Recensione a: Massimo Faggioli, Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti, Morcelliana – Scholè, Brescia 2021, pp. 208, 16 euro (scheda libro)
Scritto da Paolo Cappelletto
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Con la sua elezione a Presidente lo scorso novembre, Joe Biden è diventato il secondo inquilino della Casa Bianca a professare la religione cattolica. A precederlo era stato infatti John Fitzgerald Kennedy, eletto nel 1960 dopo aver sconfitto gli stereotipi e le riserve che l’America protestante covava nei confronti dei cattolici. La figura di Joe Biden e il rapporto tra mondo cattolico e politica americana sono al centro dell’ultimo libro del professor Massimo Faggioli, docente di teologia presso la Villanova University di Philadelphia. Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti si pone infatti l’obiettivo di inquadrare le sfide che la Chiesa del XXI secolo sta affrontando all’interno della società e della politica americana. Nel corso di quest’analisi, l’autore getta uno sguardo verso quello che è stato lo sviluppo delle relazioni tra mondo statunitense e Chiesa cattolica, quest’ultima considerata a lungo come un elemento alieno rispetto alla “monocultura” protestante che costituiva il tessuto politico-culturale degli Stati Uniti. Dopo questo excursus storico, Faggioli passa a trattare la frastagliata situazione odierna, in cui, complici l’elezione al soglio pontificio di Francesco e quella presidenziale di Biden, i rapporti tra Chiesa globale e Chiesa americana, nonché la relazione tra politica americana e religione cattolica, stanno vivendo un momento molto particolare.
Prima di giungere ai giorni nostri, Faggioli prende in considerazione gli altri tre politici cattolici che, prima di Biden, avevano corso per la Casa Bianca. Questi tre candidati, Al Smith, John Fitzgerald Kennedy e John Kerry, appartengono a epoche differenti e per tale ragione l’analisi delle loro esperienze offre uno spaccato di come il cattolicesimo americano si è declinato nei diversi momenti storici. Durante gli anni di Al Smith, candidato nel 1928, e J.F.K., eletto nel 1960, i cattolici americani pativano una fortissima diffidenza da parte di un’America caratterizzata da un establishment politico e culturale di stampo prettamente protestante, che vedeva con forte sospetto il loro legame con Roma. Al momento della candidatura di John Kerry, nel 2004, le cose erano cambiate: i cattolici erano diventati parte integrante dell’establishment politico e i retaggi di quell’anticattolicesimo che tanto aveva condizionato la politica americana erano quasi del tutto scomparsi. A caratterizzare, però, il rapporto tra religione e politica nella vicenda di John Kerry era allora una questione intraecclesiale, ossia la divergenza tra le politiche sposate dal candidato Kerry e la dottrina della Chiesa. Kerry, così come poi sarà per Biden, ricevette numerose reprimende da parte di molti prelati della Chiesa americana a causa del suo supporto nei confronti della legalizzazione dell’aborto. La grande differenza, dunque, tra i primi due candidati cattolici, Al Smith e J.F.K. da una parte, e Kerry e Biden dall’altra, sta soprattutto nell’irruzione nel dibattito politico delle cosiddette “guerre culturali” che hanno lacerato la politica americana: a causa, infatti, delle divergenze sui temi etici originatesi tra Chiesa cattolica e Partito Democratico, i candidati Kerry e Biden hanno dovuto affrontare sfide che non hanno mai riguardato, per esempio, J.F.K. Si era, infatti, giunti a una situazione per cui una certa parte della Chiesa cattolica americana riteneva inammissibile sostenere Kerry in quanto questi avrebbe promosso politiche in aperto contrasto con il magistero cattolico riguardo ai “valori non negoziabili”[1], particolarmente riguardo la “tutela della vita dal concepimento alla morte naturale”. Il quadro è dunque radicalmente mutato negli ultimi sessant’anni. I cattolici non sono più considerati come un elemento alieno rispetto all’establishment WASP – white anglo-saxon protestant – ma si inseriscono ora pienamente nei luoghi chiave della politica americana. Oggi sono infatti altre le questioni chiave che caratterizzano il rapporto tra cattolicesimo e politica americana, la cui analisi è al centro del volume di Faggioli.
La vicenda del cattolicesimo negli Stati Uniti si intreccia con quella che è la storia sia delle relazioni tra Santa Sede e Stati Uniti sia della politica americana, particolarmente nella piega che essa ha preso dal 1980 a questa parte, soprattutto a partire dall’amministrazione Reagan. Tra questo presidente e Giovanni Paolo II si consolida un legame molto stretto basato su una comunanza di visione e intenti, specialmente nei riguardi dell’anticomunismo e della campagna contro l’aborto. Parallelamente, negli Stati Uniti nasce un’alleanza tra le forze conservatrici e una parte del mondo cattolico e di quello evangelico, alleanza che ha il proprio cardine in due punti salienti: liberismo e conservatorismo sociale. Si tratta del cosiddetto “fusionismo”, ideologia dominante del Partito Repubblicano degli ultimi quarant’anni, che unisce liberismo, tradizionalismo e conservatorismo. Faggioli afferma che le posizioni di una parte del cattolicesimo americano si sono appiattite su quelle del Partito Repubblicano, andando dunque a sacrificare parte della dottrina sociale della Chiesa, particolarmente nelle sue declinazioni critiche verso il capitalismo e il liberismo. Ad aver rafforzato questa tendenza vi è, secondo l’autore, l’allineamento tra questa parte di cattolicesimo statunitense e i pontificati di Giovanni Paolo II e, poi, di Benedetto XVI, i quali posero entrambi l’accento particolarmente su quelle che l’autore chiama le “life issues”, ossia le questioni relative alla “tutela della vita dal concepimento alla morte naturale”, cioè aborto, eutanasia e pena di morte, sebbene su quest’ultimo aspetto il magistero cattolico non sia stato per nulla ascoltato dai conservatori americani. Il risultato è stato dunque per Faggioli la presenza nel Partito Repubblicano e nel mondo conservatore di una classe politica cattolica appiattita sulle posizioni del proprio partito, concentrata quindi sulle “life issues” e, allo stesso tempo, dimentica di quanto il magistero della Chiesa ha da dire riguardo ad ambiente, disuguaglianze economiche e immigrazione[2].
A mescolare le carte è intervenuta l’elezione al soglio pontificio di papa Francesco, che rappresenta per Faggioli un vero e proprio punto di rottura nella vita sia del cattolicesimo globale sia del cattolicesimo statunitense. L’elezione di Jorge Mario Bergoglio ha messo in discussione, secondo l’autore, quello che era l’allineamento tra Partito Repubblicano e parte del cattolicesimo statunitense, impigliato anch’esso nella logica polarizzante, tipica della cultura americana, della dicotomia progressisti/conservatori. L’attuale Pontefice ha scosso fortemente il cattolicesimo occidentale, assumendo uno sguardo sociopolitico che, in primo luogo, si allontanerebbe da una visione culturale che ha al proprio centro l’Occidente, affacciandosi piuttosto su quelle che Bergoglio definisce le “periferie del mondo” e, in secondo luogo, porrebbe in secondo piano le “culture wars”, concentrandosi maggiormente su tematiche quali la cura dell’ambiente, il lavoro, gli eccessi del capitalismo, le criticità della globalizzazione e, infine, l’accoglienza dei migranti. Per Faggioli, il papato di Francesco rappresenta uno sconvolgimento per una certa parte del cattolicesimo americano che aveva basato il proprio engagement con la politica a partire dalla considerazione dei temi etici, in particolare sulle “life issues”: infatti, tra un Partito Repubblicano “prolife” e un Partito Democratico “prochoice” molti vescovi americani e una buona parte dell’influente laicato, con i suoi network e associazioni, hanno appoggiato, apertamente o quasi, il primo. La piattaforma politica del Partito Democratico, infatti, è considerata da buona parte del cattolicesimo americano come incompatibile con il magistero della Chiesa, principalmente per il supporto nei confronti di Roe v. Wade, la sentenza del 1973 che attribuisce all’aborto lo status di diritto costituzionale[3]. Le parole e le azioni di Francesco, anche attraverso le proprie encicliche Laudato Si’ e Fratelli Tutti, avrebbero messo in discussione per Faggioli questo approccio, slegando il rapporto tra Chiesa e politica da considerazioni relative a singole questioni etiche e politiche, incoraggiando quindi i cattolici ad avere una visione più olistica, che prende in considerazione anche altri temi di natura sociale, soprattutto nella misura in cui Francesco è intervenuto più volte in maniera molto critica verso il “modello economico e sociale della American way of life” (p. 84).
Buona parte del cattolicesimo americano ha avuto dunque un rapporto molto stretto con il mondo conservatore, soprattutto a partire dalla comunanza di visioni in riferimento alle life issues. Non è, però, solo un fattore politico che definisce l’appiattimento di parte dell’episcopato e del laicato cattolico sulle posizioni conservatrici, ma si tratta anche di un fattore teologico, in quanto nella Weltanschauung di questa parte di Chiesa vi è anche una forte critica a quella che è vista come la deriva progressista della Chiesa cattolica iniziata con il Concilio Vaticano II. Considerazioni politiche e religiose si fondono quindi in una visione unica dal sapore neotradizionalista, le cui caratteristiche sono per Faggioli, in primo luogo, un ripudio più o meno esplicito del Concilio Vaticano II e del magistero di Francesco, in secondo luogo, il sodalizio con i movimenti conservatori e, in terzo luogo, un’idea di cattolicesimo intransigente neo-ottocentesco, legata anche a un rinnovato interesse per la liturgia preconciliare, idea lontana dalla concezione di Chiesa di Bergoglio. Per Faggioli l’elezione prima di Francesco e poi di Joe Biden rappresentano il punto di rottura di questo quadro, nella misura in cui entrambi rappresenterebbero un modello di Chiesa diversa, non-ideologica, che mira a disarmare le cosiddette “guerre culturali” (p. 122). In quest’ottica, infatti, sia Bergoglio che il nuovo inquilino della Casa Bianca costituirebbero il medesimo bersaglio dei gruppi cattolici neoconservatori, nella misura in cui entrambi sarebbero i proponenti di un “umanesimo globalista, multilaterale, progressista, con un’opzione preferenziale per i poveri, a favore della solidarietà globale, per il dialogo, che premia le competenze scientifiche, tecniche e istituzionali” (p. 104). L’assonanza tra il cattolicesimo democratico di Biden e la visione di Francesco di Fratelli Tutti, il condividere compiti comuni come l’esplorare il significato di un “mondo non più centrato su un modello di civiltà liberale occidentale” (p. 145) e la volontà di superare le cosiddette guerre culturali sarebbero per Faggioli alcuni degli aspetti che rendono così simili queste due figure.
In conclusione, il volume di Faggioli rappresenta una buona cartina di tornasole per orientarsi all’interno del variegato mondo del cattolicesimo americano e del suo rapporto con la politica. La prospettiva dell’autore tende a sostenere come Biden e Francesco siano accomunati da una visione comune e dalla responsabilità di perseguire, mutatis mutandis, obiettivi analoghi. Nel considerare queste due figure, l’autore tende però, talvolta, a ricadere nell’errore che lui stesso avverte di non fare, analizzare cioè la vicenda cattolica a partire dalle categorie conservatori/progressisti, nella misura in cui si accentua nel testo una dicotomia mondo conservatore/vescovi americani – Joe Biden/Francesco che, per quanto possa essere fondata, corre in parte il rischio di ridimensionare la complessità del pontificato di Bergoglio, il cui Magistero è difficilmente comprensibile a partire dalle caratterizzazioni politiche contemporanee e, anzi, si scontra con molte istanze portate avanti da Biden e dal suo partito[4]. A ogni modo, questo libro mostra come sia imprescindibile l’analisi dell’elemento religioso per comprendere a pieno la storia e la figura di Biden, oggi probabilmente il cattolico americano più celebre, il quale ha sempre posto in primo piano il tema della fede nella sua vita pubblica e nell’autorappresentazione che ha voluto offrire ai cittadini americani in campagna elettorale[5]. Il libro di Massimo Faggioli si dimostra dunque un contributo molto importante alla comprensione del panorama politico-religioso degli Stati Uniti, riuscendo nel tentativo di restituire la complessità che lo caratterizza e le sfide che lo riguardano oggi.
[1] L’espressione “valori non negoziabili” si riferisce a una serie di istanze indicate dalla Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, emanata nel 2002. Benedetto XVI ribadirà in un discorso del marzo 2006 il richiamo al rispetto di tali principi, identificabili nella “tutela della vita, nel riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia e nella tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli”. L’espressione “valori non negoziabili” è poi parzialmente caduta in disuso ed è stata oggetto di critiche da parte di Papa Francesco, che ha affermato di “non averla mai compresa”.
[2] Faggioli fa l’esempio dei cattolici all’interno dell’amministrazione Trump, in primis il ministro della Giustizia Barr.
[3] Le sentenze cardine sono state Roe v. Wade (1973) e Planned Parenthood v. Casey (1992), che resero incostituzionali le restrizioni sull’aborto fino alla viability, ossia fino al momento in cui il feto può sopravvivere al di fuori dell’utero.
[4] Basti pensare alle parole durissime che l’attuale Papa ha rivolto a più riprese nei confronti dell’aborto e della sua legalizzazione, ponendosi, riguardo a questo aspetto, all’opposto rispetto all’azione politica dell’attuale Presidente. Allo stesso tempo, Francesco ha insistito sulla necessità di politiche volte a garantire l’assistenza sanitaria a tutti e in questo senso il Pontefice si trova a essere ideologicamente più vicino a Bernie Sanders che a Joe Biden, come suggerisce lo stesso Faggioli (p. 137). Sul pontificato di Francesco si veda anche The Liminal Papacy of Pope Francis, sempre di Massimo Faggioli.
[5] Interessante considerare come interi spot elettorali siano stati dedicati a evidenziare il legame di Biden con la propria fede cattolica e con i suoi riti. Biden stesso, come nota Faggioli, cita ripetutamente nei propri discorsi pubblici passi biblici.