Incertezza macroeconomica generale. Le incertezze che scandiranno i tempi e i modi della ripresa
- 20 Dicembre 2021

Incertezza macroeconomica generale. Le incertezze che scandiranno i tempi e i modi della ripresa

Scritto da Gianluca Pallante, Federico Riccio

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Questo contributo fa parte della sezione “Il PNRR in dettaglio visto dalla Next Generation” del numero 2/2021 di Pandora Rivista “Next Generation EU. Leggere il PNRR” – nata da una collaborazione con l’esperienza di “Next Generation Research”, un gruppo di giovani ricercatori e ricercatrici di diverse discipline della Scuola Superiore Sant’Anna e di altre Università. Per maggiori dettagli è possibile leggere l’introduzione a questa sezione, a cura di Francesca Coli e Alessandro Mario Amoroso, che presenta anche l’indice di tutti i 18 contributi di “Next Generation Research”.

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Nel 1978, il fisico inglese Sir Michael Berry provò a prevedere il percorso di una palla da biliardo[1]. Conoscendo poche variabili elementari come la forza impressa e l’attrito dal tavolo, ipotizzare il primo impatto è piuttosto semplice. Il secondo è solo leggermente più complicato da congetturare. Per il nono impatto bisogna tenere in considerazione l’attrazione gravitazionale delle persone intorno al tavolo, mentre, per il cinquantaseiesimo, servirebbero assunzioni su ogni particella dell’Universo. Se prevedere il percorso di una palla da biliardo è così complesso, è evidente che alla vigilia del piano di investimenti più ambizioso della storia dell’Unione Europea è difficile prevedere quale sarà il suo impatto sull’economia italiana.

Viviamo in un periodo con poche certezze: una situazione politica instabile, tre governi negli ultimi tre anni e una campagna elettorale alle porte; delle istituzioni comunitarie fiaccate da un diffuso euroscetticismo; un quadro economico europeo frammentato e già tormentato da più di un decennio di crisi che hanno colpito in modo asimmetrico i Paesi dell’Unione. Sarà possibile intraprendere un sentiero di crescita nonostante il contesto precario?

L’articolo cercherà di illustrare il quadro macroeconomico in cui si inserisce il PNRR e di commentare la stima degli impatti sull’economia italiana così come descritti nell’ultimo capitolo della versione trasmessa alla Commissione europea il 30 aprile 2021. Ci soffermeremo sulle diverse forme di incertezza di natura politico-economica, procedurale e tecnica che aleggiano intorno alle aspettative di realizzazione del Piano. Nella parte finale, prendendo spunto dalle esperienze di altre Paesi, si discuteranno soluzioni e scenari che aiutino ad affrontare l’incertezza radicale che si cela dietro le stime puntuali dell’impatto macroeconomico.

Colta impreparata dall’avvento della pandemia, l’Unione Europea ha subìto una contrazione del PIL del 6,6% nel 2020[2], tra le peggiori performance tra i Paesi OCSE, e un eccesso di mortalità rispetto al quinquennio precedente superiore alla media mondiale[3]. In questo contesto allarmante, l’Italia, primo Paese avanzato seriamente colpito dalla pandemia, ha registrato un calo del PIL di 8,9 punti percentuali. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede una crescita per l’Italia del 4,2% nel 2022 con un PIL che tornerà ai livelli pre-crisi solamente nel quarto trimestre. Ma gli effetti negativi della pandemia rischiano di perdurare ancora molti anni, specialmente per le fasce di popolazione già in difficoltà.

I prolungati confinamenti, il blocco delle attività produttive decisi dai governi per evitare la diffusione del Covid-19 e il sovraccarico dei sistemi sanitari hanno causato una crisi congiunta della domanda e dell’offerta. Da un lato, l’incertezza dovuta all’imprevedibilità della situazione sanitaria ha posticipato gli investimenti privati; dall’altro molti lavoratori si sono ritrovati senza un reddito stabile causando una caduta dei consumi.

I leader dei Paesi europei, mossisi con insolita tempestività, hanno concordato degli interventi dell’importo complessivo di 1.824 miliardi di euro per far ripartire il circolo virtuoso dell’economia[4]. Una manovra senza precedenti sulle cui conseguenze si è acceso un animato dibattito accademico[5].

Prevedere l’andamento delle principali variabili economiche è un esercizio utile per le economie moderne perché favorisce il coordinamento delle aspettative degli operatori economici. Inoltre, stimare l’impatto macroeconomico di una politica aiuta a monitorarne l’efficacia, programmare gli interventi futuri, ma soprattutto a giustificare ‘tecnicamente’ delle decisioni politiche.

Presagire il futuro è da sempre un’ossessione dell’umanità, in particolar modo alla vigilia di periodi di grande incertezza. E se nell’era preindustriale si osservava il volo degli uccelli per predire i vincitori di una battaglia o la quantità di pioggia, le società contemporanee, molto più materialiste e razionali, si affidano agli economisti per prevedere la produzione industriale dell’anno successivo, spesso con scarsi risultati. Seguendo questa chimera, nei centri di ricerca di banche e ministeri vengono utilizzati complessi modelli teorico-statistici che, grazie ad assunzioni eroiche sul funzionamento dei sistemi economici[6], possono stimare come reagiranno le principali variabili ad eventi esterni negativi, come la crisi pandemica, o positivi, come un piano di investimenti da 1.824 miliardi di euro.

 

Impatto macroeconomico generale

I modelli usati per rispondere a queste domande prevedono per l’Italia, nei prossimi 6 anni, un aumento del PIL reale tra il 12,7% e il 14,5% rispetto ai livelli di fine 2020. La componente di spesa che contribuirà maggiormente a questo rimbalzo sono gli investimenti, principale obiettivo del PNRR, con un impatto stimato del 27%, seguiti da un modesto aumento dei consumi (1,5%). Poco rassicuranti sono gli effetti negativi del programma d’investimenti sulla bilancia commerciale, in larga parte attribuibili ad acquisti di prodotti ad alto contenuto tecnologico che, non essendo prodotti in Italia, devono essere importati da Paesi con competenze tecnologiche più avanzate. Un dato che da solo suggerirebbe la necessità di migliorare le capacità produttive nazionali e colmare il gap verso la frontiera tecnologica. Per quanto concerne il mercato del lavoro, in sei anni è previsto un aumento complessivo del 9,3% dell’occupazione, con i maggiori aumenti percentuali attribuibili alle categorie più in difficoltà: il mezzogiorno, le donne, i giovani.

Un aspetto centrale è capire quale sia l’efficacia delle singole Missioni individuate dalla Commissione europea. Ad esempio, gli investimenti per la digitalizzazione e l’innovazione del Paese, pur costituendo la seconda voce di spesa del Piano (circa il 21% dei fondi), generano, secondo queste proiezioni, la maggior crescita (3,9% in sei anni), in quanto dovrebbero innescare aumenti di produttività permanenti grazie alla diffusa adozione delle tecnologie informatiche. La transizione ecologica, a cui sono destinati quasi il 32% dei fondi, ha un impatto totale sul PIL stimato al 3,6% nell’arco dei sei anni. Nel complesso si stima che la Missione per la mobilità sostenibile contribuisca ad una crescita dello 1,2% di PIL; quella per l’istruzione e la ricerca circa 2,4%; i fondi per l’inclusione e la coesione sociale del 2,1% mentre per la salute si prevede un impatto aggiuntivo dello 1,3%. Infine, viene quantificato l’effetto di lungo periodo delle riforme della giustizia, della Pubblica Amministrazione e della concorrenza, che dovrebbero abbattere le frizioni burocratiche e favorire il corretto funzionamento del mercato. Si stima che la riforma della Pubblica Amministrazione, prevedendo nuove procedure per l’assunzione del personale e lo snellimento della burocrazia, possa contribuire al PIL per un valore pari al 2,3%, rendendola la riforma con l’impatto maggiore. Segue la riforma della giustizia che prevede un accorciamento della durata dei processi e che contribuirà al PIL nazionale per lo 0,5%. Infine, la riforma della concorrenza, costellata da vaghi provvedimenti che auspicano la piena liberalizzazione del mercato dell’energia e gare competitive in materia di concessioni autostradali, avrà un effetto sul PIL stimato allo 0,5%.

Comune a tutte le Missioni è una distribuzione dei fondi concentrata sensibilmente in due componenti di spesa: edilizia civile (32,6% dei fondi totali) e incentivi alle imprese sotto forma di crediti d’imposta (18,7%) che sembrano dare al Piano più l’aspetto di un programma di sostegno orizzontale agli investimenti che di un piano strategico di rilancio dell’economia. Un altro 12,4% dei fondi è destinato all’acquisto di beni e servizi informatici che, come sottolineato nel PNRR, sarebbero responsabili dell’impatto avverso sulla bilancia commerciale. Scarseggiano invece i finanziamenti diretti per progetti di ricerca e sviluppo con obiettivi ben delineati, che si sono rivelati in passato estremamente efficaci per le economie dei Paesi OCSE[7].

Per discutere dell’incertezza legata all’attuazione delle misure proposte nel PNRR, vengono proposti tre scenari caratterizzati da una diversa efficacia degli interventi. L’effetto sui tassi di crescita stimati è dovuto unicamente ad un parametro che determina il valore del moltiplicatore fiscale, ossia l’aumento in termini di PIL dovuto ad 1 euro speso in investimenti pubblici, caratterizzando la portata e la persistenza degli effetti. Discutere la variabilità dell’efficacia attesa sulla base di tre stime di moltiplicatori significativamente differenti (0,7 per lo scenario basso, 0,9 e 1,2 per quello medio e alto, rispettivamente) è la prassi nella modellistica economica, ma rischia di nascondere molte fonti di incertezza. Nel resto dell’articolo si cercherà di capire in modo esaustivo a cosa è dovuta la fondamentale indeterminatezza che accompagna l’attuazione del Piano e perché non possono bastare tre scenari stilizzati per discutere l’incertezza collegata all’efficacia del piano.

 

Le fonti di incertezza del Piano

Quanto si può fare affidamento su queste previsioni economiche? La risposta sintetica è: molto poco. A determinare l’andamento dell’economia, infatti, concorrono una serie di fattori sociali, politici, congiunturali e attuativi che nessun modello economico potrà tenere in considerazione. Non c’è da sorprendersi se negli ultimi anni le stime della Banca Centrale Europea (BCE) si siano rivelate sistematicamente sbagliate nel prevedere, ad esempio, l’andamento di inflazione e disoccupazione[8]. E se calcolare l’andamento dell’occupazione nel mese successivo in tempi normali è già un’impresa memorabile, calcolare l’impatto nei successivi 5 anni di una serie di manovre economiche ancora non implementate è un esercizio molto più simile all’aruspicina che ad un esperimento scientifico.

La prima fonte di incertezza sugli effetti del PNRR è la sua stessa sostanza; il Piano concordato dall’Italia con la Commissione europea costituisce sicuramente uno sforzo senza paragoni nella storia dell’UE, ma è ancora necessariamente poco definito. Le uniche certezze sono l’ammontare delle risorse a disposizione e i tanto ambiziosi quanto generali obiettivi fissati dalla Commissione europea. In un Paese caratterizzato dall’instabilità politica come l’Italia la prima incognita è capire chi si incaricherà di tramutare in provvedimenti attuativi le linee guida indicate nel PNRR. Gli equilibri parlamentari e delle maggioranze di governo saranno cruciali nel complesso percorso legislativo e attuativo. Nel tradurre i principi prima in leggi e poi in interventi, il diavolo sta nei dettagli; nell’iter legislativo si possono snaturare i principi e stravolgere l’efficacia di una manovra. Inoltre, come ci hanno insegnato le ultime crisi, le istituzioni e i mercati internazionali sono volubili e reagiscono all’incertezza politica. In vista dell’elezione del Presidente della Repubblica (2022) e del Parlamento (2023) il panorama politico italiano è imprevedibile e potrebbe riservare più di qualche sorpresa.

Un’ulteriore incertezza procedurale riguarda la capacità delle pubbliche amministrazioni italiane di saper utilizzare con efficienza i fondi dell’Unione Europea. Secondo i dati dell’ultimo bilancio dell’UE 2014-2020, l’Italia si è posizionata penultima per capacità di spendere i fondi stanziati, riuscendo effettivamente a spendere solamente il 38% di quanto pianificato contro il 53% della Francia, a metà classifica, e del 73% della Finlandia, in testa[9]. Questo dato sottolinea da un lato la necessità di semplificare le procedure europee per accedere ai finanziamenti, dall’altro una progressiva perdita di competenze e progettualità della Pubblica Amministrazione italiana. Da anni, per esigenze di bilancio, viene rimandato il ricambio del personale che dovrebbe invece attrarre profili più giovani e con un portafoglio di competenze più diversificato, come indicato tra gli obiettivi del Piano. Il rischio è che l’occasione di rilancio venga sprecata declinando gli obiettivi fissati dall’Unione in progetti posticci precedentemente arenati o peggio bocciati dall’Unione.

Una fonte di incertezza tecnica da tenere in considerazione per valutare le previsioni contenute nel PNRR sono gli strumenti a disposizione. Le stime degli impatti economici sono prodotte utilizzando due modelli di equilibrio generale: il principale, il QUEST III[10], più aggregato, è pensato per stimare l’effetto di investimenti e riforme sul PIL e sulla produttività dei fattori; a supporto, il MACGEM-IT[11], un modello che incorpora dati sulle interdipendenze produttive del Paese, adatto per previsioni più disaggregate a livello settoriale o regionale.

È da notare che il fulcro teorico e matematico dei modelli utilizzati, seppur lievemente emendato per accomodare quantomeno la possibilità di crisi bancarie, è rimasto identico ai modelli utilizzati prima della débâcle economica del 2008. L’impianto teorico si basa sull’assunzione di razionalità di un unico agente economico che prende delle decisioni ottimali date le informazioni a sua disposizione (ad esempio sistema di prezzi). In questo contesto stilizzato, il meglio che il governo può fare è assicurarsi che i meccanismi concorrenziali funzionino correttamente (ad esempio riforme PA e giustizia, mercato del lavoro) e che gli agenti economici siano messi in condizione di operare sul mercato (ad esempio possibilità di trovare materie prime, infrastrutture funzionali, stabilità dei prezzi).

Una critica molto comune a questi modelli, venuta recentemente anche dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio,[12] nonché da diversi economisti[13], sottolinea come l’approccio teorico apertamente ‘offerista’ – che sottende a questi modelli – trascuri l’impatto della domanda aggregata. Interrogando questi modelli, poco si può capire sul coordinamento tra agenti e sull’importanza di un’equa distribuzione del reddito. Tanto più che l’aumento delle disuguaglianze e le loro conseguenze macroeconomiche sono al centro del dibattito teorico da più di un decennio[14]. Le società più diseguali sono meno resilienti in caso di eventi negativi e hanno meno probabilità di intraprendere percorsi di crescita sostenibile. Quindi, è fondamentale comprendere non solo gli effetti distributivi delle politiche attuate ma anche come le disuguaglianze, fortemente acuitesi nella crisi pandemica, ne influenzino l’efficacia. Ad esempio, Oxfam stima che le 1.000 persone più ricche al mondo hanno recuperato le perdite accumulate durante la crisi pandemica in meno di 9 mesi, mentre i più poveri potrebbero impiegare più di 10 anni[15].

Nel breve periodo è invece necessario sciogliere un nodo cruciale per capire gli effetti del PNRR e, più in generale, il futuro dell’Unione Europea: nel 2023 rientreranno in vigore le clausole del trattato di Maastricht, sospeso ad inizio 2020 per permettere agli Stati membri di varare misure di sostegno contro il Covid-19. Sono diverse le ragioni per cui riformare le clausole del trattato potrebbe favorire la ripresa. Innanzitutto, come anche ammesso dai tecnici incaricati di preparare il summit nel 1991, le soglie inserite nel patto non avevano già allora alcun significato economico e sono oggi ancor più ingiustificate vista l’evoluzione del panorama macroeconomico caratterizzato da tassi di interesse prossimi allo zero e livelli di debito crescenti in tutto il mondo[16]. In secondo luogo, il ritorno dell’austerità durante l’erogazione dei fondi e in concomitanza dei primi segnali di ripresa ridurrebbe l’efficacia degli investimenti e deprimerebbe le aspettative degli operatori internazionali, aumentando l’incertezza sulla ripresa economica del blocco europeo. Per l’Italia un forzato rientro nei parametri di Maastricht sarebbe ora ancora più drammatico: la profonda stagnazione economica, con una ricchezza pro-capite tornata a livelli del 1995[17], esige un deciso intervento fiscale, così come suggerito da un nuovo consenso accademico e istituzionale[18].

Inoltre, grazie all’atteggiamento maggiormente accomodante delle banche centrali, i Paesi avanzati si trovano in una finestra particolarmente favorevole per attuare politiche fiscali espansive. Ad esempio, per supportare l’enorme stimolo fiscale varato dall’amministrazione Biden, la banca centrale statunitense è ora disposta ad accettare temporaneamente livelli di inflazione anche sopra l’obiettivo del 2%, fin quando i segnali di ripresa non saranno evidenti. Da marzo 2020 anche la BCE ha deciso di supportare l’economia europea e di offrire condizioni di finanziamento favorevoli a tutti i settori dell’economia, governi inclusi, calmierando di fatto le possibili speculazioni sui Paesi percepiti come finanziariamente più instabili. Nonostante pochi giorni prima la Presidente della BCE Lagarde affermasse che il suo compito non fosse quello di influenzare l’andamento dei tassi di interesse dei titoli di Stato, gli operatori finanziari hanno giudicato credibile l’impegno della BCE. E infatti, nel corso del 2020, gli spread sono diminuiti, riducendo l’incertezza sull’efficacia dello stimolo fiscale e sulla sostenibilità dei debiti pubblici[19].

È proprio sulle regole per la sostenibilità del debito pubblico che le clausole dei trattati europei necessitano una revisione. Già da anni autorevoli economisti e premi Nobel affermano che il feticismo del debito è eccessivo e immotivato[20], specialmente se può compromettere le aspettative e quindi indebolire le prospettive di ripresa. Inoltre, se il tasso di crescita dell’economia rimane superiore al costo di finanziamento del debito, la spesa pubblica è sostenibile. È per questo motivo che tassi di interesse bassi e che rimarranno tali nei prossimi anni (il tasso principale fissato dalla BCE è pari allo 0% dal 2016, l’Italia può finanziarsi sui mercati pagando un tasso ai minimi storici e sotto l’1% da settembre 2020; i tassi per i titoli tedeschi sono addirittura negativi dall’aprile 2019) rappresentano un’occasione storica per promuovere ambiziosi programmi di investimenti pubblici.

 

Come ridurre le incertezze: una visione strategica per il futuro

A causa di queste numerose fonti di incertezza, stimare quantitativamente l’impatto macroeconomico di un insieme composito di investimenti senza eguali e che si innesta in un periodo di grandi instabilità è un’opera che va ben al di là delle competenze scientifiche a nostra disposizione. La vera sfida è quella di un maggior coinvolgimento del dibattito pubblico italiano e una discussione più incentrata su come affrontare le sfide strategiche della società nella ripresa post-pandemica che su numeri ancora poco attendibili.

Questo è quello che è successo ad esempio in Francia, dove il presidente Macron ha affidato all’ex capo economista del FMI Olivier Blanchard e al premio Nobel Jean Tirole il rapporto sulle ‘grandi sfide economiche’ in cui, grazie a contributi di illustri economisti, si cerca di definire qualitativamente le prospettive e le sfide che la società francese dovrà affrontare nei prossimi decenni[21]. Se ci si confronta con il rapporto ‘Missioni Italia’ redatto dall’economista Mariana Mazzucato, tra le prime a promuovere un ruolo da investitore di prima istanza dello Stato, si intuisce che le missioni del Piano sono ancora obiettivi astratti da raggiungere con un insieme di interventi che mancano di quella progettualità e sinergia che dovrebbe avere un piano di rilancio. Ad esempio, la sfida ad attuare una transizione energetica sostenibile dovrebbe passare per missioni intermedie più delineate – come, ad esempio, finanziare la ricerca per sviluppare tecnologie atte a migliorare l’efficienza energetica delle batterie o trasformare l’Ilva di Taranto in un polo che produca acciaio sostenibile.

In questo Piano, come nel recente passato, ci si affida all’iniziativa imprenditoriale con incentivi fiscali piuttosto che puntare su finanziamenti condizionati al raggiungimento di obiettivi specifici: si preferisce ancora correggere al margine il libero mercato, piuttosto che guidarlo lungo un sentiero di trasformazione più incisivo e inclusivo. Al contrario, negli Stati Uniti l’assegnazione degli appalti pubblici è condizionata al pagamento di salari più alti del livello minimo[22]. In Francia i fondi a sostegno delle compagnie aeree o dei grandi gruppi del settore automobilistico sono vincolati al raggiungimento di minori emissioni e di maggiori investimenti in ricerca e sviluppo[23]. In Germania, il settore privato collabora con la rete degli istituti Fraunhofer per sviluppare tecnologie strategiche, creando così un sistema nazionale di innovazione che mette a disposizione del comparto produttivo le innovazioni sviluppate da centri di ricerca e dalle università[24].

Questi esempi dimostrano la possibilità di coordinare iniziative pubbliche e private, superando schemi di incentivi orizzontali ormai obsoleti e disfunzionali che difficilmente favoriranno l’emergere di nuove tecnologie e che anzi disperderebbero le risorse a disposizione. Il rischio che ne deriva è di indebolire le sinergie tra i vari attori nazionali e diluire la portata strategica del piano. È auspicabile che in fase di attuazione lo Stato si assicuri un ruolo centrale nel coordinamento dell’iniziativa privata. 

 

Conclusioni

Il raggiungimento dei 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile dichiarati dall’ONU richiede un nuovo ruolo per lo Stato che deve guidare una radicale trasformazione delle nostre società. Non si auspica certo un controllo totale dell’iniziativa privata, ma il ritorno delle politiche industriali e di innovazione che hanno guidato i Paesi avanzati fino agli anni Ottanta, possibilmente ora coordinate a livello europeo. Serve perciò inserire l’iniziativa privata in un più grande contesto diretto dall’azione pubblica, che incoraggi il rinnovamento, la diversificazione produttiva e il dinamismo tecnologico dando una direzione coerente e univoca che la sola competizione tra le forze di mercato non può garantire[25].

La nota più dolce di questo piano è sicuramente che i policy maker hanno ora nuove frecce al proprio arco. L’emissione di debito a livello europeo e le proposte di una tassazione comune per finanziarlo, costituiscono nuova linfa per il processo di integrazione. L’Unione Europea sembra aver colto l’opportunità concessa dalla crisi attuale introducendo dei nuovi strumenti che dovranno però essere perfezionati e inquadrati nella sua architettura per poter rispondere alle sfide che ci aspettano. Ma ci troviamo realmente ad un punto di svolta? Ai posteri l’ardua sentenza. Vista la radicale incertezza del contesto attuale è preferibile discutere dei cambiamenti di cui abbiamo bisogno per il futuro che vogliamo piuttosto che cercare di prevederlo.


[1] M. V. Berry, Regular and Irregular Motion, «AIP Conference Proceedings», 46, (1978), pp. 16-120.

[2] World Economic Outlook, Fondo Monetario Internazionale, aprile 2021.

[3] ISTAT, Impatto dell’epidemia di covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente anno 2020 e gennaio-aprile 2021, giugno 2021.

[4] Questa cifra comprende le risorse stanziate per NGEU (750 miliardi di euro) e l’ampliamento del bilancio a lungo termine di 1.074 miliardi di euro per il periodo 2021-2027.

[5] O. Blanchard, In defense of concerns over the $1.9 trillion relief plan, «Realtime Economic Issues Watch», Peterson Institute for International Economics, febbraio 2021.

[6] Si veda A. Kirman, Whom or What Does the Representative Individual Represent?, «Journal of Economic Perspectives», 6(2), 1992, pp. 117-136; P. Romer, The Trouble with Macroeconomics, «Commons Memorial Lecture of the Omicron Delta Epsilon Society», 2016.

[7] E. Moretti, C. Steinwender e J. Van Reenen, The intellectual spoils of war? Defense R&D, productivity and international spillovers, «National Bureau of Economic Research», n.26483, 2019.

[8] Z. Darvas, Forecast errors and monetary policy normalisation in the euro area, «Policy Contributions Bruegel», n.28816, 2018.

[9] Bilancio a lungo termine dell’UE per il periodo 2014-2020, Commissione Europea, 2013.

[10] F. D’Auria, A. Pagano, M. Ratto e J. Varga, A comparison of structural reform scenarios across the EU member states-Simulation-based analysis using the QUEST model with endogenous growth, «Directorate General Economic and Financial Affairs Economic Papers», n.392, European Commission, 2009.

[11] F. Felici, C. Socci, M. Ciaschini, F. Severini e R. Pretaroli, MACGEM IT-A SAM based CGE model for Italian Economy, «Government of the Italian Republic (Italy), Ministry of Economy and Finance, Department of the Treasury Working Paper», n.1, 2020.

[12] Si veda Rapporto sulla Programmazione di Bilancio, Ufficio Parlamentare di Bilancio, 2016; L. Fanti e M. Gallegati, Gli incalcolabili danni dell’economia mainstream, «Sbilanciamoci», 24 aprile 2018.

[13] J. Stiglitz, Where Macroeconomics Were Wrong, «Oxford Review of Economic Policy», 34(1-2), 2017, pp. 70-106.

[14] Si veda T. Piketty, Il Capitale nel XXI secolo, Bompiani, Milano 2014; B. Milanović, Global Inequality: A New Approach for the Age of Globalization, Harvard University Press, Harvard 2016; D. Rodrik e C. Sabel, Building a Good Jobs Economy, «HKS Working Paper», 2019.

[15] Il virus della disuguaglianza, Oxfam, 2014.

[16] M. Buti e V. Gaspar, Maastricht values, VoxEU & CEPR, 2021.

[17] Si veda S. Storm, How to ruin a country in three decades, Institute for new economic thinking, 2019; D. Pinelli, I. Székely e J. Varga, Italy’s productivity challenge, ECFIN Economic Briefs, 2015.

[18] M. Sandbu, A new Washington consensus is born, «Financial Times», 11 aprile 2021.

[19] A. Ortmans, F. Tripier, COVID-induced sovereign risk in the euro area: When did the ECB stop the spread?, «European Economic Review», Volume 137, n.103809, 2021.

[20] P. Krugman, How Big Spending Got Its Groove Back, «The New York Times», 15 luglio 2021.

[21] O. Blanchard e J. Tirole, Major future economic challenges, Republique Française, giugno 2021.

[22] N. Scheiber, Biden Orders $15 Minimum Wage for Federal Contractors, «The New York Times», 27 aprile 2021.

[23] D. Keohane, France unveils €15bn aid package to ‘save’ its aerospace industry, «Financial Times», 9 giugno 2020.

[24] M. Mazzucato, Missioni Italia. Investimenti, innovazione e immaginazione, Institute for Innovation and Public Purpose UCL, 2020.

[25] D. Rodrik, Industrial Policy for the Twenty-first Century, Princeton University Press 2008.

Scritto da
Gianluca Pallante

Ha conseguito nel 2021 il dottorato in Economia presso la Scuola Superiore Sant’Anna. Laureato magistrale in Econometria presso l’Università di Amsterdam e in Economia presso l’Università degli studi di Siena, ha approfondito i suoi studi di economia politica specializzandosi nell’analisi di politiche fiscali e di innovazione.

Scritto da
Federico Riccio

Dottorando in Economia presso la Scuola Superiore Sant’Anna.

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