“Intelligence e diritto. Il potere invisibile delle democrazie” di Mario Caligiuri
- 06 Ottobre 2021

“Intelligence e diritto. Il potere invisibile delle democrazie” di Mario Caligiuri

Recensione a: Mario Caligiuri, Intelligence e diritto. Il potere invisibile delle democrazie, Prefazione di Luciano Violante, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2021, pp. 128, 13 euro (scheda libro)

Scritto da Federico Niccolò Ricotta

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«Plichi voluminosi di rapporti segreti vengono sfornati ogni giorno dalle macchine elettroniche e depositati ai tuoi piedi sui gradini del trono. È inutile che tu li legga: le spie non possono che confermare l’esistenza delle congiure, il che giustifica la necessità del loro spionaggio, e nello stesso tempo devono smentire la pericolosità immediata, il che prova che il loro spionaggio è efficace»[1].

Quello dei Servizi Segreti è certamente un mondo chiuso e misterioso, istituzionalmente vincolato com’è al rispetto del massimo segreto e destinato a rimanere, ai più, un terreno tendenzialmente imperscrutabile. Si potrebbe dire che proprio il segreto è croce e delizia di apparati che per conoscere necessitano a loro volta di un non farsi conoscere. Certo il vuoto del mistero tende a essere colmato indulgendo all’immagine di un potere che agisce accanto a quello dello Stato, «che si vale del segreto non proprio per abbatterlo ma neppure per servirlo»[2].

Che segreto e democrazia siano scomodi amanti è un pensiero diffuso, e come in ogni rispettabile relazione all’apparenza licenziosa e clandestina, il pettegolezzo attinge, dove può, quello che è utile per raccontare ciò che non conosce. Sicché nella narrazione comune del potere invisibile dell’Intelligence confluiscono immagini variopinte: dalla tradizionale consuetudine cinematografica, alle trame, talvolta scandalistiche e inflazionate, raccontate dalla stampa, o dai riflessi del prisma dei rapporti burrascosi tra Servizi e Magistratura (in particolare quella inquirente), che hanno contribuito a plasmare il convincimento non solo che potere giudiziario e potere politico portassero avanti scopi tra loro inconciliabili (scoprire la verità per i primi, nasconderla per i secondi), ma che vi fosse una diffusa legittimazione nello spendere il segreto come strumento per piegare la legge.

La realtà è che democrazia, legge e segreto sono temi complessi[3], e i risvolti del loro reciproco bilanciamento sono gli spilli che pungono una sensibilità crescente, proprio perché insistono sui temi essenziali della continuità del legame fiduciario tra cittadino e autorità: la legittima aspettativa di trasparenza e il controllo delle azioni di governo come valore fondante della democrazia; il rispetto e la conservazione dei diritti primari e dei valori costituzionali su cui la Repubblica si fonda[4]. Al tempio stesso, non è possibile, come si vedrà, immaginare una collettività dove tutto sia palese o ridotto a un concetto di legalità puramente formale[5].

Potere (segreto) e legge sono i termini essenziali da cui partire per affrontare un sistema caratterizzato da equilibri e strutture complesse, che ci vengono presentati e illustrati nel libro di Mario Caligiuri, Intelligence e diritto. Il potere invisibile delle democrazie (Rubbettino 2021) [6],carico di spunti di riflessione e gravido di implicazioni sui temi più attuali: il ruolo passato e futuro dei servizi segreti, l’Intelligence come scienza della conoscenza, le nuove frontiere della sorveglianza di massa, finanche all’uso del diritto come strumento di guerra, anche normativa[7]. Ciò che più stuzzica la curiosità è l’approfondimento del contesto, dai riferimenti storici e filosofici, alle esperienze domestiche[8] ed estere[9], capace di tessere prospettiva palpabile e concreta di quanto complesso sia mantenere un equilibrio: in questo senso, il libro del Professor Caligiuri non è soltanto un saggio di diritto ma sul ruolo del diritto calato nelle architetture della particolare missione dell’Intelligence.

Ai Servizi Segreti[10] la Costituzione repubblicana attribuisce un compito[11]: conoscere il mondo che ci circonda, consigliare il Governo, prevedere e prevenire le minacce salvaguardando gli interessi supremi su cui si fonda la conservazione dello Stato democratico. Nel farlo, l’ordinamento gli riconosce funzioni per metà operative e per metà intellettive[12], e assiste queste funzioni riconoscendogli attribuzioni particolari: ampi poteri investigativi e di raccolta informativa capaci di superare gli ordinari privilegi di riservatezza, l’assoluta segretezza della propria organizzazione e delle modalità con le quali opera.

Da questo punto in poi sorgono alcune complicazioni: negli ordinamenti democratici, che postulano l’esercizio del potere pubblico in pubblico[13], la trasparenza è la regola, il segreto l’eccezione[14], e la regola è sancita nella legge che disciplina come e quando il potere deve e può essere esercitato.

Poiché l’Intelligence opera osservando la regola del segreto, e poiché non può istituzionalmente rendere manifesto ciò che fa e come lo fa, la sua attività necessariamente sfugge ad un pieno controllo di legalità fondato su regole e procedure che la legge stabilisce palesi e prevedibili (e questo trasferisce il sindacato su di un piano prevalentemente politico, più che giuridico).

Allo stesso modo il potere segreto è pur sempre una regola, la cui singolarità è giustificata dalla contingenza di tutelare interessi e valori eccezionali, senza i quali non sarebbe possibile garantire la continuità dello Stato[15]. Se è certamente vero che la libertà non è una «concessione dello Stato accordata nell’interesse della collettività»[16] ma il contrario, non è meno vero che non può esserci garanzia di libertà laddove manchino le condizioni per goderne: i valori costituzionali devono essere rispettati e allo stesso modo conservati.

Il rispetto si manifesta nella forma di vincoli all’esercizio di un potere pubblico di carattere autoritativo (si pensi all’aspettativa generalizzata della riservatezza o all’esistenza di sfere individuali assistite da un privilegio di intangibilità, come libertà, domicilio e comunicazioni); la conservazione è l’obiettivo del potere, il cui esercizio, istituzionalmente preordinato a garanzia della continuità della sicurezza democratica, sociale ed economica, domanda una parziale rinuncia alle prerogative individuali in funzione della collettività: in questo senso, non c’è alcuna antitesi da libertà e sicurezza, ma un rapporto di servitù reciproca[17]: lo scopo dello Stato di diritto non è assicurare una maggiore sicurezza dei beni, ma garantire l’effettività del sistema, e con esso l’effettività dei diritti che rendono possibili le libertà[18].

Garantire questa effettività consegna alla legge un duplice compito: bilanciare la tensione tra legalità ed efficacia del potere; stabilire attribuzioni e guarentigie che servono in eguale misura tanto a chi il potere lo subisce, quanto a chi lo esercita, soprattutto in condizioni di rischio.

Anche la singolarità del potere segreto non può fare a meno della legge[19] e delle garanzie che gli consentono di lavorare con responsabilità, continuità e nondimeno tranquillità. Il Sistema di informazione opera nel mondo reale e nel web in contesti di rischio variabile, impegnando le proprie risorse in una missione che richiede flessibilità e capacità di collaborazione, anche transazionale, per minimizzare le ricadute di possibili fallimenti o compromissioni. Per farlo, non si può prescindere da un sistema che trova fondamento, e progressivo adeguamento, nella legge.

In ogni estremo si genera un vulnus: troppi vincoli impediscono l’effettività della missione[20]; troppo pochi rendono intollerabile il rischio di trasmodare nell’arbitrio; in entrambi i casi viene meno il beneficio che il Sistema è capace di apportare alla Repubblica.

Abbiamo detto che alla legge è affidato il compito di regolare il bilanciamento tra esigenze contrapposte e stemperare la tensione insita nel rapporto tra legalità ed efficacia del potere.

Legalità significa anzitutto prevedibilità e controllabilità del potere: la legge stabilisce normalmente finalità, casi, modi e garanzie, ed è essa stessa il parametro di controllo di come il potere viene in concreto esercitato. Più forte è la legalità, e con essa il dettaglio di disciplina delle procedure, minore è lo spazio accordato alla discrezionalità dell’autorità e maggiore è l’ampiezza del controllo che può essere esercitato. Dall’opposta prospettiva legislazioni flessibili consentono interventi flessibili, attribuendo all’Autorità il potere di ricorrere a strumenti operativi più ampi sia in termini quantitativi che qualitativi, tenuto conto delle necessità non contingibili del contesto e delle circostanze dove è chiamata a operare.

La legalità, che opera come argine all’arbitrio del potere, concorre allora con le necessità imposte dalla tutela della sicurezza collettiva, che dipendono a loro dalla variabilità e dall’astrattezza delle minacce con le quali il Sistema-Paese è chiamato a confrontarsi.

Una legalità forte si concilia bene laddove l’obiettivo da perseguire sia tipico, e in quanto tale riconoscibile: nel processo penale, dove le garanzie a tutela della libertà personale sono (o meglio, dovrebbero essere) massime, l’obiettivo è quello di ricostruire un fatto storico e confermare o meno una ipotesi di responsabilità penale formulata dall’Autorità inquirente. Ma si tratta di un esame sostanzialmente retrospettivo, le cui regole valgono a conciliare le esigenze di ricerca della verità e della formazione delle prove con la presunzione di innocenza e l’inviolabilità della libertà personale, in un’ottica prevalentemente retributiva: per questo l’esercizio del potere penale è mirato e tendenzialmente non esplorativo, rimanendo normalmente circoscritto all’interno del perimetro imposto dall’accertamento del fatto di reato, che limita il potere di vulnerare le garanzie costituzionali.

Questa stessa logica non può essere parimenti sostenibile laddove vi sia l’esigenza di un intervento esplorativo, orientato a classificare e prevenire le fonti di pericolo, intervenendo possibilmente prima che l’evento di danno si realizzi[21]. I “fenomeni” come il terrorismo, l’eversione, la minaccia cyber, la manipolazione informativa, sono fonti rarefatte ma costanti di minaccia. Trascendono gli individui che li animano e gli eventi tipici con cui si concretizzano. Sono per questo difficili da ricostruire e da collocare nel tempo e nello spazio. Sicché per comprenderle nella loro genesi ed evoluzione l’esercizio di astrazione non è da solo sufficiente, se non sorretto da strumenti (e poteri) che consentano di intervenire con tempestività e, ancor prima, di acquisire efficacemente elementi conoscitivi utili all’investigazione, per non vanificare gli scopi e giungere a risultati inutili, se non controproducenti.

Poiché l’attività di prevenzione sposta il campo d’indagine sul futuribile, giungiamo a tre conseguenze: è necessaria una ampia e trasversale raccolta informativa, quale condizione preliminare a qualsiasi analisi od operazione di intelligence (o di polizia); i poteri che consentono di raccogliere le informazioni devono poter essere adeguati e proporzionati alla dimensione della minaccia, e devono poter essere esercitabili quanto prima, anche in assenza di elementi di reità (che sono invece i presupposti dell’esercizio dei poteri investigativi penali).

Dal punto di vista del bilanciamento tra aspettativa a un riconoscimento assoluto delle garanzie costituzionali ed esercizio del potere autoritativo, la rarefazione del pericolo conduce al riconoscimento di sistemi di potere sorretti da logiche speciali[22], poiché dotati di particolari prerogative (come il segreto o ampi margini di discrezionalità) o poiché capaci di ricorrere a poteri intrusivi per esplorare situazioni ancora prive di rilevanza penale, ma che costituiscono comunque scenari di rischio con ricadute dirette sulla tenuta dei pilastri che reggono il Sistema-paese. A questa logica speciale risponde l’assetto del sistema intelligence e delle ampie capacità funzionali, abbiamo già detto per metà intellettive e per metà operative, che le sono attribuite allo scopo di difendere un patrimonio comune.

Ebbene proprio la funzione intellettiva dei Servizi da la sponda per un ultimo tema, dall’aspetto decisamente intrigante: il metodo di intelligence come metodo scientifico della conoscenza[23]. Intelligence, da intelligere, indica la capacità di cogliere (legere) il dentro (intus) e la relazione (inter) delle cose[24], trasformando i dati di cui dispone in una conoscenza a sostegno dell’Attività di Governo. In modo del tutto analogo alle scienze empiriche, questa conoscenza è prodotta attraverso un metodo sistematico che osserva la realtà raccogliendo e interpretando dati e notizie privilegiate (rectius segrete), eliminando dati spuri e minimizzando l’incidenza dei bias cognitivi[25], confezionando analisi[26] a sostegno dei processi decisionali.

Si tratta di un metodo orientato all’analisi non solo del presente, ma dei molti futuri possibili, ricostruibili attraverso sintomi e indizi. La sfida più grande, in questo senso, è data soprattutto dalla difficoltà di rappresentarsi eventi che non possono essere direttamente osservati, in uno sforzo di moderna divinazione[27] condotto con metodo scientifico. Il paradigma di questo tipo di connoisseurship è stato felicemente accostato[28] al metodo di attribuzione della paternità delle opere ingegnato dallo storico dell’arte Ivan Lermolieff, al secolo Giovanni Morelli, che oggi porta il suo nome[29]. Morelli, prima ancora di essere uno storico, fu un medico esperto di anatomia comparata, e nella sua intuizione metodologica confluirono le esperienze e soprattutto il rigore della scienza medica.

Diceva Morelli che i musei sono pieni di quadri la cui paternità è attribuita in maniera inesatta[30]. Il lavoro di attribuzione postuma è un compito difficile, perché le opere si presentano inquinate, ridipinte, non firmate, talvolta copiate o ispirate alla mano dei grandi maestri. Allora, come fa l’investigatore che del delitto scopre l’autore e come lo ha commesso, attraverso la comparazione e sistematizzazione di indizi impercettibili, così Morelli concentrò il suo metodo non sull’osservazione dei caratteri più appariscenti dell’opera, ma sulle minuzie. Trovò che nella pittorica dell’artista potevano essere individuati dei caratteri anatomici ricorrenti, le cosiddette cifre morelliane o motivi sigla, che sfuggivano all’attenzione non solo del critico ma anche dell’autore stesso, perché poco significativi nel contesto dell’intera opera. Non era né sufficiente, né rigoroso guardare soltanto alle cifre più evidenti, come l’espressione dei volti di Leonardo, la luce di Caravaggio o il cromatismo di Tiziano, perché queste evidenze potevano essere imitate, o tramandate agli artisti che imparavano nelle stesse botteghe. Lo stesso non accadeva per certi elementi replicati inconsciamente o meccanicamente dal Maestro, che si presentavano come tratti tipici e unici: così la particolare conformazione dei lobi dell’orecchio, la forma delle falangi o del contorno degli occhi, tradivano la mano dell’autore e, con essa, consentivano di riconoscere la paternità dell’opera.

Metodo morelliano e metodo d’intelligence afferiscono a un paradigma del sapere comune, che affonda le proprie radici nell’esigenza ancestrale[31] di cogliere un senso più ampio in indizi frammentati e talvolta in apparente discordanza. In altre parole, l’Intelligence è un attento osservatore capace di cogliere e rivelare i manierismi della realtà, in uno sforzo di attribuzione dalla parte per il tutto.


[1] I. Calvino, Un re in ascolto, in Sotto il sole giaguaro, Garzanti, Milano, 1986, p. 57.

[2] N. Bobbio, Nel labirinto dell’Anti Stato, in La Stampa, A. 115, n. 122, 24 maggio 1981, p. 1.

[3] Senza pretesa di esaustività: A. Morrone, Il nomos del segreto di Stato, tra politica e Costituzione, in G. Illuminati (a cura di), Nuovi profili del segreto di Stato e dell’attività di intelligence, Giappichelli, Torino, 2010, p. 10 s.; G. Corso, Potere politico e segreto, in F. Merloni – E. Carloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Giuffrè, Milano, 2008, p. 268; T. F. Giupponi, voce Segreto di Stato (dir. cost.), in Enc. Dir., Annali X, Milano, 2017; S. Labriola, voce Segreto di Stato, in Enc. dir., vol. XLI, Giuffrè, Milano, 1989, p. 1031; P. Barile, Democrazia e segreto, in Quad. cost., 1987, p. 29, G. Miglio, Il segreto politico, in Aa.Vv., Il segreto nella realtà giuridica italiana, Atti del Convegno Nazionale, Roma 26-28 ottobre 1981, Cedam, Padova, 1983, p. 171; A. Anzon, Segreto di Stato e Costituzione, in Giurisprudenza Costituzionale, 1976, p. 1785 s.

[4] Per un approfondimento: L. Ferrajoli, Iura paria, i fondamenti della democrazia costituzionale, Editoriale Scientifica, 2017.

[5] Cfr. G. Miglio, Il segreto politico, in Aa.Vv., Il segreto nella realtà giuridica italiana, op. cit. p. 171; come richiamato da A. Morrone, Il nomos del segreto di Stato, in G. Illuminati (a cura di), Nuovi profili del segreto di Stato, op. cit., p. 10 s.

[6] M. Caligiuri, Intelligence e diritto. Il potere invisibile delle democrazie, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2021.

[7] A proposito del golden power e della protezione degli interessi strategici in campo economico e tecnologico: M. Caligiuri, Intelligence e diritto, op. cit., p. 52 s.; anche Id., p. 77 s.

[8] Come il capitolo dedicato alle principali vicende giudiziarie che hanno coinvolto l’intelligence, Id., p. 61 s.

[9] A proposito del ruolo della CIA nelle vicende di politica estera, Id., p. 29 s.

[10] Suole definirsi attività di intelligence «l’attività informativa espletata dal personale appartenente ai Servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica, la quale si articola sostanzialmente in un complicato processo che, attraverso la ricerca e la raccolta di informazioni della più diversa natura e la relativa analisi, sfocia in un quadro di valutazioni volte alla comprensione ed alla previsione di eventi, fenomeni e comportamenti, tutti meritevoli di attenzione per i loro contenuti di minaccia attuale o potenziale alla sicurezza dello Stato» cit. G. Conso, Sicurezza fra informazione, segreto e garanzie, in Per aspera ad veritatem, 1995, n. 3, p. 27; anche V. Grevi, Spunti e variazioni in tema di rapporti tra segreto di Stato e servizi di sicurezza, in Politica del diritto, n. 1, 1987, p. 551.

[11] Per un approfondimento: Aa.Vv., Sicurezza, informazioni e giustizia penale, a cura di D. Curtotti, Pacini Giuridica, in corso di pubblicazione, 2021; C. Bonzano, Il segreto di Stato nel processo penale, Cedam, 2010; T. Giupponi, La riforma del sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, in G. Illuminati (a cura di), Nuovi profili del segreto di Stato, op. cit., p. 57 s.; G. Scandone, Il segreto di Stato nella legge di riforma, in Aa. Vv., I servizi di informazione e il segreto di Stato, Giuffrè, Milano, 2008, p. 463 s.; G. Cocco, I servizi di informazione e sicurezza nell’ordinamento italiano, Vol. I, Padova, 1980; S. Labriola, Le informazioni per la sicurezza dello Stato, Giuffrè, Milano, 1978, p. 63.

[12] Cfr. M. L. Di Bitonto, Raccolta di informazioni e attività di intelligence, in R. KostorisR. Orlandi (a cura di), Contrasto al terrorismo interno e internazionale, op. cit., p. 253.

[13] N. Bobbio, La Democrazia e il potere invisibile, in Il futuro della democrazia, Einaudi, 1995, pag. 86.; M. Caligiuri, Intelligence e diritto, op. cit., p. 31 s.

[14] A proposito del segreto e della “ragion di Stato”: M. Caligiuri, Intelligence e diritto, op. cit., p. 37 s., che richiama il pensiero di Giovanni Botero e Benedetto Croce.

[15] S. Maffettone – D. Melidoro, Democrazia e segreto, in Gnosis, n. 3, 2015. Del resto «dove si dilibera al tutto della salute della patria, non vi debbe cadere alcuna considerazione né di giusto né d’ingiusto, né di piatoso né di crudele, né di laudabile né d’ignominioso; anzi, posposto ogni altro rispetto, seguire al tutto quel partito che le salvi la vita e mantenghile la libertà» cit. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Ttio Livio, C. Vivanti (a cura di), Einaudi, III-41, p. 528.;

[16] Cit. V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale secondo il nuovo codice, Torino, 1932, vol. I, 183.

[17] Il riferimento corre all’apparente ossimoro tra servitù e libertà in M. T. Cicerone, Pro A. Cluentio Habito oratio, M. Fuchecci (a cura di), Rizzoli, 2004, §146; in termini analoghi, sul rapporto tra sicurezza e altri diritti, M. Minniti, Intelligence e democrazia, in Gnosis, n. 2, 2014.

[18] Cfr. G. Jackobs, I terroristi non hanno diritti, in R. KostorisR. Orlandi (a cura di), Contrasto al terrorismo interno e internazionale, Torino, 2006, p. 6.

[19] Diffusamente sulla legge dell’Intelligence e sulla disciplina del segreto di Stato: M. Caligiuri, Intelligence e diritto, op. cit., p. 43 s. e p. 51 s.

[20] Id. p. 93.

[21] Per un approfondimento: R. Orlandi, Una giustizia penale a misura di nemici?, in Riv. it. dir. proc. pen., f. 2, 2020, p. 715 s.

[22] Amplius W. Nocerino, Le intercettazioni e i controlli preventivi, Cedam, 2018, p. XII.

[23] M. Caligiuri, Intelligence e diritto, op. cit., p. 23 s.

[24] Editoriale, in Gnosis, n,1, 2021. «Il termine è collegato con la dote umana per eccellenza: l’intelligenza, parola che deriva dal latino intelligere cioè comprendere, e quindi da inter-legere, scegliere tra, da cui legare i temi, unire i punti e scegliere» Cit. M. Caligiuri, Intelligence e diritto, op. cit., p. 20.

[25] Amplius R. J. Heuer, Jr., Psychology of Intelligence Analysis, Center for the study of Intelligence, 1999.

[26] L’analisi è il «Complesso delle attività logico-concettuali grazie alle quali una o più informazioni acquisiscono rafforzata va- 13 Glossario intelligence – Il linguaggio degli Organismi informativi lenza conoscitiva. Ciò in esito ad una serie di passaggi – integrazione, interpretazione e valutazione – in cui si procede a confrontare l’informazione con il patrimonio informativo, integrarla di dati già validati eventualmente tratti da altre fonti, determinarne la pregnanza, valutare il significato che essa assume nel tratteggiare possibili linee di sviluppo e sistematizzarla all’interno di elaborati di taglio situazionale o previsionale» cit. voce Analisi, in Il linguaggio degli organismi informativi – Glossario intelligence, 2019.

[27] Si tratta evidentemente di una capacità di previsione invero molto terrena cfr. M. Caligiuri, Intelligence e diritto, op. cit., p. 32.

[28] C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma inquisitorio, in C. Ginzburg (a cura di), Miti emblemi spie. Morfologia e storia, Einaudi, 2000, p. 198 s.

[29] R. Wollheim, Giovanni Morelli and the Origins of Scientific Connoisseurship, in On Art and the Mind. Essays and Lectures, 1973.

[30] Cfr. C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma inquisitorio, op. cit., p. 199.

[31] Ginzburg ne parla come di un sapere che nasce come venatorio. I cacciatori hanno imparato a interpretare indizi minimi per ricostruire «le forme e i movimenti di prede invisibili». Un passo molto paradimatico riporta come esempio una favola orientale «Tre fratelli incontrano un uomo che ha perso un cammello – o, in altre varianti, un cavallo. Senza esitare glielo descrivono: è bianco, cieco da un occhio, ha due otri sulla schiena, uno pieno di vino, l’altro pieno d’olio. Dunque l’hanno visto? No, non l’hanno visto. Allora vengono accusati di furto e sottoposti a giudizio. È, per i fratelli, il trionfo: in un lampo dimostrano come, attraverso indizi minimi, abbiano potuto ricostruire l’aspetto di un animale che non avevano mai avuto sotto gli occhi». cit. C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma inquisitorio, op. cit., p. 185.

Scritto da
Federico Niccolò Ricotta

Nato a Firenze, è dottorando di ricerca in procedura penale all’Università degli Studi di Padova. Ha studiato Giurisprudenza all’Università Luiss Guido Carli, dov’è assistente alla didattica in Diritto processuale penale e Diritto e procedura penale degli Enti. Si occupa di investigazioni e legislazione di sicurezza.

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