Il vincolo esterno tra economia e politica
- 02 Novembre 2020

Il vincolo esterno tra economia e politica

Scritto da Andrea Cavalcanti

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La teoria del “vincolo esterno” rappresenta una chiave di lettura originale della storia dell’Italia repubblicana, in particolare a partire dagli anni Settanta. Formulata da Guido Carli, sostenitore della necessità del vincolo, negli ultimi anni la teoria è stata ripresa soprattutto dai suoi detrattori, spesso decisamente polemici nei confronti delle istituzioni internazionali e sovranazionali. Tuttavia, lo studio del vincolo esterno può essere considerato essenziale per comprendere non solo il rapporto tra l’Italia e la dimensione internazionale, ma anche tra la classe politica italiana e alcuni settori della classe dirigente economica[1]. Per capire tutto ciò, è necessario partire da un libro.

Nel 1992 Guido Carli, Governatore della Banca d’Italia dal 1960 al 1975 e Ministro del Tesoro dal 1989 al 1992, decise di scrivere un libro che raccontava la storia dell’Italia repubblicana. Avendo ricoperto importanti ruoli istituzionali nel corso della seconda metà del Novecento, Carli intendeva raccontare alcuni eventi fondamentali della storia d’Italia dal suo privilegiato punto di vista. Il libro, intitolato Cinquant’anni di vita italiana ed edito da Laterza, fu pubblicato nel 1993 e divenne fin da subito oggetto di un acceso dibattito pubblico[2]. Per quale motivo? E come mai al giorno d’oggi importanti studiosi ritengono il libro dell’ex Governatore della Banca d’Italia una testimonianza significativa?

Già nell’introduzione, Carli rivela la sua interpretazione della storia italiana. A suo avviso, l’Italia possiede due anime: alcuni ritengono che lo Stato debba intervenire massicciamente nell’economia, per altri invece lo Stato deve limitarsi a porre determinate regole generali per garantire il corretto funzionamento del libero mercato. Secondo Carli, la storia dell’Italia repubblicana è caratterizzata da una costante, anche se a volte celata, “lotta” tra queste due anime. Una lotta impari, in quanto secondo l’autore durante la seconda metà del Novecento quasi tutta la classe politica italiana è stata a favore del robusto intervento dello Stato nell’economia, mentre solo un’esigua minoranza ha promosso l’astensione dello Stato nell’economia[3]. Nonostante la presenza di una classe politica priva di un autentico sentimento liberale, l’Italia è riuscita a dotarsi di una economia di mercato che ha consentito al Paese un importante sviluppo economico, a partire dall’immediato dopoguerra, annota l’ex Ministro del Tesoro. Ma come è stato possibile che una società indifferente alla cultura liberale abbia potuto affermare una economia di mercato?

La risposta di Carli a questa domanda rappresenta il fulcro della sua riflessione: fin dal secondo dopoguerra, l’Italia è stata condizionata dalle istituzioni internazionali e poi sovranazionali: in primo luogo, gli organismi nati dagli Accordi di Bretton Woods (l’Italia aderì agli Accordi nel 1947); negli anni successivi, le Comunità europee. Queste istituzioni, alle quali l’Italia si è volontariamente vincolata, hanno influenzato in modo decisivo la storia repubblicana. Sulla base di queste considerazioni, Carli esplicita la teoria del vincolo esterno. La classe politica italiana, e la società italiana in senso lato, non sono animate da uno spirito liberale, essenziale per il funzionamento e lo sviluppo di una comunità: di conseguenza, è stato necessario che istituzioni internazionali e/o sovranazionali obbligassero l’Italia a rispettare determinati parametri e regole. È evidente che il ragionamento di Carli parte da un presupposto ben preciso: una radicale sfiducia verso la classe politica italiana, ritenuta incapace di assolvere i suoi compiti. E dunque una radicale sfiducia verso la società italiana, i cui “istinti animali” (definiti in questo modo dall’autore) hanno prevalso rispetto alla responsabilità collettiva[4].

Le riflessioni di Carli rappresentano un imprescindibile punto di partenza per indagare sulla teoria del vincolo esterno. L’ex Ministro del Tesoro dichiara apertamente che l’Italia ha dovuto delegare ad istituzioni internazionali e sovranazionali rilevanti quote di sovranità con lo scopo di migliorare l’economia e il funzionamento del Paese. A questo proposito, è necessario soffermarsi su quest’ultimo aspetto: le scelte politiche ed economiche sembrano essere giudicate neutrali. A giudizio di Carli, l’Italia è stata costretta a vincolarsi ad istituzioni esterne, onde evitare irreversibili crisi economiche. Stiamo parlando di un giudizio tecnico o politico?

Gli studiosi del vincolo esterno si sono a lungo soffermati sul punto[5], soprattutto in relazione alla storia d’Italia dalla fine degli anni Settanta agli inizi degli anni Novanta. In questa sede non interessa discutere nel merito delle trasformazioni economiche (nazionali e internazionali) avvenute durante quegli anni. È invece significativo rilevare il mutamento del clima politico, economico e culturale che si affermò alla fine degli anni Settanta. In quasi tutto l’Occidente, il modello sociale ed economico dominante, il cosiddetto Stato sociale keynesiano, fu fortemente messo in discussione. La vittoria di Margaret Thatcher alle elezioni politiche britanniche del 1979 e la vittoria di Ronald Reagan alle elezioni presidenziali statunitensi del 1980 rappresentano una svolta economica epocale: il modello keynesiano è accantonato, le tesi economiche neoliberali diventano pian piano egemoni, in particolare nella Comunità economica europea, ritenuta da molti economisti e da molti politici idonea per l’attuazione del neoliberalismo[6]. La conseguenza è l’adozione di politiche economiche opposte alle politiche economiche keynesiane: diminuzione delle tasse, della spesa pubblica e dell’inflazione. In Italia, tuttavia, negli stessi anni nessun partito politico promuove un modello economico neoliberale (ad eccezione del Pli, che tuttavia svolge un ruolo secondario). Le politiche adottate da Margaret Thatcher e da Ronald Reagan non trovano un grande favore da parte dei principali partiti italiani. La bibliografia sull’evoluzione del sistema economico dell’Italia repubblicana e sulle sue relative disfunzioni è sterminata, e in questa sede non è importante soffermarsi sui pregi e sui difetti dell’economia italiana in quegli anni. Tuttavia, è interessante notare che gli studiosi hanno più volte evidenziato le pressioni di una importante élite tecnocratica italiana verso i governi nazionali per l’adozione di politiche economiche neoliberali: in particolare, la diminuzione dell’inflazione e della spesa pubblica. Consapevoli dell’indifferenza, e, dal loro punto di vista, dell’irresponsabilità della classe politica verso l’aumento dell’inflazione prima e del debito pubblico poi, questa “tecnostruttura”, i cui membri ricoprivano importanti ruoli nella Banca d’Italia e nel Ministero del Tesoro, concepivano il rafforzamento del rapporto tra l’Italia e l’integrazione europea come uno strumento alternativo per migliorare lo stato dell’economia italiana. A loro avviso, la Comunità economica europea poteva rappresentare un vincolo esterno all’Italia per influenzare la gestione politica dell’economia: il vincolo esterno come strumento politico interno. Lo studio dell’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo (1979), all’Atto unico europeo (1986) ed infine al Trattato di Maastricht (1992) mettono in luce il ruolo svolto da questa élite tecnocratica (i cui principali rappresentanti sono lo stesso Guido Carli e Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d’Italia dal 1979 al 1993)[7].

Convinti sostenitori del processo d’integrazione, essi promossero l’adesione dell’Italia ai Trattati europei per disciplinare l’economia. La presunta incapacità ed irresponsabilità della classe politica nell’affrontare e nel risolvere i problemi economici portò questa élite tecnocratica a promuovere il vincolo esterno, ritenuto necessario per curare i mali economici del Paese, come l’alta inflazione, la crescita del debito pubblico e della spesa pubblica improduttiva. È lo stesso Carli che palesa queste intenzioni: «Il Trattato di Maastricht è stato ratificato dal nostro Paese. Eppure, ancora una volta, dobbiamo ammettere che un cambiamento strutturale avviene attraverso l’imposizione di un ‘vincolo esterno’. Ancora una volta, come già nel caso del Trattato di Roma, come nel caso del Sistema monetario europeo, un gruppo di italiani ha partecipato attivamente, lasciando tracce importanti del proprio contributo, all’elaborazione di quei trattati che hanno poi rappresentato ‘vincoli esterni’ per il nostro Paese. Ancora una volta, si è dovuto aggirare il Parlamento sovrano della Repubblica, costruendo altrove ciò che non si riusciva a costruire in patria»[8].

Dunque, dalla fine degli anni Settanta all’inizio degli anni Novanta questa “tecnostruttura” influenzò direttamente i governi nazionali per promuovere l’adesione dell’Italia ai Trattati europei. La ricostruzione fin qui svolta sarebbe parziale se non ci si soffermasse sulla posizione dei governi italiani rispetto al processo d’integrazione europea durante gli anni Ottanta. In linea generale, l’Italia ebbe sempre come scopo partecipare ad ogni tappa del processo d’integrazione, restando al passo delle nazioni più importanti. Tuttavia, l’intenzione di essere sempre disponibili ad implementare la costruzione europea ha spesso reso meno chiare le conseguenze derivanti dall’adesione ai Trattati in materia di politica economica (in particolare, con il Trattato di Maastricht)[9]. Conseguenze politicamente non neutrali, ma espressione del modello neoliberale promosso dalla Comunità economica europea e pienamente condiviso dalla “tecnostruttura”. Ancora una volta, è lo stesso Guido Carli che chiarisce le conseguenze politiche ed economiche dello sviluppo del processo d’integrazione europea, in questo caso riferendosi direttamente agli effetti del Trattato di Maastricht: «L’Unione europea implica la concezione dello ‘Stato minimo’, l’abbandono dell’economia mista, l’abbandono della programmazione economica, la ridefinizione delle modalità di composizione della spesa, una redistribuzione delle responsabilità che restringa il potere delle assemblee parlamentari ed aumenti quelle dei governi»[10]. Consapevole della portata storica del Trattato di Maastricht, Carli dichiara che il trattato rappresenta per l’Italia «un mutamento di carattere costituzionale»[11] (e dunque di carattere politico).

La teoria del vincolo esterno, elaborata in modo compiuto da Guido Carli, ha il merito di analizzare da un punto di vista alternativo la storia dell’Italia repubblicana, e in particolare la relazione tra l’Italia e l’integrazione europea. Questa teoria permette di comprendere il complesso rapporto che si è affermato in Italia tra la politica e alcuni settori della classe dirigente economica, i quali, in particolare nel corso degli anni Ottanta, hanno nutrito una sempre maggiore sfiducia nei confronti dei partiti politici, ritenuti incapaci di avere una visione di lungo periodo. Tuttavia, le ricerche degli studiosi hanno dimostrato che la questione non può essere facilmente liquidata come un rapporto tra una classe politica inetta e irresponsabile e una classe dirigente economica lungimirante: al netto di ogni giudizio nel merito, è evidente che la ricerca del vincolo esterno ha prodotto conseguenze fondamentali, che hanno modificato non solo l’economia italiana, ma anche la politica. La ricerca del vincolo esterno ha avuto come principale scopo la diminuzione dei poteri della politica nazionale in favore delle istituzioni internazionali e sovranazionali, perciò questioni fortemente politiche, non neutrali o tantomeno tecniche. La cosiddetta “tecnostruttura” ha promosso una visione economica inevitabilmente politica, sulla base di quel modello economico che dalla fine degli anni Settanta diventerà sempre più predominante, il neoliberalismo.

Dunque, anche alla luce degli eventi successivi al Trattato di Maastricht, è possibile aggiornare la suggestiva idea di Guido Carli secondo il quale l’Italia possiede due anime: l’Italia ha posseduto due anime, ma ora sembra possederne solo una.


[1] Sulla teoria del vincolo esterno in generale, cfr. E. Diodato, Il vincolo esterno. Le ragioni della debolezza italiana, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2014; K. Dyson, K. Featherstone, The Road to Maastricht. Negotiating economic and Monetary Union, Oxford University Press, Oxford, 1999, pp.452-533; R. Gualtieri, L’Europa come vincolo esterno, in P. Craveri, A. Varsori (a cura di), L’Italia nella costruzione europea. Un bilancio storico (1957-2007), Milano, FrancoAngeli, 2009; per una interpretazione critica del vincolo esterno, cfr. A. Somma, Sovranismi. Stato, popolo e conflitto sociale, Roma, DeriveApprodi, 2018, pp.94-101, L. Caracciolo, Euro no. Non morire per Maastricht, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp.53-58.

[2] G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993.

[3] G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993, p.3.

[4] Ivi, pp.5-7.

[5]E. Diodato, Il vincolo esterno. Le ragioni della debolezza italiana, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2014, p.89; K. Dyson, K. Featherstone, Italy and EMU as a “Vincolo Esterno”: Empowering the Technocrats, Transforming the State, South European Society and Politics, 1/1996, pp. 272-277.

[6] Sul rapporto tra il modello neoliberale e le istituzioni europee, cfr. F. Saraceno, Neoliberale o niente? Unione europea e teoria macroeconomica, in L. Mechi, D. Pasquinucci (a cura di), Integrazione europea e trasformazioni socio-economiche, Milano, FrancoAngeli, 2017.

[7] A. Varsori, La Cenerentola d’Europa, L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2010, p.330, pp.356-357, pp.367-369; D. Pasquinucci, L’Europa “a scatola chiusa”. L’Italia dall’Atto unico a Maastricht, in Officina della storia n.18/2017, K. Dyson, K. Featherstone, Italy and EMU as a “Vincolo Esterno”: Empowering the Technocrats, Transforming the State, South European Society and Politics, 1/1996, pp. 272-277; A. Gigliobianco, Via Nazionale. Banca d’Italia e classe dirigente: cento anni di storia, Roma, Donzelli, 2006, pp.352.

[8] G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993, p.9.

[9] A. Varsori, La Cenerentola d’Europa, L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2010, p.327, p.359; K. Dyson, K. Featherstone, Italy and EMU as a “Vincolo Esterno”: Empowering the Technocrats, Transforming the State, South European Society and Politics, 1/1996, p.274; D. Pasquinucci, L’Europa “a scatola chiusa”. L’Italia dall’Atto unico a Maastricht, in Officina della storia n.18/2017.

[10] G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993, p.436.

[11] Ibidem.

Scritto da
Andrea Cavalcanti

Classe 1996, nato a Roma, si è laureato nel 2019 in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università di Roma “La Sapienza” con una tesi in storia contemporanea. È attualmente uno studente magistrale in Relazioni internazionali presso la medesima università. Appassionato di storia e di politica, nell’ambito universitario si è occupato soprattutto della storia del fascismo e della storia dell’integrazione europea.

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