Scritto da Luca Picotti
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Questo contributo è tratto dal numero cartaceo 1/2021 “Frontiere”. Questo contenuto è liberamente accessibile, altri sono leggibili solo agli abbonati nella sezione Pandora+. Per ricevere il numero cartaceo è possibile abbonarsi a Pandora Rivista. È inoltre disponibile la formula sostenitore che comprende tutte le uscite del 2020 e del 2021. L’indice del numero è consultabile a questa pagina.
In una recente Raccomandazione (2019/534), la Commissione europea ha provato a definire la tecnologia 5G come «un insieme di tutti gli elementi pertinenti delle infrastrutture di rete per le tecnologie delle comunicazioni mobili e senza fili utilizzati per la connettività e i servizi a valore aggiunto con caratteristiche di prestazioni avanzate, quali capacità e velocità di trasmissione dei dati molto elevate, comunicazioni a bassa latenza, affidabilità ultra-elevata o capacità di supportare un numero elevato di dispositivi connessi. Tale insieme può includere elementi di rete tradizionali basati sulle precedenti generazioni di tecnologie delle comunicazioni mobili e senza fili, come il 4G o il 3G. Le reti 5G dovrebbero essere intese in modo da includere tutte le parti pertinenti della rete». Il salto qualitativo è notevole: connessioni multiple – fino a cento dispositivi connessi in un metro quadro – latenza praticamente azzerata e comunicazioni circa 102 volte superiori rispetto a quelle di quarta generazione[1].
Le enormi potenzialità, in termini di connettività, velocità ed estensione, che questa tecnologia presenta e introduce nell’ambito delle reti di comunicazione, evidenziano in modo palese l’irriducibilità delle possibili implicazioni dovute al suo utilizzo alla mera dimensione tecnico-operativa. La delicatezza di tale tecnologia coinvolge infatti, già dal momento embrionale del suo sviluppo, diversi aspetti geo-politici e geo-strategici, inerenti soprattutto alla sicurezza nazionale: protezione dei dati sensibili, rischio di penetrazione e controllo da parte di attori ostili, acuita minaccia di attacchi hacker che possono colpire, ad esempio, l’infrastruttura digitale a supporto dei sistemi di controllo aereo o delle reti idriche. In ragione di queste problematicità, negli ultimi anni l’economia sottostante al 5G – contratti, rapporti commerciali, partner nelle operazioni societarie – è stata progressivamente ricondotta, in un modo o nell’altro e con le dovute differenze tra i diversi Paesi, sotto il controllo governativo, in linea con il più generale Zeitgeist protezionista di questa fase storica (rafforzamento delle normative di screening degli investimenti esteri, attenzione al mercato del controllo societario, rivalorizzazione del concetto di interesse nazionale)[2].
Per quanto riguarda l’Italia, una prima tappa essenziale ai fini della comprensione dell’economia del 5G è rappresentata dal D.L. 21/2012, convertito dalla L. 56/2012, che ha introdotto nel nostro ordinamento – dopo una lunga dialettica con la Corte di Giustizia europea in merito alla compatibilità con le libertà economiche sancite dai Trattati della precedente disciplina della «golden share»[3] – il cosiddetto golden power: semplificando, si tratta del potere speciale riconosciuto al Governo di opporsi o sottoporre a specifiche condizioni determinate operazioni societarie rilevanti (acquisizioni di controllo, delibere di fusione ecc.) idonee a pregiudicare l’interesse nazionale e poste in essere da imprese operanti nei settori della sicurezza e della difesa nazionale o aventi asset strategici nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e, dal 2017, ad alta intensità tecnologica[4].
La seconda tappa è costituita dal D.L. 25 marzo 2019, n. 22, convertito con modificazioni dalla L. 20 maggio 2019, n. 41, con cui è stato introdotto l’art. 1-bis al D.L. 21/2012, che ha assoggettato alla tutela prevista per i settori della difesa e della sicurezza nazionale anche le reti e i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G. Da quel momento, lo spettro del controllo governativo si ha con riguardo alla (già) sola «stipula di contratti o accordi aventi ad oggetto l’acquisizione, a qualsiasi titolo, di beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti inerenti i servizi [di comunicazione elettronica 5G] ovvero l’acquisizione, a qualsiasi titolo, di componenti ad alta intensità tecnologica funzionali alla predetta realizzazione o gestione, quando posti in essere con soggetti esterni all’Unione Europea».
La decisione del legislatore va ricercata nella sempre maggiore importanza che questa tecnologia sta assumendo e assumerà in futuro nello scacchiere della competizione geopolitica, nelle cyberwar, nelle infrastrutture critiche delle società avanzate, nonché nelle vite dei singoli cittadini; come si legge al considerando n. 2 della Raccomandazione 2019/534: «Le reti 5G costituiranno la struttura portante di una vasta gamma di servizi essenziali per il funzionamento del mercato interno e per il mantenimento e la gestione di funzioni economiche e sociali vitali, quali l’energia, i trasporti, i servizi bancari e sanitari e i sistemi di controllo industriale. Anche l’organizzazione dei processi democratici, quali le elezioni, si baserà sempre di più sulle infrastrutture digitali e sulle reti 5G»[5]. Infine, non sono da trascurare le pressioni americane nei confronti degli alleati atlantici per l’introduzione di discipline in grado di ostacolare l’espansione dei campioni cinesi del 5G, in primis Huawei e ZTE, sollecitazioni da inserirsi nella cornice di sempre più marcata guerra fredda tra le due superpotenze del capitalismo politico[6].
I due aspetti di maggiore interesse in fatto di economia del 5G riguardano, da un lato, il cambio di prospettiva dell’Unione Europea in tema di controllo delle reti, dall’altro la pervasività della disciplina italiana introdotta nel 2019, tale da configurare una sorta di vero e proprio ‘protezionismo contrattuale’.
L’Unione Europea rappresenta la cristallizzazione di quella ‘nuova costituzione economica’ emersa negli anni Novanta e fondata sui principi della concorrenza e della libera circolazione di merci e capitali[7]. A partire dal già accennato istituto della golden share, la Commissione e la Corte di giustizia hanno negli ultimi decenni costantemente censurato ogni tentativo da parte degli Stati membri di interferire con il libero mercato, relegando la possibilità di prevedere poteri speciali a situazioni eccezionali, inserite in ogni caso in una cornice di legalità e trasparenza. Un esempio interessante, tra gli altri, è proprio quello relativo al controllo delle reti di comunicazione: ai sensi dell’art. 2 del D.L. 21/2012, le stesse sono soggette al golden power secondo una disciplina meno rigida di quella prevista per i più delicati settori della difesa e della sicurezza nazionale (art. 1); ad esempio, nelle operazioni di acquisizione i poteri sono attivabili solo nei confronti di soggetti extra-europei[8]. Ai fini dell’applicazione della disciplina erano necessari dei decreti attuativi e nel 2013, con lo spettro della vendita di Telecom da scongiurare, per le reti di comunicazione non erano ancora stati adottati. Così, con il DPCM 129/2013, il Governo ha fatto tempestivamente confluire nelle attività di rilevanza strategica per la difesa e la sicurezza nazionale (assoggettate ad una tutela più rigida, attivabile nei confronti di tutti gli operatori, italiani, europei e non) anche le reti di comunicazione. La risposta della Commissione europea non si è fatta attendere: con una nota di chiarimento del 25 novembre 2013, la stessa ha ipotizzato un possibile contrasto tra il DPCM e il principio di libera circolazione dei capitali, adducendo che il decreto «contiene una definizione molto ampia degli attivi strategici che copre potenzialmente la gestione e il funzionamento di quasi tutti gli impianti di comunicazione» e domandandosi quale fosse «il collegamento tra le attività nel settore delle comunicazioni incluse nel nuovo decreto e gli interessi essenziali di sicurezza che potrebbero essere seriamente pregiudicati». Ha fatto poi seguito l’immediata abrogazione del DPCM 129/2013 tramite la riorganizzazione attraverso appositi decreti attuativi dei diversi settori dell’art. 1 e dell’art. 2 del D.L. 21/2012, con le reti ricondotte nel raggio di quest’ultimo[9].
Con l’avvento del 5G e il profilarsi di una nuova stagione di competizione geo-politica e tecnologica, l’Unione Europea – certo, sollecitata dagli Stati Uniti – non solo sembra avere messo temporaneamente da parte la fede incrollabile nei confronti delle libertà economiche, ma si è fatta essa stessa promotrice di una campagna di sensibilizzazione verso i rischi insiti al 5G. Innanzitutto, con l’emanazione del (generale) Regolamento 2019/452 sul controllo degli investimenti esteri; poi, con la citata Raccomandazione 2019/534 e l’elaborazione di numerosi documenti, come il Risk Assessment UE, volti ad informare gli Stati membri sui potenziali pericoli della nuova tecnologia, in modo da sollecitare i rispettivi legislatori ad adottare le opportune cautele. Le reti di comunicazione, quando interessate dal 5G, hanno così assunto una dimensione strategica strettamente collegata alla sicurezza nazionale. Con la conseguenza che, nei confronti dei soggetti extra-europei (in primis gli operatori cinesi), controlli anche molto pervasivi su contratti e operazioni commerciali non rappresentano più una violazione dei Trattati, ma una scelta legislativa quasi auspicabile per affrontare la nuova sfida geo-politica. Da questo punto di vista, la disciplina italiana si inserisce perfettamente nel rinnovato contesto, senza più destare perplessità circa la compatibilità con l’ordinamento europeo. In altri termini, il mutamento di prospettiva pare evidente e se all’interno del mercato unico ancora vigono i solidi principi della concorrenza e della libera circolazione di capitali, nei rapporti con i soggetti terzi esterni al perimetro comunitario i superiori interessi geo-strategici sembrano avere preso il sopravvento.
L’altro aspetto di particolare interesse riguarda l’incidenza del controllo governativo previsto dalla disciplina italiana. Infatti, nel caso del 5G ci si discosta dall’impostazione tradizionale dei golden power – incentrata su vicende di particolare rilievo in grado di incidere sulla governance delle imprese, quali le modifiche all’assetto proprietario, o su alcune operazioni idonee a modificare il business tipico dell’azienda o la titolarità degli attivi strategici – assoggettando al controllo meri atti negoziali di per sé incapaci di interferire, anche solo indirettamente, con il governo e gli assetti di potere della società[10]. Questo rileva anche sotto il profilo della trasparenza, poiché, a differenza delle operazioni significative (acquisizioni, fusioni ecc.) rilevanti di norma per la disciplina del golden power, i meri atti negoziali inerenti al 5G difficilmente risultano conoscibili all’esterno (ma rientrano invece esclusivamente tra i processi amministrativi interni alle aziende). A ciò si aggiunge infine la tendenza – indicativa di una certa opacità – a non pubblicare i provvedimenti con cui vengono esercitati i poteri in ambito 5G.
Ad ogni modo, da quanto si riesce a ricostruire sulle vicende degli ultimi due anni, le imprese italiane maggiormente coinvolte nell’applicazione della disciplina sono state Fastweb, LINKEM, Vodafone, Wind Tre e Tim. Le controparti straniere su cui il Governo italiano (anche per le pressioni atlantiche) ha mostrato di prestare più attenzione sono invece, prime tra tutte, Huawei e ZTE. Nel 2019, i poteri sono stati utilizzati in 11 operazioni, mentre nel 2020 in 18 operazioni. Per fare un esempio tra gli altri[11]: il 5 marzo 2020 il Governo ha esercitato i poteri attraverso l’imposizione di specifiche condizioni ad un contratto stipulato da Fastweb S.p.a. per la fornitura da parte della società Huawei Technologies Co. Ltd. di apparati di accesso radio 5G (CPE), per la realizzazione dell’ultima tratta della rete 5G Fixed Wireless Access, da collegare ad una core network Ericsson (DPCM 5 marzo 2020). Di recente (22 ottobre 2020), sarebbe stato addirittura posto un veto su un accordo tra le due società avente ad oggetto una fornitura per le reti 5G core[12]: il motivo principale riguarderebbe la necessità, avvertita dal Governo italiano, di una diversificazione nella fornitura, in modo da evitare che per la realizzazione delle delicate reti core Fastweb avesse come forniture unico Huawei[13].
In generale, dal momento che i DPCM tendono a non essere pubblicati, il più delle volte le sembianze concrete dei poteri speciali – in sostanza, cosa viene imposto alle imprese – emergono solo da indiscrezioni di stampa, con le principali linee di indirizzo che possono essere riassunte in a) attivazione di un Comitato di monitoraggio; b) attivazione della funzione security a livello aziendale; c) diversificazione dei fornitori; d) non divulgazione delle informazioni e limitazione dell’accesso da remoto. Quanto però risulta in modo chiaro è l’attenzione del Governo per i rapporti contrattuali aventi ad oggetto la nuova tecnologia. L’impressione, infatti, è che l’economia sottostante al 5G – contratti, forniture, accordi informali – si muova in una zona grigia, ove i principi della trasparenza e della certezza del diritto, nonché della libertà di impresa, soggiacciono di fatto alle esigenze (motivate da logiche geo-politiche) del Governo, terzo ed essenziale interlocutore all’interno del rapporto giuridico, che diventa di conseguenza trilaterale. È infatti oramai difficile per gli operatori extra-europei – di per sé anche per gli attori statunitensi quindi, ma ovviamente la politicità della disciplina conduce ad un maggiore rigore verso le imprese cinesi – espandersi in Italia senza passare prima per il vaglio governativo, che arriva addirittura a controllare i singoli contratti, secondo una logica di ‘protezionismo contrattuale’ inedita ed esemplificativa dello spirito dei tempi.
I nodi che emergono dall’analisi sono molteplici e probabilmente accompagneranno questa fase di transizione, nell’attesa di una riscrittura degli equilibri globali che potrebbe seguire nel post-pandemia. Alcune tendenze sembrano suggerire una rinnovata attenzione per i concetti di sicurezza e interesse nazionale, nonché per la strategicità di taluni settori. Da qui, la possibilità di assistere nei prossimi anni ad una rimodulazione delle catene del valore nell’ottica di una globalizzazione più regionalizzata, con consequenziale rafforzamento dell’asse atlantico – anche dal punto di vista dell’integrazione tecnologica, di intelligence e infrastrutturale – e allentamento dei legami intessuti nell’ultimo trentennio con gli attori asiatici. Il 5G rappresenta un delicato campo di prova in questo senso: è possibile mantenere, allo stesso tempo, un’economia aperta all’interno del perimetro atlantico e meticolosamente protezionista rispetto alle altre realtà? Allo stato attuale, il ‘protezionismo contrattuale’ in ambito 5G può operare, per quanto riguarda la disciplina italiana, tanto nei confronti della Cina quanto degli Stati Uniti. Il posizionamento più in generale dell’Unione Europea rappresenterà una delle sfide principali. L’obiettivo potrebbe essere quello di sviluppare un mercato interno concorrenziale come da dettame dei Trattati, integrato nell’asse atlantico e difeso poi all’esterno con politiche più protezioniste nei confronti dei potenziali attori ostili come la Cina. Il Regolamento 2019/452 pare indicare questa via[14], ma le contraddizioni e rivalità tra Stati membri la rendono particolarmente difficoltosa.
In ogni caso, considerato che il 5G – e future tecnologie ancora più avanzate – diventeranno parte integrante delle infrastrutture delle nostre società, sarà necessario adottare politiche selettive e coerenti, anche con decise scelte di campo se occorre, in modo da evitare di creare un contesto opaco nell’economia sottostante. Dal momento che contratti, scambi e rapporti commerciali inerenti al 5G saranno destinati ad aumentare e diventare strutturali, un ‘protezionismo contrattuale’ generalizzato non potrebbe risultare più sostenibile, o comunque rischierebbe di tradursi in un antieconomico vincolo governativo finalizzato ad ingabbiare un settore in costante sviluppo. Ad esempio, se la strada che si decide di seguire è quella di una maggiore integrazione con gli Stati Uniti, avrà ancora senso vagliare ogni singolo contratto inerente al 5G con controparte statunitense, considerati i costi della predisposizione della notifica al Governo, di attesa e di incertezza? Oppure, se l’Unione Europea intende invece coprirsi rispetto a qualsiasi attore extracomunitario (ergo, anche gli Stati Uniti), ponendosi dunque come un terzo polo autonomo rispetto alle due grandi potenze del capitalismo politico, è pronta a sviluppare veramente un’integrazione geo-strategica interna?
Per questo, ogni scelta dovrà essere ben ponderata: quali contratti controllare, che alleati avere, dove posizionarsi nel nuovo scacchiere globale. Così per l’Italia e così per l’Unione Europea, ammesso e non concesso che sappia ancora cosa voglia diventare da grande e che ruolo intenda giocare nella partita tecnologica e geo-politica.
[1] Cfr. G. Vigna, Le decisioni del governo riguardanti la tecnologia 5G, in AA. VV., I “poteri speciali” del Governo nei settori strategici, G. Della Cananea e L. Fiorentino (a cura di), Editoriale Scientifica, Napoli 2020, p. 244.
[2] Sul tema, si rimanda G. Napolitano (a cura di), Foreign Direct Investment Screening/Il controllo sugli investimenti esteri diretti, il Mulino, Bologna 2019.
[3] Con il D.L. 31 maggio 1994, n. 332, lo Stato si era riservato una golden share (azione speciale) nelle imprese privatizzande, indicata nei rispettivi statuti e conferente determinati poteri speciali che garantivano al Governo di mantenere un controllo di fatto sull’impresa – poteri di gradimento sulla circolazione azionaria e sulla stipula di patti parasociali, poteri di veto su determinate delibere societarie e poteri di nomina di amministratori. L’introduzione di questa peculiare azione, in primo luogo sperimentata dalla Gran Bretagna, poi da Francia, Italia e tutti gli altri Paesi europei, è stata ritenuta dalla Corte di giustizia europea lesiva dei principi di libera circolazione dei capitali e libertà di stabilimento, in una serie di sentenze di condanna susseguitesi nel corso del primo decennio degli anni Duemila e che hanno smontato una a una le diverse discipline (tranne quella belga). La disciplina del golden power emerge, riprendendone in parte le finalità, dalle macerie di questo particolare istituto.
[4] Settori nel tempo estesi, anche a seguito dell’adozione del Regolamento europeo 2019/452.
[5] Cfr. B. Valensise, I settori strategici dopo la riforma, in AA. VV., I “poteri speciali” del Governo nei settori strategici, G. Della Cananea e L. Fiorentino (a cura di), Editoriale Scientifica, Napoli 2020, pp. 148-155.
[6] Si veda A. Aresu, Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina, La Nave di Teseo, Milano 2020.
[7] In merito, si rimanda a S. Cassese, La nuova costituzione economica, Laterza, Roma-Bari 2021.
[8] Ora, a seguito del D.L. 23/20 adottato per fare fronte alla crisi del Covid-19, i poteri nei settori dell’art. 2 sono stati temporaneamente (fino al 30 giugno 2021, salvo ulteriori proroghe) estesi anche alle operazioni con soggetti europei.
[9] Sul caso, si veda P. Di Palma, National case study: Italian law on strategic assets; Golden power, «Rassegna dell’Avvocatura dello Stato», 2014, n. 1.
[10] Cfr. P. Maccarrone, Poteri speciali e settori strategici: brevi note sulle recenti novità normative, Osservatorio Costituzionale, 2, 2020, p. 137.
[11] Per una rassegna dei casi pratici, si veda la Relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali golden power, 2019.
[12] G. Fonte e E. Pollina, Italy vetoes 5G deal between Fastweb and China’s Huawei: sources, «Reuters», 23 ottobre 2020.
[13] Tra le indiscrezioni dei media, si segnala F. Bechis, Caro Conte, sul 5G bene ma non basta. Parola dell’Amministrazione Trump, «Formiche.net», 29 ottobre 2020; S. Bennevitz, Il Governo mette il veto sulla tecnologia Huawei per la rete 5G di Fastweb, «La Repubblica», 23 ottobre 2020; G. Carrer, 5G, in due anni solo un veto (su Huawei), «Formiche.net», 13 gennaio 2021; C. Fotina, 5G, il Governo congela il contratto Huawei-Fastweb, in «Il Sole 24 Ore», 23 ottobre 2020.
[14] In questo senso P. Amicarelli, Il controllo degli investimenti stranieri nel regolamento europeo del 2019, in Giorn. dir. amm., 2019, p. 763.