Scritto da Raffaele Danna, Lorenzo Mesini
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Oggetto di questo articolo è il piano sulle infrastrutture sociali presentato a Bruxelles il 23 gennaio 2018 dalla Task force dell’ELTI (Associazione Europea degli investitori a Lungo Termine) coordinata da Romano Prodi e Christian Sautter. Il testo integrale, Boosting investments in social infrastructure in Europe, curato da Lieve Fransen, Gino del Bufalo e Edoardo Reviglio, è scaricabile qui. Lo scopo di questo articolo è presentare la proposta, che ha ricevuto una limitata copertura mediatica in Italia, ai nostri lettori. Questo piano, sebbene non privo di criticità, costituisce un contributo interessante al più ampio dibattito sulla riforma dell’Unione Europea. Si tratta di uno spunto di cui negli ultimi mesi in Italia si è raramente discusso con serietà, e che può essere occasione e stimolo per un dibattito di grande rilevanza.
Fra le proposte circolate negli ultimi mesi, vanno sicuramente menzionate quelle promosse da Juncker per il completamento dell’Unione economica e monetaria, le quali tuttavia non si sono distinte per il loro carattere temerario. Le proposte della Commissione non sembrano aver fatto seriamente i conti con le contraddizioni e i problemi lasciati in eredità all’UE dopo un decennio segnato da politiche di austerità, dalla concorrenza economico-politica tra i singoli stati membri (in certi casi, da una vera e propria conflittualità), e dal deficit politico di un autentico approccio comunitario e federale ai problemi comuni sollevati dalla crisi. Le proposte avanzate dalla Commissione europea mancano della ambizione e della inventiva necessaria per affrontare la situazione attuale.
Al contrario, il piano in questione ha il merito di essere fondato su un ragionamento di medio-lungo periodo sviluppato a partire dall’analisi di alcuni elementi strutturali (politici, socio-economici, demografici). Il contesto politico è caratterizzato dalla crescente disaffezione dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni comunitarie, disaffezione che è senza dubbio legata, soprattutto nelle periferie dell’Unione, a politiche percepite come eccessivamente rigoriste e non interessate alle marginalità. Da un punto di vista socio-economico, la crescita economica dell’Unione, che sembra essere tornata a stabilizzarsi, non si sta rivelando una crescita inclusiva. Come rileva il rapporto, il gap complessivo fra ricchi e poveri in Europa è al livello più alto degli ultimi 30 anni. La maggiore ricchezza si distribuisce all’interno di una minoranza già benestante della popolazione europea. Per arginare questa dinamica intrinsecamente destabilizzante e lacerante – di cui è già possibile osservare sintomi preoccupanti – è auspicabile canalizzare la nuova ricchezza creata verso la maggioranza della popolazione europea che ancora non avverte gli effetti positivi della crescita economica.
L’ultimo elemento strutturale in cui questo piano si inserisce è quello demografico. L’Europa è una delle regioni del mondo in cui si vive più a lungo e si fanno meno figli. In un’ottica di medio termine, queste caratteristiche modificheranno profondamente la struttura della popolazione e le sue esigenze. L’allungamento della terza età, dovuto alla diffusione di diete più salutari e di servizi sanitari più efficienti, comporta un aumento della quota di popolazione non attiva e una decrescita relativa della popolazione attiva. Un numero relativamente più basso di persone attive, in Europa, dovrà sostenere una popolazione progressivamente più anziana. Si tratta di una sfida epocale ed estremamente complessa, in cui sarà necessaria una ristrutturazione dei sistemi di welfare, dalla sanità all’assistenza sociale. Saranno fondamentali la promozione della medicina preventiva e personalizzata, dell’accessibilità, dell’assistenza alla non-autonomia, dei servizi contro la solitudine e a favore della qualità della vita. Legata alla mutevole struttura della famiglia nelle società avanzate, la solitudine costituisce già oggi un vero problema di salute pubblica che colpisce soprattutto la popolazione più fragile (le donne, i redditi bassi, i bassi livelli di istruzione). Allo stesso tempo andranno potenziate le infrastrutture per facilitare la conciliazione dei ritmi vita-lavoro della popolazione attiva, che si troverà a lavorare per periodi diversi della propria vita e in modalità spesso mutate a causa dell’innovazione tecnologica.
Sullo sfondo di questo contesto, gli autori del piano sostengono che oggi l’Unione si trova impreparata ad affrontare questi profondi cambiamenti a causa di un forte deficit di investimenti nelle aree che saranno maggiormente affette da questi stessi cambiamenti. La proposta che viene avanzata è quindi di individuare specifiche condizioni, modalità e strategie per promuovere la mobilitazione di ingenti capitali, sia pubblici sia privati, nel settore delle infrastrutture sociali, distinte nei tre ambiti di istruzione, sanità ed edilizia sociale. Passiamo ora a vedere più in dettaglio in cosa consistono le proposte avanzate dalla task force coordinata da Romano Prodi.
I mutamenti sociali in corso
L’approfondirsi della globalizzazione e il progresso tecnologico, si rileva, hanno comportato crescenti difficoltà per segmenti sempre più ampi della popolazione europea e impongono di conseguenza un ripensamento degli strumenti con cui affrontare le sfide future. La crisi economica e con essa i mutamenti indotti dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica hanno esercitato una grande pressione sulla società europea, facendo crescere da un lato la domanda di infrastrutture sociali (istruzione, sanità, edilizia sociale) e imponendo dall’altro un ripensamento dei tradizionali strumenti di politica sociale a disposizione della politica.
L’esigenza di espandere le politiche sociali e di innovarne i modelli, sottolinea il rapporto, non deriva solo dagli effetti sociali prodotti dalla crisi economica, ma anche dai grandi cambiamenti demografici attualmente in corso. I bassi tassi di natalità (rapporto tra numero delle nascite e l’ammontare dell’intera popolazione) e dei tassi di fecondità (numero medio di figli per donna) stanno facendo crescere l’età media dei cittadini europei. Secondo i calcoli del rapporto si prevede che la quota della popolazione europea di età superiore ai 65 anni si espanderà dal 18,9% (2015) a circa il 29% nel 2060. Per via di una popolazione mediamente più anziana, sottolinea il rapporto, si assisterà a una crescita della domanda di cure e assistenza medica a prezzi non proibitivi. Questi cambiamenti richiedono necessariamente un ripensamento nell’organizzazione dei nostri sistemi sanitari e di welfare, dei servizi di cura e di assistenza alla persona e dell’edilizia sociale.
Il cambiamento tecnologico e la globalizzazione dei mercati, a loro volta, lanciano una serie di grandi sfide al nostro sistema produttivo e ai nostri sistemi educativi. In particolare il rapporto richiama l’attenzione su tre temi che acquisiranno sempre maggiore rilievo nei prossimi decenni e che richiederanno risposte adeguate: 1) un numero maggiore di donne sul totale della forza lavoro e con esso un aumento della domanda di strutture e servizi educativi come scuole, asili e nido; 2) il veloce e continuo cambiamento delle competenze e abilità richieste sul mercato del lavoro rende necessario un ripensamento dei nostri sistemi educativi e nuovi strumenti al servizio di una formazione continua dei lavoratori; 3) l’esigenza di sostenere maggiormente quelle fasce di popolazione che hanno difficoltà ad accedere agli attuali servizi e infrastrutture sociali.
Insufficienti investimenti in infrastrutture sociali
A fronte dei profondi mutamenti in corso, negli ultimi dieci anni si è assistito a un netto calo degli investimenti in infrastrutture sociali da parte dei governi europei. Il rapporto calcola che l’attuale livello di investimenti è molto lontano dal livello necessario per provvedere alle esigenze (presenti e future) della popolazione europea. Considerato infatti il livello odierno degli investimenti annuali su scala europea (170 miliardi di euro circa), il rapporto stima un gap di almeno 100-150 miliardi all’anno in infrastrutture sociali, per un totale di 1,5 trilioni di euro necessari per il periodo 2018-2030.
Si tratta di un gap, specifica il rapporto, che è dovuto non solo agli effetti della crisi economica (nel 2013, ad esempio, gli investimenti in infrastrutture sociali sono calati del 15% rispetto al livello pre-crisi del 2007) ma anche agli squilibri regionali interni all’UE. Parte degli investimenti in infrastrutture sociali, osserva il rapporto, sono infatti effettuati dalle autorità locali (come comuni e regioni) che nell’ultimo decennio hanno visto ridursi i propri budget per via dei piani di consolidamento fiscale stipulati in accordo con i governi centrali. A loro volta, le stesse autorità nazionali hanno dovuto limitare i propri margini di spesa durante gli anni della crisi. Il consolidamento e il riassesto delle finanze pubbliche degli stati hanno reso difficilmente sostenibili i sistemi di welfare caratteristici del modello europeo. A questo si deve aggiungere anche il fatto che gli squilibri e le disparità economiche tutt’ora presenti tra gli stati europei hanno contribuito in negativo all’approfondirsi del gap tra gli investimenti reali e quelli necessari per affrontare i cambiamenti in corso.
Il risultato, nel complesso, è un livello di investimenti infrastrutturali inadeguato alle sfide del futuro, specialmente nei settori sociali su cui il rapporto richiama l’attenzione. Nello specifico, a risultare duramente compromessa è stata la capacità politica delle istituzioni di rispondere agli effetti negativi della crisi e, soprattutto, di affrontare in maniera adeguata i grandi cambiamenti economici, sociali, demografici e ambientali in corso nelle società europee. Nel medio-lungo termine, come specifica il rapporto, efficienti infrastrutture sociali e investimenti in capitale umano sono fondamentali per il sostegno della crescita economica e del benessere europeo. Infine, una mobilitazione di investimenti in infrastrutture sociali costituirebbe una efficace strategia di lotta al disagio sociale, di promozione di una società resiliente ed inclusiva, di protezione dello stesso progetto europeo.
Colmare il gap negli investimenti in infrastrutture sociali. Nuovi modelli di finanziamento per le infrastrutture sociali
Il rilancio degli investimenti in infrastrutture sociali (IIS) e nella formazione del capitale umano costituisce l’autentico imperativo politico su cui il rapporto ELTI pone l’accento. Il rapporto si concentra su come rilanciare gli investimenti in modo da colmare il gap che per diverse ragioni si è venuto a formare nel corso degli ultimi decenni. A tal fine, il rapporto propone una serie di nuovi modelli di collaborazione tra settore pubblico e privato, tra competenze e obiettivi di interesse pubblico e capitali privati in cerca di investimenti a lungo termine. Uno dei principali problemi che il rapporto affronta è la scarsa attrattiva che tali infrastrutture esercitano nei confronti dei capitali privati.
Le infrastrutture sociali presentano alcune caratteristiche che possono renderle potenzialmente interessanti per investitori privati e istituzionali: 1) per via della piccola dimensione media del capitale investito,[1] offrono la possibilità di un’ampia diversificazione; 2) la loro bassa correlazione ad altri asset le rende meno esposte a crisi che si posso verificare in altri settori; 3) dal momento che tali infrastrutture sono finanziate dal pubblico, i loro ricavi sono caratterizzati da bassa volatilità, sono generalmente fissati ex ante, e sono tipicamente aggiustati per l’inflazione. Tuttavia, tipicamente a causa della piccola dimensione media dei progetti in infrastrutture sociali, dagli alti costi di transazione e dalla mancanza di intermediari finanziari per la gestione di tali investimenti, il settore delle infrastrutture sociali è poco attrattivo per investitori di lungo periodo. Il rapporto propone di andare ad agire su questo gap, delineando un insieme di proposte volte a rendere il settore delle infrastrutture sociali più favorevole agli investimenti.
Le principali fra le numerose proposte presentate nel rapporto, a cui rimandiamo per l’analisi dettagliata, possono essere riassunte come segue:
Complessivamente, le misure proposte costituiscono un disegno multilivello il cui obiettivo è dotare il settore delle infrastrutture sociali europee di un mercato liquido di titoli di debito appetibili per investitori istituzionali sia pubblici sia privati. Da un punto di vista politico, il disegno complessivo in cui tutte queste proposte si inseriscono è quello della creazione di una agenda europea per le infrastrutture sociali. In altre parole, il piano delinea la proposta di una forma embrionale di welfare europeo.
Conclusioni: potenzialità e criticità
Si tratta di una proposta di ripensamento del modello europeo di welfare, che coniuga aspetti tradizionali a soluzioni di mercato e alla partecipazione di capitali non strettamente pubblici. Da un lato, il rapporto individua nelle condizioni contestuali un chiaro imperativo politico – la necessità di governare profondi mutamenti in un’ottica di sostenibilità e di convergenza – dall’altro propone una soluzione ibrida di incentivo e di mercato, in cui la collaborazione fra il capitale privato e quello pubblico ha un ruolo centrale.
Per quanto ambiziosa, la proposta non è priva di criticità e di coni d’ombra. A nostro avviso, sono almeno tre i principali punti critici presenti nelle proposte avanzate dal rapporto.
In primo luogo non è del tutto chiaro in che modo i servizi di welfare che tradizionalmente sono stati di dominio pubblico a causa della loro universalità e della loro non profittabilità possano diventare il sottostante di strumenti finanziari in grado di garantire un profitto appetibile per gli investitori. È possibile coniugare i profitti di mercato, giustamente attesi dagli investitori, con il carattere universale di servizi pubblici come asili, scuole, ospedali ed edilizia sociale? È possibile che simili strutture siano in grado di produrre profitti mantenendo al tempo stesso il loro carattere universale? Se sì, in che modo? Oppure si tratta di due elementi contraddittori e inconciliabili?
Una seconda criticità riguarda, a nostro avviso, la distribuzione e i meccanismi di ripartizione delle risorse raccolte. Non è infatti del tutto chiaro in che modo gli autori del piano prevedano di favorire la canalizzazione delle risorse verso i contesti a minore tasso di investimento. Come far sì che maggiori risorse vengano destinate ai contesti più bisognosi? Come evitare che la maggior parte degli investimenti venga effettuata nelle regioni meno colpite dalla crisi, dotate delle condizioni istituzionali più favorevoli, ma con tassi di investimento più alti delle regioni meno benestanti? Data la grande disparità dei contesti economici, istituzionali e sociali che caratterizzano attualmente l’Unione, non siamo del tutto persuasi che una semplice logica di mercato potrebbe risultare efficace in questo senso.
Infine, nonostante il piano vi accenni brevemente, potrebbe essere approfondita la questione del modo in cui l’azione degli investitori istituzionali (nazionali e comunitari) si inserirebbe all’interno degli attuali vincoli del Patto di Stabilità e Crescita.
Nel complesso si tratta di critiche che, da un punto di vista metodologico, non sono molto diverse da quelle sollevate da Paul Krugman intorno all’ultimo piano di investimento pubblico (1,5 trilioni di dollari) presentato negli USA dal Presidente Trump.
In conclusione, questo piano ha il merito di sollevare delle questioni importanti per il futuro della società europea e di presentarle all’interno di un’analisi strutturale di medio periodo. Offre inoltre un progetto interessante per cercare di affrontare tali questioni, e lo fa all’interno di uno scenario politico critico. Scenario che, accanto a partiti socialdemocratici sempre più deboli, vede crescere la forza dei partiti liberal-conservatori e soprattutto di partiti nazionalisti (specialmente a est) dalle tendenze marcatamente antiliberali e regressive. Le proposte contenute nel rapporto in questione non potranno evitare di fare i conti con il quadro politico presente e con i rapporti di forza che si definiranno prossimamente entro l’UE tra i suoi principali soggetti politici. Le proposte rappresentano un tentativo controcorrente per immaginare e per fornire all’UE uno strumento attivo per rilancio della crescita economica e per la cura del tessuto sociale dei suoi membri, tessuto sfibrato e sottoposto a gravi sforzi durante gli anni della crisi.
[1] In questo senso, si tratta di investimenti infrastrutturali particolari, dal momento che sono caratterizzati da una bassa concentrazione del rischio. Stando ai dati riportati nel rapporto, la vasta maggioranza dei progetti in infrastrutture sociali in Europa comporta un investimento inferiore ai 30 milioni di euro.
[2] pp. 69-73.