“Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica” di Luciano Floridi
- 29 Maggio 2020

“Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica” di Luciano Floridi

Recensione a: Luciano Floridi, Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2020, pp. 278, 16 euro (scheda libro)

Scritto da Otello Palmini

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Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica di Luciano Floridi – professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, dove dirige il Digital Ethics Lab – prosegue una riflessione aperta dai testi, editi da Raffaello Cortina e già recensiti da noi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo e Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale. Concetti affrontati anche nell’intervista a Floridi sull’ultimo numero cartaceo di Pandora Rivista, svolta a margine dell’incontro “Per un’etica della tecnologia” che si è tenuto lo a febbraio 2020 a Bologna in collaborazione con CUBO Condividere Cultura.


Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica, l’ultimo libro in lingua italiana del professor Luciano Floridi tenta un’operazione molto complessa ma necessaria, ovvero dare una curvatura politica alla riflessione sulla realtà contemporanea portata avanti dall’autore. Il libro, infatti, pubblicato da Raffaello Cortina Editore segue altri due testi, dello stesso autore, usciti per la stessa casa editrice: l’ormai classico La quarta rivoluzione, dedicato a chiarificare alcuni aspetti fondamentali del mondo scaturito dalla rivoluzione digitale e Pensare l’infosfera dedicato al design di un pensiero filosofico capace di comprendere la nuova realtà. Il verde e il blu si presenta, allora, come un libro sulla politica nell’infosfera, un passaggio decisivo dato che «le nuove sfide del digitale si presentano, nei prossimi decenni, come legate soprattutto alla governance del digitale, non tanto alle sue innovazioni tecnologiche ulteriori» (p.256). In questo contesto, in cui la nuova realtà è stata aperta dalla rivoluzione digitale, Floridi considera la politica come l’unico mezzo in possesso dell’uomo per cambiare e indirizzare verso determinati fini la realtà che lo circonda. Emerge, quindi, una necessità e una inaggirabilità del pensiero politico in un tempo, come quello dell’infosfera, in cui la struttura del nuovo mondo ibrido (digitale-analogico) è ancora malleabile e modificabile.

Il primo passo per una politica all’altezza del nostro tempo è, secondo Floridi, il riconoscimento dell’essenza della rivoluzione digitale (tema a cui era dedicato La quarta rivoluzione). La rivoluzione digitale ha re-ontologizzato la nostra realtà, modificandola nel profondo. Siamo oggi in quella che Floridi ama definire la «società delle mangrovie», organismi che vivono in acque che non sono facili da definire come dolci o salate. Come le mangrovie viviamo immersi in una società dove è impossibile separare nettamente l’analogico e il digitale. La comprensione di questa essenza ibrida della realtà è il primo passo per una buona politica. Il secondo passo, rispetto a cui il primo è condizione necessaria ma non sufficiente, è quello di un radicale cambio della nostra Ur-Filosofia, ovvero del modo essenziale in cui concepiamo la realtà (questo il tema di Pensare l’infosfera). Seguendo la diagnosi di Floridi la filosofia profonda che permea la riflessione politica, e non solo politica, contemporanea è di tipo aristotelico-newtoniano, una concezione della realtà che ha il suo compimento nell’idea di «meccanismo sociale» in cui «entità atomiche a sé stanti, grazie alle loro proprietà e ai loro comportamenti, sono combinate in una struttura che ha le sue proprietà e i sui comportamenti, come un orologio analogico» (p.45). Floridi sostiene che questa ontologia sociale e politica sia radicalmente arretrata e strutturalmente inadatta a comprendere e quindi a modificare efficacemente l’infosfera. È necessario, dunque, un cambio di paradigma che sposti il nostro focus dalle cose alle relazioni, dal vedere atomi che entrano in comunicazione al vedere relazioni che costruiscono nodi. «Il nuovo modello», spiega Floridi, «ponendo le relazioni al centro del dibattito sociopolitico, riesce più facilmente ad includere tutte le entità (relata), non solo le persone, ma anche il mondo delle istituzioni, degli artefatti e della natura, perché in una rete non esiste un nodo esterno, isolato dagli altri, cosa invece possibile in un meccanismo» (p.56).

Questi due passaggi sono fondamentali per una politica effettuale all’interno di una società matura dell’informazione come quella in cui viviamo. Questa maturità non dipende solamente dal fatto che la nostra società, anche nello specifico quella italiana, è necessariamente sorretta da delle infrastrutture digitali. La maturità si misura, soprattutto, sulle aspettative della popolazione: viviamo in una società matura dell’informazione se «diamo per scontato di poter ordinare qualsiasi prodotto on-line, pagarlo digitalmente, scambiare ogni tipo di contenuto sul Web, formulare qualsiasi domanda e trovare informazioni di qualunque tipo, usufruiamo di servizi, mass-media e intrattenimenti digitali e così via, e tutto questo in ogni momento, in ogni luogo, in modo continuo,[…] senza dover chiedere se sia possibile o stupirsi che lo sia» (pp.95-96).

Ecco, in queste società mature manca una componente fondamentale per avere una politica all’altezza, ovvero un progetto umano (una visione del mondo) che abbia già fatto i passaggi che abbiamo riportato e che abbia degli obiettivi verso i quali indirizzare queste società. L’attuale progetto umano – che Floridi chiama metaprogetto postmoderno – è liberale (ovvero promuove le libertà dei singoli), è liberista (ovvero pensa lo Stato come mero assicuratore della libertà di mercato) ed è incompleto (dato che si focalizza sul massimizzare l’interesse delle persone, fisiche o giuridiche, ma dimentica un progetto sociale e comunitario). Questo progetto umano sta generando mostri come le disuguaglianze sociali e i disastri ambientali rendendo problematica e alla fine impossibile la convivenza tra uomini e tra uomo e ambiente. Il primo problema da superare è quello dell’incompletezza, infatti il nuovo progetto umano deve essere un orizzonte di senso non solo per le esistenze individuali ma anche per le comunità, insomma deve essere presente un progetto sociale che oggi tragicamente sembra mancare. Un progetto che parta dalla considerazione della società come rete e non come insieme di atomi.

La struttura di questo progetto è descritta da Floridi attraverso il concetto di «trust universale» che si fonda su un patto ipotetico che ogni essere umano sancisce con la sua nascita, un accordo di relazione con gli altri e con il mondo. I beni coinvolti in questo trust sono il mondo stesso e le generazioni umane, i donatori sono le generazioni presenti e passate, i fiduciari quelle presenti e i beneficiari le generazioni future. Questa declinazione del rapporto uomo mondo – che potrebbe entrare in dialogo con alcune intuizioni di Hans Jonas – pone l’umanità in «un unico e speciale ruolo protagonista nel prendersi cura del mondo» (p.121). A questa umanità che deve prendersi cura del reale Floridi dedica anche un breve ma incisivo passaggio volto a delineare un paradigma di antropologia filosofica per l’era digitale. Un antropologia filosofica che vede l’eccezionalità umana come eccentricità rispetto alla catena dell’essere naturale, che vede l’uomo come una fantastica anomalia nella natura. Anche qui sono molto interessanti i possibili contatti con la grande antropologia filosofica tedesca di Arnold Gehlen (per quanto riguarda l’intendere l’eccezionalità umana per sottrazione) e Helmuth Plessner (padre del concetto di eccezionalità umana come eccentricità). L’uomo quindi, questa possibilità straniera nella necessità naturale si trova in un mondo che lo ospita e di cui dovrebbe prendersi cura e non tanto per un senso di bontà ma perché la sua stessa vita dipende dalla relazione che intrattiene con questo sistema che lo ospita. Per dirla con Jonas, la libertà della distanza e del dominio deve diventare scelta per la responsabilità, per la cura del mondo. Sulla fondazione di questo passaggio si basa l’etica per la civiltà tecnologica del filosofo tedesco e questo stesso punto appare centrale nella struttura del trust delineata da Floridi. Questa etica per la civiltà digitale necessita, a parere di Floridi, di una struttura capace di promuoverla, di quella che nel libro viene chiamata infraetica. Ovvero una strutturazione dell’infosfera in grado di promuovere azioni che non danneggino i singoli e le comunità. Una sorta di regolamentazione del campo da gioco, di infrastruttura volta a promuovere l’azione etica che riesca ad esempio ad assicurare la sicurezza dei dati, la privacy in generale, l’assenza di un dibattito inquinato da fake news e altre pratiche che possano mantenere in salute il campo in cui il gioco democratico deve svolgersi.

Un altro punto strutturale individuato da Floridi è quello del lavoro: «nel lungo periodo, la disoccupazione tecnologica diventerà occupazione del tempo libero solo se riusciremo a slegare la disoccupazione dalla mancanza di reddito, dalla conseguente protesta sociale dovuta alla disoccupazione […] e dalla relativa erosione della dignità personale, nella misura in cui avere un lavoro pagato è visto ancora nella nostra cultura attuale come sinonimo di avere un ruolo nella società» (p.162). Sul tema lavoro, quindi, il cambio di paradigma deve essere deciso per non trasformare l’età dell’automazione in un età tragica per gli esseri umani. Dice Floridi, «Se si ha in mente il progetto umano sbagliato, si finisce per interpretare erroneamente la disoccupazione tecnologica come una maledizione, quando in realtà la maledizione è quella di dover magiare il pane guadagnato “con il sudore della fronte”» (p.164). Qui oltre ad un cambio legislativo su lavoro, sistema di tassazione e ridistribuzione della ricchezza è necessaria una seria revisione filosofico-culturale riguardo al legame strettissimo che parte della tradizione occidentale ha istituito tra lavoro e dignità, specialmente nella torsione che tale legame ha subito nella società capitalistica.

Continuando a sondare i punti critici per la promozione di una politica efficace per i nostri tempi Floridi mette in evidenza un legame strutturale tra la rivoluzione digitale e il rapporto, sempre più stretto, tra marketing e politica. Le dinamiche del marketing grazie alla grandissima disponibilità di dati e alla capacità di analizzarli hanno progressivamente inglobato anche il campo del discorso politico. È il campo del politico, ormai divenuto marketing, ad alimentare logiche perverse che a parere di Floridi sono state sfruttate nel miglior modo possibile dai movimenti populisti. Oggi è la democrazia – che noi occidentali abbiamo sempre ritenuto una cura da esportare – ad essere malata. La democrazia intesa, seguendo Floridi, come struttura di potere, dotata di pesi e contrappesi, caratterizzata dalla divisione tra possesso del potere ed esercizio del potere, certamente un sistema imperfetto e spesso non ottimamente funzionale ma il sistema che permette i fallimenti meno rovinosi «è il sistema politico più “elastico” (resiliente), ma non il più efficace. La migliore autocrazia illuminata […] funziona meglio della migliore democrazia rappresentativa, ma quando non funziona è un disastro irrecuperabile» (pp.209-210).

Questi ed altri problemi devono farci percepire come urgente un cambio della politica nell’epoca digitale, infatti «la governance del digitale al momento è delegata al mondo aziendale – primariamente americano – di cui implementa la logica del profitto e la mentalità imprenditoriale. È una soluzione insoddisfacente, perché in essa è insito il costante rischio del monopolio colonizzante. Per migliorarla c’è bisogno soprattutto di strategie politiche e di coraggio nel fare scelte sociali giuste» (p.256). Il verde e il blu evocati come titolo del libro rappresentano l’alleanza tra digitale e ambiente, in una visione in cui il secondo non viene viso solo come ambiente naturale ma anche come ambiente sociale, comunitario. Nonostante il forte impatto ambientale della rivoluzione digitale, che viene riconosciuto, Floridi è convinto che la maggior efficienza portata nel mondo dagli strumenti digitali, ovvero il fare di più con meno, possa assicurare una florida convivenza tra il verde e il blu a patto che del blu venga cambiata la governace. Il digitale dovrebbe diventare – in quella logica del trust universale che abbiamo già trattata – un potente alleato nella cura del mondo a cui la nostra eccezionalità eccentrica ci richiama. Andare verso un economia non lineare, cambiare radicalmente il nostro modello di sviluppo, ripensare il ruolo del lavoro nella nostra società, farci curatori di un mondo di cui per ora stiamo accelerando la fine: certamente alcuni tratti del discorso di Floridi possono risultare utopici ma l’autore riconosce esplicitamente questo “rischio” e rilancia «non si vive di solo mutuo. Per questo l’offerta migliore, per un utopia sociale degna di sacrificio, purtroppo viene dai fondamentalismi. A diciott’anni si può vagheggiare di morire imbracciando un kalashnikov, non per la prossima versione del cellulare. Perciò la terapia deve partire dal disegno condiviso di un progetto umano in comune degno del nostro impegno» (p.223).

Il capitolo centrale del libro è, come indicato dall’autore, il numero 19 in cui vengono elencate in maniera sintetica e puntuale le idee che abbiamo cercato di riassumere. Questo lavoro di Floridi inizia un discorso politico decisivo per la nostra epoca cercando di delineare quella che stressando un po’ il linguaggio del filosofo potremmo chiamare una “infrapolitica”, ovvero una diagnosi delle problematiche che la prassi politica si trova ad affrontare in questo tempo e l’inizio di un tentativo di soluzione che più che consegnarci un vero e proprio programma politico illumina, in verde e blu, una direzione e mira a costruire o, meglio, a rinsaldare un’infrastruttura del dibattito pubblico democratico funzionale ad un efficace e informato dibattito politico. Dalla lettura si esce con la certezza che la politica, quella ben fatta, è lontana dall’essere superata nell’epoca dell’intelligenza artificiale e dei big data, anzi, forse in questo tempo in cui al centro del dibattito abbiamo non tanto l’innovazione tecnologica in sé, ma la sua governance la politica dovrebbe diventare l’unica cosa che conta.

Al libro è aggiunto un postscritto riguardante l’evento epocale che segna il tempo della stesura del lavoro stesso, ovvero Il COVID-19. Floridi mette in luce la grande disinformazione che ha accompagnato la recente epidemia, una vera e propria infodemia a cui forse la nostra società, che ne aveva già in parte affrontata una nel 2003 al tempo della SARS, doveva farsi trovare più pronta. Tuttavia il recente virus, dice Floridi, sta mettendo ancora più in luce le potenzialità reali del digitale e la sua capacità di aiutare il mondo fisico a non crollare anche in situazioni avverse come questa. L’auspicio dell’autore è che questo evento possa essere una spinta capace di far comprendere l’urgenza di un nuovo progetto umano. Il tempo a nostra disposizione per questa inversione di rotta si va assottigliando, ma «se il coronavirus sarà servito a ricordarci dell’importanza di avere anche un progetto sociale, per tutta la comunità umana, e che, banalmente l’unione fa la forza, mentre l’individualismo lasciato a se stesso, indebolisce la società, allora avrà avuto un ruolo positivo […] la lezione appresa potrà mettersi in pratica subito» (p. 272).

Scritto da
Otello Palmini

Dottorando in Architettura e Pianificazione urbana all’Università di Ferrara (IDAUP). Laureato in Scienze filosofiche all’Università di Bologna. Membro fondatore del gruppo Prospettive Italiane. Tra gli ambiti di ricerca: Filosofia della tecnica e della tecnologia; intersezione tra tecnologia digitale e pianificazione urbana.

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