“Italia è cultura”: la conferenza AICI 2019
- 09 Settembre 2020

“Italia è cultura”: la conferenza AICI 2019

Recensione a: Michael Musetti (a cura di), Italia è cultura. Istituti e politica culturale. Atti della VI Conferenza nazionale dell’AICI. Firenze, 7-9 novembre 2019, Viella, Roma 2020, pp. 176, 22 euro (scheda libro)

Scritto da Andreas Iacarella

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Cultura è un termine multiforme e di difficile definizione. Quando questo viene poi declinato in rapporto alla politica evoca troppo spesso discorsi trionfalistici e retorici che mostrano, alla prova dei fatti, una ridotta capacità progettuale.

Con la sua attività ormai quasi trentennale, l’AICI (Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane) è tra quei vitali organismi che, all’interno del nostro Paese, provano a problematizzare il discorso culturale e a promuovere quel “salto” sempre più irrimandabile da un’indispensabile analisi a una necessaria azione. La missione istituzionale dell’AICI, recita il secondo articolo dello Statuto, è quella di «tutelare e valorizzare la funzione delle Istituzioni di cultura, nelle quali la Costituzione della Repubblica riconosce una componente essenziale della comunità nazionale».

Raccogliendo quasi 120 tra associazioni, fondazioni e istituti culturali, distribuiti in tutta la Penisola, l’Associazione incarna a pieno il suo proposito statutario, testimoniando con forza la funzione vitale rappresentata dalle reti in campo culturale. Questo a dimostrare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che l’unione di tanti singoli non da, come pensavano gli psicologi delle folle ottocenteschi, un risultato inferiore alla somma dei componenti, ma sempre di molto maggiore.

Una delle massime espressioni di questa aspirazione è l’annuale appuntamento che l’AICI propone, a partire dal 2014, con la Conferenza nazionale “Italia è cultura”. Gli atti che sono stati appena pubblicati, a cura di Michael Musetti, raccolgono quanto emerso nella tre giorni svoltasi a Firenze tra il 7 e il 9 novembre 2019, dedicata a “Istituti e politica culturale”[1]. Nella lettura delle relazioni che compongono il testo, quello che appare chiaramente è la complessità di temi e problemi, da quelli ideali a quelli più schiettamente materiali, che travagliano la vita degli istituti culturali italiani. Ne esce un quadro non pacificato, a tratti fortemente problematico, ma certamente propositivo. Non a caso il presidente di AICI, Valdo Spini, tiene a rimarcare nella sua prefazione come questo non sia solo l’ennesimo volume di atti, ma contenga «analisi, propositi, fatti» (p. 7).

Per ragionare sui temi posti, l’AICI ha coinvolto una platea di relatori che ha spaziato da intellettuali e docenti, a politici, amministratori, rappresentanti del mondo imprenditoriale e professionisti dell’informazione, tentando di mettere intorno ad un tavolo tutti coloro che a vario titolo possono contribuire alla politica culturale del nostro Paese. La tre giorni si è articolata in due sessioni plenarie (“Dalla Carta di Ravello al Patto per la cultura” e “Per una politica culturale nel quadrante mediterraneo”) e in cinque workshop tematici, che hanno affrontato il tema del patrimonio culturale nelle sue diverse declinazioni.

La V Conferenza nazionale, svoltasi a Ravello nel 2018, si era conclusa con il lancio del “Patto per la cultura”, un documento che, accanto ad importanti affermazioni di principio, puntava l’attenzione su tre ambiti specifici di azione: un incremento dei rapporti tra istituti culturali e Università, al fine di valorizzare la ricerca dei giovani; la richiesta al Parlamento italiano di ratificare la Convenzione di Faro[2]; la promozione di un progetto europeo per “mediterraneizzare l’Europa ed europeizzare il Mediterraneo”[3]. A questo testo, facendo tesoro della discussione emersa nella VI Conferenza nazionale, l’AICI ha annesso nel 2019 il “Documento di Firenze”, con il quale ha individuato con maggior precisione alcuni ambiti di possibile intervento.

Il secondo obiettivo avanzato a Ravello sembra sul punto di concretizzarsi: dopo che il Senato ha ratificato la Convenzione a ottobre del 2019, a maggio del 2020 è iniziata la discussione presso la Camera. Al contrario, il primo obiettivo, scrive Spini, resta ancora «il vero punctum dolens nell’attività dell’Associazione di questi anni» (p. 8). Per il prossimo futuro, appare però possibile muovere dei passi in avanti, soprattutto agendo nell’ambito della «terza missione dell’università», quella rivolta a «divulgazione pubblica ed engagement with science», provando tra l’altro ad ottenere «forme di riconoscimento universitario per le attività di formazione e di ricerca dei giovani» presso gli istituti (p. 41).

D’altronde, la prolungata collaborazione con il MiBACT sembra invece aver dato i suoi frutti, guardando ai risultati portati all’attenzione dalla direttrice della DGBIC Paola Passarelli: nell’ultimo triennio c’è stato un costante incremento del numero di domande di finanziamento presentate dagli istituti, così come degli inserimenti di istituti beneficiari. La Direzione ha inoltre provveduto alla «chiarificazione degli impatti del Codice del Terzo Settore», dialogando in modo proficuo con istituti e fondazioni e raccogliendo le criticità emerse (p. 26). A proposito della collaborazione con il MiBACT, nel “Documento di Firenze” sono avanzate ulteriori interessanti proposte; in particolare quella di «promuovere la partecipazione dell’AICI ai tavoli tecnici ministeriali e regionali volti alla individuazioni ed al perfezionamento di specifiche misure di agevolazioni fiscali e di crediti di imposta» (p. 133). Il tema, sollevato durante la Conferenza da Irene Sanesi, economista della cultura e dottore commercialista, si presenta come di primissimo piano nel prossimo futuro. Come ha affermato con forza il giornalista Paolo Ermini, «se mettiamo la questione culturale al centro del governo, se davvero vorremo investirci, non solo a parole, il resto verrà da sé» (p. 50). Questo è un richiamo fondamentale oggi, in tempi di pandemia, in cui abbiamo sperimentato un drammatico ritardo della politica rispetto alla gestione di biblioteche e archivi, per non dire dell’istruzione.

Le due dimensioni in cui si sono articolati i lavori della Conferenza, quella interna del “Patto per la cultura” e quella esterna di un ripensamento del ruolo italiano rispetto al Mediterraneo, apparentemente distanti si avvicinano nella discussione. Per legarle potremmo usare le parole rivolte alla platea da Paolo Baratta, allora presidente della Biennale di Venezia: «noi siamo soggetti deputati ad agire, oggi. Per noi cultura è azione, è la qualità dell’azione che conduciamo nella società nella quale viviamo. […] Dobbiamo occuparci di ciò che non c’è» (pp. 55-56).

Occuparsi di ciò che non c’è è il motore vitale delle trasformazioni culturali e sociali umane. Per andare in questa direzione, uno snodo centrale, anche politico ed economico, è certamente il Mediterraneo. Alfonso Andria, presidente del Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali di Ravello, ha richiamato il terzo obiettivo del Patto della Cultura, sottolineando come si debba partire dal primo aspetto: «prima mediterraneizzare l’Europa e poi europeizzare il Mediterraneo» (p. 51). È questa una sfida in cui potremmo essere in primo piano, anche attraverso una nuova politica per il nostro Sud. Il presidente della SVIMEZ, Adriano Giannola, ha a tal proposito ricordato che per uscire dalla crisi strutturale italiana sarà fondamentale la partita giocata nel Mediterraneo e nel Meridione: «il futuro del Sud dipende dal e condiziona il futuro del Paese» (p. 91). Progetti come quello di una connessione sistemica tra Napoli e Bari rappresentano la speranza di un vero «gateway del Sud» per entrare in Europa, un «corridoio intermodale che apre a Francia, Spagna, ecc. la via diretta ai Balcani, al Medio Oriente, alla Turchia» (p. 95).

Ma l’apertura al Mediterraneo è anche ineludibile questione culturale: occasione di rimescolamento e problematizzazione di identità, oltre che necessaria risposta all’emergenza umanitaria rappresentata dai flussi migratori. Come ha ricordato Aldo Accardo, presidente della Fondazione di ricerca Giuseppe Siotto, è enorme la responsabilità della cultura nel non aver destrutturato il cosmopolitismo asimmetrico europeo e le pesanti contraddizioni eredità del colonialismo. Nella direzione di un superamento vanno progetti come quello della Fondazione di Sardegna che per sei anni «ha assunto l’impegno a sostenere la concessione di borse di studio a studenti magrebini», che hanno così l’occasione di studiare e laurearsi in Sardegna, tessendo reti e rapporti impensabili (p. 110). Il fallimento dei modelli di integrazione europei, sia quello assimiliazionista repubblicano che quello multiculturalista, ha sottolineato Franco Ippolito, presidente della Fondazione Basso, sta davanti a noi. E ci invita a formulare politiche più coraggiose, che diano voce a società e culture già di fatto ampiamente in mutazione.

Usando le parole di un grande critico letterario italiano, Armando Gnisci, il Mediterraneo è «un raduno meticcio, un ricettacolo di connubi e contrasti in cui la rete degli scambi ha prodotto una esperienza multiforme e longeva di fusioni inestricabili e di differenze mantenute salve. Si dice che tutti noi abitanti del Mediterraneo abbiamo la stessa faccia, ma che tutti siamo diversi»[4].

La vitalità di questo scambio continuo è quella che ha permesso, sempre secondo Gnisci, di salvarsi in parte dalla «malattia filosofica primaria del pensiero europeo, quando si fa maschile e solitario, quando pensa di poter pensare tutto e come unico al mondo»[5]. Una politica culturale mediterranea permetterebbe dunque di arginare pericolosi ritorni identitari che appaiono ormai superati dalla storia, oltre a cogliere l’occasione di «essere il braccio naturale con l’Africa», come ha ricordato durante i lavori la scrittrice Igiaba Scego (p. 120).

Si fondono così i due piani dell’ampio ripensamento della politica culturale che si propone l’AICI: quello strettamente nazionale, di collaborazione con ministeri, privati e amministrazioni, e quello europeo-mediterraneo. L’uno non può esistere senza la spinta dell’altro. E la partecipazione alla discussione della VI Conferenza nazionale di un nutrito gruppo di giovani under 35 dei vari istituti e fondazioni è forse la testimonianza più rappresentativa di come questi temi possano essere la base di una nuova costruzione di comunità. «Questo – ha affermato il presidente Spini – è il nostro contributo alla politica intesa nel senso più alto e nobile del termine come partecipazione e formazione continua nella capacità di prevedere i problemi, di non fermarsi alla superficie, di affrontarli nelle loro radici più profonde. “Conoscere per deliberare” era il monito di Luigi Einaudi» (p. 42). E con ancor più ambizione: conoscere per trasformare.


[1] La Conferenza nazionale dell’AICI è stata organizzata insieme alla Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali del MiBACT e con la collaborazione della Fondazione Circolo fratelli Rosselli, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica.

[2] La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, firmata a Faro il 27 ottobre 2005.

[3] Il progetto si dovrebbe articolare, secondo il testo, in due punti: un piano decennale per coinvolgere tutti i popoli mediterranei in un quadro di aiuti economici; un progetto quinquennale europeo di tutela e manutenzione del patrimonio archeologico mediterraneo.

[4] A. Gnisci, “La rete interletteraria mediterranea”, in D. Ďurišin e A. Gnisci (a cura di), Il Mediterraneo. Una rete interletteraria, Bulzoni, Roma 2000, p. 168.

[5] Ivi, p. 166.


Crediti immagine: AICI – Associazione Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane.

Scritto da
Andreas Iacarella

Laureato in Scienze storiche presso la Sapienza di Roma con una tesi di antropologia delle scritture personali. Svolge attività di ricerca presso il Gramsci centre for the humanities di San Marino e collabora a vario titolo con diverse riviste tra cui «Pandora Rivista», «Storiografia», «Il sogno della farfalla». Ha co-curato il volume collettivo “Conoscere per trasformare. La ricerca di Ernesto de Martino” (Left 2021), è inoltre autore di “Indiani metropolitani. Politica, cultura e rivoluzione nel ‘77” (Red Star Press 2018) e di diverse pubblicazioni sulla storia delle scienze della mente in Italia.

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