Recensione a: Alessandro Aresu e Luca Gori, L’interesse nazionale: la bussola dell’Italia, il Mulino, Bologna 2018, pp. 218, euro 20 (scheda libro)
Scritto da Federico Diamanti
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Trattare il concetto di ‘interesse nazionale’ con rigore metodologico, lucidità e chiarezza d’intenti è – specie in Italia – impresa complessa e non scevra di implicazioni politico-culturali.
Alessandro Aresu e Luca Gori, autori dai profili differenti ma protagonisti di un dialogo che ha principio ben prima della pubblicazione del volume L’interesse nazionale, si sono cimentati nell’impresa di alleggerire il concetto di ‘interesse nazionale’ da molte (e antiche) superfetazioni ideologiche, nonché di impostare e rilanciare una riflessione nuova su questo e altri temi collaterali, o da esso strettamente dipendenti. Il volume, che «nasce da un incontro, da un’esigenza e da una sfida» (p. 9), vuole pertanto essere – in un’ottica interdisciplinare e sinceramente dialettica – un punto di partenza per una più ampia ridefinizione, sia teorica che, per così dire, ‘pratica’, del concetto di ‘interesse nazionale’ e dell’agenda nazionale e internazionale dell’Italia. Se da un lato dunque l’incontro tra un analista geopolitico e un diplomatico di carriera ha fatto sì che la meditazione risulti frutto di una mediazione tra visioni diverse, autonome e originali, ancorché convergenti, d’altro canto l’intero volume presenta un vero e proprio ‘linguaggio comune’ mediante il quale si sviluppano premesse, argomentazioni e obiettivi chiari sin dalla prefazione.
L’intera riflessione muove da una constatazione: occorre, in questa fase storica più che mai, ‘fare pace’ con il concetto di ‘interesse nazionale’. Esso è difatti ritornato in auge a più riprese nel dibattito pubblico europeo, a seconda delle fasi storiche e dei sommovimenti geopolitici nazionali e sovranazionali, ma ha sempre trovato la classe dirigente italiana (diffusamente condizionata dall’opinione pubblica) gravemente impreparata non soltanto a discuterlo teoricamente, ma in particolare ad interpretarlo politicamente.
Tutto il primo capitolo del volume (che si articola in tre parti), Passato: interesse nazionale ed eredità storico-culturale, è dedicato ad una definizione concettuale e ad una attenta ricostruzione dell’approccio che la classe dirigente italiana ha tenuto in riferimento a questo tema, di per sé ambiguo e sfuggente. La digressione storica muove però da un paragrafo volto a definire il concetto di ‘interesse nazionale’ (pp. 14-19): esso, stando al pensiero dei due autori (le cui salde e diversificate competenze emergono plasticamente laddove il ritmo argomentativo si fa più serrato: queste pagine rappresentano uno dei casi), è insieme concetto politico e categoria analitica, sottende dati culturali che affondano le proprie radici nella storia di lungo periodo delle nazioni, categoria statica e dinamica nello stesso tempo.
In sintesi, ed è questo forse il cimento centrale e più importante dell’intero volume: non è possibile trattare le molteplici sfumature dell’interesse di una nazione per compartimenti stagni, come fossero disiecta membra di strategie politiche o equilibri momentanei tra le nazioni. Tutt’altro: occorre uno sforzo teorico, prima che politico, e una precisa consapevolezza storica.
Interesse nazionale e ‘grande incertezza’
Sia per una evidente discrasia tra una classe politica ambiziosa e l’arretrata realtà (istituzionale, economica e politica) del Paese alle soglie del XX secolo, sia per un’incompiutezza altamente delegittimante dal punto di vista dell’identità nazionale italiana, le prime esperienze del sistema-Paese con i suoi interessi al di fuori dei confini nazionali hanno segnato una difficoltà di fondo nell’approcciarsi ‘alla pari’ con le realtà geopolitiche europee e mondiali.
Del lungo excursus storico è bene soffermarsi su tre passaggi, che assumono per ragioni diverse un ruolo capitale nella definizione dell’interesse nazionale oggi. Il periodo fascista; il cosiddetto tema del ‘vincolo esterno’; la politica estera degli anni Ottanta. Il ventennio fascista è stato, senza alcun dubbio, un momento di snodo per gli interessi nazionali dell’Italia nel mondo. «[…] l’ossessione del rango internazionale divenne in effetti il motore delle avventure coloniali del Duce […] oltre che lo strumento principale con cui il fascismo cercò di costruire il consenso interno» (p. 31): questa stessa ossessione mai realizzatasi compiutamente si trasformò ben presto, almeno a partire dalla sigla del ‘patto d’acciaio’, in una condizione di strutturale inferiorità e subalternità.
L’Italia post-‘45 affrontò dunque il processo di ricostruzione istituzionale e riassetto internazionale nella posizione di Paese incompiuto in termini di identità nazionale, che scontava un deficit in fatto di autonomia militare e di prestigio internazionale dovuto al ‘trauma’ della politica estera fascista. L’allontanamento, quasi sospettoso, dal concetto di ‘interesse nazionale’ fu dunque un epilogo scontato del processo di unificazione e del Ventennio: di qui, la lealtà al Patto atlantico e ad un ‘vincolo esterno’ fu una scelta obbligata per la repubblica dei partiti. Proprio il tema del ‘vincolo esterno’ ha condizionato il dibattito pubblico sull’interesse nazionale italiano sino agli ultimissimi sviluppi europei: vincoli esterni o europei che, seguendo la prospettiva di Emilio Diodato[1], possono sì risultare un modo per indicare una «via di sviluppo moderna» ad una nazione, ma al contempo rischiano di «paralizzare lo sviluppo democratico ed economico» di un Paese (p. 60): rischio corso troppe volte dall’Italia, e determinante da un punto di vista politico interno (basti pensare agli argomenti forti delle forze ‘sovraniste’ che tanto successo riscuotono nel panorama europeo). Un momento di particolare autonomia italiana in politica estera è rappresentato dagli anni Ottanta: al di là del caso di Sigonella, chiaramente il più ‘mediatico’, gli autori evidenziano – sulla scorta di un importante libro a cura di Ennio Di Nolfo[2] – alcuni passaggi fondamentali che restituirono forza all’Italia e prepararono il terreno per la fase cruciale del processo di integrazione europea degli anni Novanta.
Un particolare pregio del primo capitolo – che per densità tematica e per la sua impostazione diacronica è molto più che un’ampia e necessaria premesse agli sviluppi successivi del libro – è il dialogo che gli autori ricreano tra tre profili fondamentali, a vario titolo appartenenti alla classe dirigente novecentesca: Guido Carli, Enrico Mattei e Raffaele Mattioli. I loro profili si intrecciano e le loro voci vengono raffrontate a più riprese, in particolare nel paragrafo dedicato allo sviluppo economico italiano. È proprio attraverso le loro analisi che gli autori impostano la riflessione su una delle categorie fondanti del concetto di ‘interesse nazionale’: la condizione economica del Paese, con le ascese e i declini che la contraddistinsero nel corso del Novecento.
Il secondo capitolo, Presente: interesse nazionale e ‘grande incertezza’, focalizza l’attenzione sul tentativo di ridefinire le priorità dell’Italia nel presente panorama mondiale. Mediante alcune categorie analitiche, quali ‘tempo’, ‘instabilità’ e ‘nostalgia’, gli autori cercano di declinare nel tempo presente il concetto cardine del libro. Il tema problematizzato dal capitolo che, nell’economia complessiva del volume, inizia ad assumere un’importanza capitale è: come calcolare, in una fase di grande incertezza come quella odierna, l’interesse di una nazione? Tra crisi imprevedibili, fattori geopolitici imponderabili, diffusa mancanza di lucidità e capacità d’analisi nelle classi dirigenti e nell’opinione pubblica (che gioca, sul tema, un ruolo cruciale), quali criteri di analisi sono saldamente nelle mani dei ‘decisori’?
La risposta degli autori, tutta tesa a rivendicare e sviluppare metodi e ragioni della necessità di pazienza strategica e analisi del rischio, coinvolge alcuni temi nodali della società contemporanea. Uno fra tutti è, senza dubbio, la riflessione sul ruolo dello Stato (pp. 102-112): è infatti lo Stato il principale attore dell’interesse nazionale in un contesto di mondo globalizzato? In seno a questa domanda, di particolare interesse risultano i riferimenti alla prospettiva di David Singh Grewal, tesa ad intendere il ruolo dello Stato in un contesto di network, e la riflessione di Alberto Predieri, che ha teorizzato, già a partire dagli anni Novanta, il concetto di ‘Stato osmotico’, ovverosia di uno Stato in condizioni di continue relazioni, di compenetrazione continua e reciproca con la società».
Una definizione dell’interesse nazionale nel contesto mondiale
Superata la metà del volume, che consiste in una premessa diacronica e teorica al nocciolo del problema, l’attenzione degli autori converge completamente alla situazione dell’Italia presente e futura, e ad una definizione più concreta dell’interesse nazionale nel contesto mondiale.
Suddividendo i campi di interesse in categorie piuttosto esaustive (potenza demografica, potenza scientifico-tecnologica, potenza economica, potenza militare), il libro è dunque a questo punto tutto vòlto a fotografare in senso sincronico la situazione italiana e, nel terzo e ultimo capitolo, a ridefinire i confini delle aree di futuro interesse per il Paese. Non mancano, anche in questa sede, riflessioni di ordine teorico: tra esse, è bene segnalare, per lucidità e portata politica, la domanda di natura istituzionale che Aresu e Gori si pongono al termine del capitolo II: l’interesse nazionale ha necessità dello Stato, di una «dimensione organizzativa […] capace di fare quadrare il cerchio tra volatilità e pianificazione, tra interessi stabili e variabili, tra priorità di breve e di lungo termine (p. 116)» : se infatti occorre riaffermare lo «Stato come spazio di riferimento dell’interesse nazionale» (p. 155), bisognerà d’altro canto discutere la stessa idea di Stato e la situazione italiana (sulla scorta delle teorie di Grewal e Predieri, ad esempio), in una dinamica, suggeriscono gli autori, profondamente inclusiva e osmotica nei confronti di cittadini e società.
Solo in questo senso – sembra essere la pars construens del volume – si potrà tornare a parlare in termini seri dell’interesse nazionale e far sì che i cittadini, per primi, lo sentano come obiettivo prioritario nei campi d’azione politica nazionale e internazionale in cui si sviluppa. Campi d’azione che gli autori non esitano a classificare, sia nel presente che per il futuro. In questo senso, appare provocatoria, ma ben argomentata, l’esclusione del campo ‘culturale’ dalle priorità della nazione: le poche righe ad esso dedicate non possono pretendere di esaurire il dibattito attorno al tema che, così com’è posto da Aresu e Gori, certamente non è sufficientemente sviluppato. Ma non è illogico prevedere ulteriori sviluppi della discussione anche in questo senso.
La scorrevolezza stilistica, non appesantita dalle differenze tra le ‘quattro mani’ che hanno vergato questo testo, le numerose ma non eccessive citazioni letterarie e i vasti riferimenti storico-filosofici presenti nel testo rendono il volume scorrevole e parimenti utile per il lettore che cerca un testo specialistico sia per chi, semplicemente, voglia individuare criteri orientativi per le grandi questioni geopolitiche mondiali e il relativo posizionamento dell’Italia.
Un volume che, complessivamente, getta luce nuova su un tema non scevro di implicazioni politiche: pertanto, è auspicabile che sia solo il primo capitolo di una rinnovata discussione sul concetto e le implicazioni di ‘interesse nazionale’.
[1] Per la quale si rimanda a E. Diodato, Il vincolo esterno. Le ragioni della debolezza italiana, Mimesis, Milano 2014.
[2] E. Di Nolfo (ed.), La politica estera italiana negli anni Ottanta, Marsilio, Venezia 2007.