Recensione a: Massimo Chiriatti, Incoscienza artificiale. Come fanno le macchine a prevedere per noi, Prefazione di Luciano Floridi e Postfazione di Vincenzo Paglia, Luiss University Press, Roma 2021, pp. 153, 16 euro (scheda libro)
Scritto da Biagio Gumina
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«Come ha luogo il processo decisionale quando qualcuno ha già deciso per noi è un tema politico, perché riguarda sia chi ha il potere di decidere, sia le basi su cui è stato scelto. Ma cosa accade quando qualcosa sta per decidere per noi è un problema filosofico, soprattutto nel momento in cui quel qualcosa sta diventando qualcuno; quell’oggetto sta diventando soggetto» (p. 15).
È quanto si legge nell’introduzione del volume Incoscienza artificiale di Massimo Chiriatti, all’interno del quale si propone una trattazione concettualmente elaborata, ma dall’intento chiarificatore, della complessa e intricata questione dell’Intelligenza Artificiale. Garantire una trattazione efficace significa associare numerosi fattori d’analisi, disponendoli e combinandoli senza per questo occultare una visione complessiva, una prospettiva generale e associativa. L’impresa non è semplice: si rischia di tralasciare aspetti rilevanti, o svalutare contenutisticamente dei problemi necessari. L’autore risponde a queste esigenze fin dalle prime pagine, dalle quali traspaiono temi che tornano nel corso dei capitoli successivi, e che verranno qui di seguito sinteticamente trattati mirando all’ottenimento di una panoramica sugli scopi e argomenti del testo. L’indagine non può che essere prospettica, trattandosi di rapporti, interazioni, comprensioni reciproche, ove «l’Uomo vede l’Intelligenza Artificiale come una macchina in grado di prendere le sue decisioni, ma si sbaglia, perché è solo un calcolatore di simboli, anche se sempre più sofisticato» e «l’Intelligenza Artificiale vede l’Uomo come un insieme di numeri, ma si sbaglia, perché la coscienza è incomputabile» (p. 15). Uomo e Intelligenza Artificiale, decisioni e coscienza, rappresentano le relazioni vigenti che pongono le fondamenta strutturali delle argomentazioni che seguiranno. Ma se l’Uomo, oltre la macchina, è protagonista, sembra necessario capire come lo strumento dell’IA possa risultargli utile. Dunque, appare d’obbligo ricercare, antropologicamente, una mancanza umana che la stessa Intelligenza Artificiale si propone di colmare. «Ci manca la capacità di processare – con velocità e precisione – le grandi quantità di dati che noi e le macchine produciamo», al punto che «viene da chiedersi se siamo adeguati ad affrontare sfide così complesse» (p. 16). La società contemporanea è costantemente sottoposta a bombardamenti di dati, a una crescente quantità di informazioni che, nell’attuale fase storica, riceve la replica di forme di tecnologia autonoma, con il fine di «superare i nostri limiti fisici e cognitivi», «esternalizzando» funzioni proprie del cervello umano (p. 17). Non è una pratica nuova: anche la scrittura è una modalità operativa che assolve a tale compito.
Da queste considerazioni scaturisce una suggestiva definizione del ruolo dell’IA: «L’Intelligenza Artificiale serve ad analizzare tempestivamente quantità inumane di dati e a tradurle in informazioni utili a prendere decisioni» (p. 19). Seguono ulteriori riflessioni riguardanti l’Uomo, Dio e le macchine, la concezione di apprendimento umano e machine learning, il rischio di una perdita di controllo dovuta alla sostituzione delle istruzioni di una programmazione esplicita con un apprendimento automatico dai dati. Particolare attenzione è posta ad alcune rilevanti differenze che intercorrono tra l’uomo e la macchina. A tal proposito, l’autore richiama caratteristiche come l’ambiguità, l’incertezza e l’intenzionalità, descritte come ciò che «ci differenzia e che ci preserva dal non diventare artificiali» (p. 24). La consapevolezza è il denominatore comune delle condizioni descrittive dell’unicità umana, il discriminante conclusivo che si sottrae al modello input-elaborazione-output tradotto in termini di algoritmo: «l’elaborazione consapevole ci differenzia dalle macchine e la consapevolezza è proprio ciò che dà significato alla vita» (p. 24). L’individuo, inoltre, possiede per natura un complesso patrimonio genetico, e nell’atto della decisione la scelta viene influenzata dalla cultura e insieme condizionata dalla biologia. Una macchina, invece, necessita di una “dotazione originaria” fornita direttamente dall’uomo, che si ponga sostanzialmente come una conoscenza innata pre-acquisita sulla base della quale procedere con le fasi di analisi dei dati e di apprendimento autonomo.
L’introduzione si conclude con un’esplicita dichiarazione dell’obiettivo primario del libro: riflettere su chi e come debba prendere le decisioni, tra l’essere umano e la macchina. La risposta è presto data, ed emerge dall’affermazione della priorità del giudizio umano e dall’interpretazione strumentale delle decisioni della macchina, che, «più che come Intelligenza Artificiale», possiamo definire «Incoscienza Artificiale» (p. 26). Questa espressione, che dà il titolo al libro, è un’osservazione teorica oltre che un gioco linguistico, più o meno provocatorio: l’Intelligenza Artificiale non è poi così intelligente, decisamente non in grado di possedere coscienza delle azioni che compie. Può condurre a risultati inattesi e imprevedibili, estrapolare informazioni da innumerevoli dati, ma non saprebbe in alcun modo spiegare perché agisce. A questo punto, le tendenze tematiche della materia trattata dovrebbero apparire meno offuscate. Prima di procedere con una – necessariamente – riassuntiva esposizione del contenuto dei cinque capitoli che compongono il libro, e ora che una prospettiva generale è stata tracciata, si rivela opportuna una breve digressione riguardante la chiave di lettura proposta da Luciano Floridi nella prefazione. Il termine “velocità” si manifesta come la sintesi unificante di tale lettura. Floridi ne distingue tre tipi: «la velocità di trasferimento di qualcosa, chiamiamolo A, tra due punti a e b; la velocità di trasformazione di A in qualcos’altro, che possiamo chiamare B; la velocità di ottenimento di A, cioè il tempo richiesto per il soddisfacimento di un bisogno o un desiderio» (p. 9). La velocità di trasferimento sfrutta la bassa latenza – inferiore ai 100 ms – rendendo le interazioni immediate, un fenomeno ben osservabile nell’ambito delle comunicazioni online. La velocità di trasformazione caratterizza il già citato machine learning, delineando la capacità dell’Intelligenza Artificiale di migliorarsi autonomamente tramite l’apprendimento autonomo. La velocità di ottenimento coinvolge l’uomo: ottenere qualcosa risulta costantemente più semplice man mano che si verificano velocizzazioni come quelle indicate. Mantenere vivido l’utile contributo di Floridi sarà vantaggioso per il lettore durante le pagine del volume.
Il primo capitolo del libro affronta la differenza sostanziale presente tra il concetto di previsione e quello di decisione. A tale scopo, Chiriatti analizza la questione della coscienza, da cui scaturiscono ulteriori discussioni sul rapporto – sotto molteplici aspetti asimmetrico – fra uomo e macchina. Le argomentazioni addotte conducono a riflessioni sui processi sistemici caratterizzanti della mente umana. Il secondo capitolo affronta la problematicità sottesa alla diffusione dell’IA stessa, senza per questo trascurare l’analisi dei rischi connessi anche ad una falsata interpretazione di quest’ultima. La prospettiva offerta intende non delegittimare l’uomo rispetto al suo ruolo di controllo, all’esigenza di comprendere e spiegare. La questione è ripresa nel terzo capitolo, e arricchita da ulteriori considerazioni riguardanti il tema della decisione, della responsabilità, della reciprocità necessaria per utilizzare le macchine senza cedere alla tentazione di perdersi nell’apparente semplicità ed efficienza di soluzioni rapide offerte dall’esterno. La previsione si basa su dati e si realizza concretamente nella velocità di calcolo, ma l’accettazione o meno della previsione stessa dipende dall’uomo. Non è detto, dunque, che da una previsione debba derivare una scelta che a essa soggiace. Il quarto capitolo si occupa poi della trasformazione dell’oggetto in soggetto, con un particolare sguardo ai potenziali scenari futuri. Si evidenziano conseguenze politiche, economiche, sociali, dipendenti dall’evoluzione dell’intelligenza artificiale e dal procedere continuativo degli algoritmi, nel conflitto tra la centralizzazione dei poteri e la decentralizzazione garante dell’autonomia individuale. In questo quadro, la maggiore criticità risiede nel potenziale utilizzo strumentale, erroneo e amorale delle nuove tecnologie. Il quinto capitolo si riflette nell’espressione “incoscienza artificiale”, la quale riassume adeguatamente le risposte derivanti dalle argomentazioni antecedenti. L’uomo non si riduce all’IA ma comunica con essa; ha la capacità di determinarsi e non è vincolato dai limiti che caratterizzano un agente artificiale privo di moralità e immaginazione. Le qualità dell’IA sono differenti da quelle tipicamente umane, tra somiglianze e contrapposizioni; tale diversità strutturale è la forza che ci contraddistingue.
Il libro di Massimo Chiriatti ha il pregio fondamentale di trattare l’argomento dell’intelligenza artificiale con chiarezza comunicativa, non per questo tralasciando la valorizzazione contenutistica e concettuale che si addice alla complessità del tema. Il testo offre analisi e riflessioni che possono risultare accessibili al lettore interessato, indipendentemente dalla sua conoscenza del tema. In tal senso, il libro adempie al suo scopo divulgativo e all’appello di cui si fa portavoce, chiarendo la teoria ma non dimenticando la pratica, interpretando il presente ma mirando al futuro. Gli interrogativi ricevono risposte, ma né gli uni né le altre si esauriscono tra queste pagine. L’invito a capire e agire si estende ben oltre; sarebbe, ad avviso di chi scrive, auspicabile accoglierlo per un controllo consapevole e ragionato, un impegno individuale e collettivo, sociale e istituzionale. Vincenzo Paglia, nella conclusione della postfazione, scrive infatti: «Su tali tematiche è più che mai necessario un dibattito aperto, pubblico, il più possibile largo ed informato, che coinvolga i governi, le organizzazioni sovranazionali, le religioni, le organizzazioni della società civile, università e centri culturali. Insieme dobbiamo disegnare il futuro e la conoscenza e la consapevolezza degli usi e delle conseguenze delle tecnologie vanno resi evidenti» (p. 125).