Scritto da Angelo Turco
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L’opera di vari pensatori socialisti, in particolare ricordiamo quella di Giovanni Montemartini nel 1902[3], esplicita una “teoria della municipalizzazione” che si fonda su una scienza della finanza delle imprese pubbliche generale, ma diviene di particolare interesse nel momento in cui si pone come fine ultimo una filosofia della “redistribuzione”: il municipio diviene l’impresa politica che ha come scopo quello di ripartire su tutti i membri della collettività i costi di alcune produzioni o altri uffici, agendo per ottenere beni e servizi a prezzi più bassi di quelli dati dal mercato e utilizzando come reperimento delle risorse una leva fiscale progressiva. In questo modo il comune a guida socialista diviene un attore dal forte connotato classista, e la teoria del socialismo municipale afferma la necessità di rappresentare nella pratica gli interessi dei non privilegiati nell’arena del libero mercato agendo in funzione anti liberista. A questa teorizzazione si sommano quelle di Ivanoe Bonomi e Emilio Caldara, che affermano la necessità da parte del comune di creare profitto, in modo da poter estendere e ampliare l’azione democratica dell’istituzione con finalità prettamente sociali[4].
Tra i primi servizi istituiti dalle giunte socialiste annoveriamo i primissimi “centri di collocamento”, con varie funzioni (intermediaria, di classe e statistica): era per la prima volta possibile, monitorando le curve occupazionali delle categorie, influire in qualche modo sui livelli salariali. Tuttavia, la funzione preminente dei centri per l’impiego diviene via via statistica, sostitutiva rispetto all’intermediazione privata e di assistenza per i cittadini, dato che la prerogativa del collocamento rimane alle Camere del Lavoro. Un altro aspetto fondamentale è quello della politica fiscale. Giacomo Matteotti teorizza il principio del completo passaggio agli enti locali delle imposte personali, delineando per la prima volta nella storia del socialismo italiano una riflessione sulla “questione tributaria”[5] e proponendo una distinzione dei redditi (di puro capitale, redditi misti, redditi di puro lavoro) in ordine decrescente di tassabilità. Ma proprio sul tema fiscale le municipalità socialiste incontrano i limiti della legislazione italiana liberale prefascista. E in questa ottica si può non a torto parlare di “sovversivismo municipale”, nella misura in cui i socialisti fanno delle proprie amministrazioni dei centri di propaganda di un sistema alternativo e, sfruttando la naturale propensione delle classi oppresse e sfruttate a rivolgersi primariamente ad esso tra tutte le istituzioni, promotori di un nuovo ruolo di attore sociale.
In questo ventennio drammatico, che comprende anche la Prima Guerra Mondiale, le municipalità socialiste si fanno carico di dare vita a servizi di tutela del lavoro, assistenza pubblica, municipalizzazione delle aziende di trasporto, pubblica istruzione, lotta alla ricchezza improduttiva, sostengo ai disagiati, gestione del credito (mediante il controllo delle Casse di Risparmio locali), sostentamento annonario della popolazione e politiche abitative popolari. E proprio contro le giunte socialiste si scatenerà la prima, tragica e drammatica offensiva del fascismo, intenzionato a ripristinare il controllo legale e finanziario sul sistema di potere locale.
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