado è stato eletto oracolo dell’austerity senza aver mai speso una parola a riguardo. L’economista austriaco, con saggezza antica e all’apparenza severa, semplicemente bacchettava le dilapidazioni dei governi, che anzichè spendere il necessario a rendere gli individui un giorno autonomi li assisteva dalla culla alla tomba, senza mai dargli la possibilità di provvedere a loro stessi: come un papà che continua a spingerti anche quando le rotelle della bici le hai tolte da un pezzo. Ha preso piede, invece, un conservatorismo reazionario diffuso, che vanifica le costituzioni e le volontà popolari in nome di una scientificità dell’economia: come se la finanza e il diritto tributario fossero portatori di verità al pari della biologia molecolare e della fisica quantistica.
Tant’è che, a conti fatti, l’unica vera opposizione all’austerity dell’inarrestabile duo FMI-UE è costituita dai movimenti sopra citati, mediaticamente impressionanti ma elettoralmente ancora marginali. La loro continua crescita di popolarità, però, è un fatto, e quando tutti i conti pubblici avranno raggiunto il pareggio di bilancio e i governi eletti dal popolo avranno perso ogni potere di veto, forse sarà troppo tardi per preoccuparsi di questi pseudo-fascismi rinati in ogni dove, gli unici a dare risposte alle domande che vengono fatte. Le risposte date sono sbagliate, quasi sempre: razzismo, xenofobia, ricerca disperata di un capro espiatorio. Però sono risposte, mentre il resto del mondo politico soccombe nella muta complicità ad un’economia insensata e massacrante, inappropriatamente battezzata come “neo-liberista”.
Ma possiamo farci qualcosa?
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