“Io Tiranno” di Éric Sadin
- 20 Maggio 2022

“Io Tiranno” di Éric Sadin

Recensione a: Éric Sadin, Io Tiranno. La società digitale e la fine del mondo comune, Luiss University Press, Roma 2022, pp. 232, 20 euro (scheda libro)

Scritto da Tancredi Bendicenti

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Nel 2006 il magazine Time scelse come persona dell’anno una figura particolare, atipica, sorprendente: “You”. “Tu”, ovvero l’individuo, qualsiasi individuo, eroico e unico in virtù della sua pura e semplice esistenza. Con questa chiave di lettura possiamo comprendere l’ultimo saggio di Éric Sadin, Io Tiranno, che propone un’analisi complessiva della condizione dell’uomo contemporaneo, fondamentalmente filosofica, ma coraggiosamente tendente ad una critica attenta anche degli aspetti più “bassi”, spesso disdegnati, della cultura odierna, espressa da uno stile talvolta decorato da ricami squisitamente letterari. La tesi centrale dell’autore è semplice, di facile intuizione: l’uomo contemporaneo è una creatura atomizzata, impotente nel suo delirio di onnipotenza, sola, svilita dalla propria sostanziale irrilevanza e dal proprio simultaneo e preteso solipsismo. Attraverso una concatenazione logica dei pensieri che ricorda, si parva licet componere magnis, la struttura della Fenomenologia dello Spirito di Hegel, Sadin costruisce una sequenza di “figure”, di concetti, che dopo essere stati attentamente illustrati, sublimano nel proprio successivo (la fine di ogni capitolo, perciò, introduce e anticipa il seguente). Ma proprio il sistema di “figure” del pensiero che contraddistingue strutturalmente questo saggio ne limita l’esaustività: non ci troviamo davanti ad una trattazione complessiva, quanto piuttosto alla proposta di una serie di osservazioni connesse tra loro, riguardo ad una materia la cui vastità rende ardua, e ben più complessa, un’analisi completa.

La prima parte del saggio propone una breve storia del cosiddetto individualismo liberale. Gli ideali di libertà e autonomia espressi da Locke e dagli illuministi, in campo tanto economico quanto politico, erano integrati, alla base, da una forte concezione di coesione sociale. Proprio questo correttivo si è andato a dissolvere nell’era del capitalismo digitale. Sadin riconduce l’origine dell’atomizzazione e della monadizzazione della società al progressivo imbastardimento dell’individualismo borghese, ridotto alla barbara ombra di se stesso. D’altronde l’uomo contemporaneo descritto dall’autore sembra proprio richiamare, ricalcare e ricostruire l’Unico di Stirner. L’individuo di Sadin non riconosce alcuna istituzione al di sopra del proprio arbitrio, è fisiologicamente incapace di limitare la propria “libertà” in favore del benessere comune, di controllare i propri desideri e di costruire un condiviso spazio di intesa con i proprio simili. La sua essenza è l’esasperata necessità di singolarità, furiosamente espressa non più soltanto attraverso comportamenti esteriori, ma anche attraverso lo sfoggio di beni ricercati e lussuosi, e mediante la manifestazione del proprio sé fittizio nei social media.

Arriviamo dunque ad un altro dei termini più importanti tra quelli utilizzati dall’autore: espressività, ossia la cifra della comunicazione digitalizzata, l’autoesaltazione perpetua, veicolata da frasi a effetto, selfie e foto ad alta definizione. Una disposizione che esiste in funzione del feedback che riceve: like, follow, condivisioni, hashtag, tutte tessere del complesso mosaico algebrico che compone il gradimento monetizzato che appaga catarticamente l’individuo svuotato della propria “socialità” (in senso aristotelico, “politicità”). L’unicità che scegliamo di proporre sui social non è poi così libera: parafrasando una nota massima di Marx, “l’uomo fa gli algoritmi non meno di quanto gli algoritmi fanno l’uomo”; ogni parola chiave che cerchiamo, ogni cuoricino che apponiamo a colorati post di sconosciuti plasma il paniere di beni che ci viene quotidianamente offerto, e dunque le nostre passioni, i nostri interessi, persino forse i nostri talenti. “Welcome to the machine” recitava una famosa canzone dei Pink Floyd, e mai più di oggi sembra attuale.

Sadin analizza la dialettica già giunta ad una completa e diabolica sintesi dell’I e del You ovvero dell’autonomia informativa e comunicazionale offertaci dagli odierni prodotti tecnologici massificati (smartphone, portatili, et cetera), e delle piattaforme che hanno cambiato il sistema attraverso il quale le informazioni si distribuiscono tra la moltitudine, non più verticalmente, ma orizzontalmente, e dunque non più come esito di una selezione. In questo nuovo mondo in cui i dati viaggiano quasi istantaneamente da un capo all’altro del globo, si fa sempre più forte la trasformazione dei cittadini in puri individui: vetuste sono ormai le regole del convivere civile poste dallo Stato, governato dalla rappresentanza del popolo. “La società non esiste, esistono solo gli individui” postulò Margaret Thatcher nel 1987, e mai parole si rivelarono più vere: la coesione sociale, il principio di solidarietà, la tensione verso un’uguaglianza di opportunità sostanziale, tutte fondamenta dello stato pluralista nato dalle macerie della Seconda guerra mondiale, sono oggi parole in frantumi, lettere sparse e abbandonate nel campo minato e dominato dalla legge del più forte. E proprio la sfiducia, sempre crescente, e sempre più radicata nei confronti della rappresentanza politica ha reso l’“ingovernabilità permanente” l’unica costante della governabilità: i leader democraticamente eletti sono alla mercè della moltitudine di “io tiranni” che costituiscono i popoli occidentali; dunque assecondano, o fingono di assecondare, i desideri e le onde passionali della massa, senza incidere sulla realtà dei fatti. E d’altronde, dice Sadin, proprio la vittoria delle parole sull’agire definisce il nostro tempo, in cui estemporanee e frettolose trasformazioni formali (si parla per esempio del “linguaggio inclusivo”) si sostituiscono a riflessioni e interventi efficaci che risolvano le ingiustizie che ci si propone di debellare. La lexis assorbe e annulla la praxis. Ne risulta la fine del mondo comune, degli spazi condivisi, e del dialogo; la “sferizzazione” dell’uomo e il suo ripiegamento su se stesso, la sua totale e indiscutibile indisponibilità al dialogo, ovvero al logos plurilaterale maieutico, sostituito dal logos unilaterale macchinico e asettico pronunciato dalle voci posate di Siri e Alexa. È compiuto il totalitarismo della moltitudine, che è poi l’assolutizzazione e forzata condivisione di un’irrimediabile solitudine. In questo mondo di individui Sadin analizza poi la fenomenologia della violenza, una violenza che è disperata espressione della propria impotenza, che è affermazione finale ed esiziale del proprio sé. Un fascismo individuale monadizzato che è tirannia istantanea e continua, diniego del diritto dell’altro ad un pari trattamento. La svolta implosiva dell’uomo sostituisce all’impegno politico per i valori trascendentali ad una vivibile convivenza civile il particolarismo autoritario dei vari gruppi che compongono le odierne società multiculturali, policentriche e multi-valoriali:

«Il paradosso è che queste esigenze individuali chiedono l’approvazione della collettività, la quale però, rischia di incrinarsi proprio per via di questo proliferare, potenzialmente illimitato, di richieste particolari, capaci di annientare dall’interno il principio dell’universale e a far emergere forme di secessionismo che si presentano come legittime. Anziché fare pressione sui politici e sulla società civile per vedere riconosciuta la propria dignità, queste soggettività imboccano la strada della pretesa imposta con la forza, la quale assume così la forma di un “particolarismo autoritario”»

L’analisi sfaccettata che Sadin fa dell’uomo contemporaneo ripropone, nel suo centro, un problema generale ed essenziale della filosofia: il dilemma, cioè, tra socialità e asocialità come fondamento della comunità umana. Il mondo che descrive, il nostro mondo, è sostanzialmente una realtà nuovamente sprofondata nella barbarie del bellum omnium contra omnes, in una bestiale distorsione del survival of the fittest darwiniana. L’uomo contemporaneo è una creatura che si afferma tramite la violenza smaterializzata del mondo economico e sociale, un Narciso solipsista che vive dell’approvazione che tramite la sua forza riesce a guadagnare, e mostrare espressivamente nei social media, monetizzando e plasmando se stesso. Una creatura ancora più sregolata e dionisiaca del fanciullo di Nietzsche, che si avvicina al capriccioso ed esasperato Unico di Stirner, un corpo che è solo corpo e impulso biologico, che nel tentativo di liberarsi delle catene di ciò che non gli appartiene, diviene schiavo della sua stessa autodistruttrice brama di arbitrio illimitato. Ricorre nel testo la locuzione “nuovo ethos”, impiegata per descrivere la comune tensione morale che contraddistingue il rinato mondo monadizzato, eppure tale “nuovo ethos” è la negazione dell’ethos stesso, la sua caduta e polverizzazione, essendo un’eticità che nega l’eticità, in termini hegeliani, una mera riduzione alla moralità astratta e formale del singolo. La testimonianza, afferma Sadin, ai tempi del coronavirus, è lo strumento attraverso il quale ritornare ad un’umanità fatta non di individui interessati solo al proprio tornaconto, tracotanti nel proprio autocompiacimento adulatorio, ma di persone, che si rispettano tra loro, e rispettano ciò che si frappone tra l’io e il tu: il Noi.

Scritto da
Tancredi Bendicenti

Studente di Giurisprudenza all’Università LUISS “Guido Carli” e studente di Economia e finanza alla “Sapienza” Università di Roma. Ha vinto il concorso di ammissione come allievo ordinario di Scienze giuridiche alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

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