Recensione a: Cornelius Castoriadis, L’istituzione immaginaria della società, a cura di Emanuele Profumi, Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 560, 28 euro (scheda libro)
Scritto da Giulio Pennacchioni
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L’Istituzione immaginaria della società è certamente fra le opere più importanti, ma anche meno note, della filosofia occidentale della seconda metà del XX secolo. Questa traduzione del libro di Cornelius Castoriadis L’institution imaginaire de la société[1], edita da Mimesis e curata da Emanuele Profumi, è quindi un lavoro di primaria importanza non solo per poter ricostruire il percorso intellettuale dell’autore, ma anche per la più generale riflessione filosofica contemporanea.
Procedendo con ordine: chi è stato Cornelius Castoriadis? Nato ad Istanbul nel 1922; cofondatore del gruppo e della rivista dell’estrema sinistra francese “Socialisme ou Barbarie”; economista all’OCSE; psicanalista e Directeur d’études all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, Castoriadis può essere senza dubbio annoverato fra i più importanti pensatori del secondo Novecento. Ad aver dialogato con lui, non a caso, troviamo intellettuali del calibro di Claude Lefort, Jürgen Habermas, Paul Ricœur o ancora Edgar Morin. Molti altri pensatori contemporanei ne sono ancora direttamente influenzati; è il caso, per esempio, di Serge Latouche, di Pierre Lévy, di Slavoj Žižek. Il suo pensiero è, inoltre, sempre più al centro del dibattito accademico attuale, dato soprattutto il rinnovato interesse scientifico per il concetto di “istituzione”[2]. L’obiettivo principale de L’istituzione immaginaria della società è affrontare il nodo del rapporto fra ciò che in società è “già istituito” e ciò che, parallelamente, “istituisce”. Detto in altro modo, la domanda da cui parte Castoriadis in questo libro è: che cos’è che mette in crisi le “istituzioni istituite”? Perché le istituzioni cambiano?
Nella prima parte dell’opera (Marxismo e teoria rivoluzionaria) Castoriadis passa dalla critica di un certo marxismo ortodosso a una proposta rivoluzionaria, molto vicina alle stesse idee degli ambienti dell’estrema sinistra francese a cui era legato. Questi primi capitoli partono quindi da una domanda: che cosa tiene insieme la critica al socialismo della rivista “Socialisme ou Barbarie” e la realtà dei fatti di una società ormai governata dalla burocrazia e dal modo di produzione capitalistico? L’opera comincia con un chiarimento del primo punto. Da segnalare è sicuramente il secondo capitolo (Teoria e progetto rivoluzionario) in cui Castoriadis mostra le ragioni del suo distacco dal socialismo europeo, ormai non più in grado di guidare la lotta di classe; di rappresentare le idee di Marx. Secondo Castoriadis, infatti, già negli anni Settanta, i partiti socialisti avevano definitivamente perso il loro movente principale; il motivo della loro stessa creazione: la ricerca dell’autonomia umana, individuale e collettiva. Non a caso, è già in questo capitolo che viene introdotto il concetto chiave del libro: il “Sociale-storico”. Nell’idea di Castoriadis, il socialismo, diretta espressione del pensiero contemplativo occidentale, era ricaduto nello stesso “vizio di fondo” di quest’ultimo: il primato della teoria sulla prassi. Come indicato ne L’istituzione, invece, al fine di comprendere le reali dinamiche di una società, bisogna invertire questo movimento. Per tal ragione, Castoriadis elabora[3] appunto la nozione di “Sociale-storico”: una «logica-ontologia» (p. 15) opposta a quella contemplativa.
La spiegazione del senso in cui va inteso il movimento del “Sociale-storico” è l’obiettivo della seconda parte dell’opera (L’immaginario sociale e l’istituzione). Nella sua idea, a differenza della filosofia da Platone ad Heidegger, tramite questa nuova “logica-ontologia” è infatti possibile un diverso modo di concepire la storia. Per riportare le sue stesse parole: «Il mondo storico è il mondo del fare umano. Questo fare è sempre in rapporto con il sapere, ma questo rapporto va chiarito» (p. 130). Secondo Castoriadis, quindi, ogni società si auto-istituisce in virtù di quel vitalismo intrinseco che la caratterizza e che è l’attività umana, capace di attingere a quel “primo strato naturale” del vivente, fisico e biologico. Ogni nuova creazione all’interno delle istituzioni non è mai, quindi, ex nihilo, ma ex aliquo. Il “Sociale-storico” è il concetto-chiave utilizzato da Castoriadis per spiegare questa auto-generazione continua all’interno delle forme istituite. Tramite questo, il filosofo greco-francese riesce a rendere conto dei due aspetti che segnano la realtà umana: l’istituzione, ossia il tessuto normativo già esistente (l’istituito) e la trasformazione dello stesso (l’istituente). Alla base dell’operazione di Castoriadis non bisogna però vedere una sorta di “relativismo storicista sui generis”. Il suo è, piuttosto, il tentativo di stabilire quali sono quelle verità filosofiche interne alla condizione dialettica umana e che si esprimono appunto nel continuo incontro/scontro tra i movimenti sociali istituenti e la realtà sociale istituita. La realtà è quindi sia sempre relativa, perché si mostra sempre nelle sue configurazioni particolari, momentanee; sia assoluta, perché esiste proprio in quanto continuo cambiamento rispetto alla forma assunta.
Sorge a questo punto spontanea una domanda: come si pone l’uomo all’interno di questo processo? Nel penultimo capitolo del suo libro (L’istituzione sociale-storica: l’individuo e la cosa) Castoriadis chiarisce questo aspetto, spiegando la sua idea di inconscio, di realtà psichica, e facendo emergere che è l’essere umano ad essere al centro dell’incessante modificarsi delle istituzioni. In particolare, attraverso la sua capacità immaginativa, l’uomo riesce a superare continuamente lo status-quo della realtà; ad immaginare una società diversa da quella in cui vive. Sviluppando le intuizioni del De anima di Aristotele e le tesi di Kant sullo schematismo, è per Castoriadis l’immaginazione umana il “motore primo” del continuo processo di rinnovamento della realtà. Influenzato nel pensarla anche dall’insegnamento di Ernst Cassirer, che, appunto, la poneva a metà fra il reale e l’ideale, Castoriadis sostiene che le principali caratteristiche di questa sono l’opacità, la trascendenza, ma anche il carattere esperienziale nella vita dei soggetti. Per Castoriadis, quindi, la possibilità di istituire l’autonomia da parte dell’uomo implica la necessità di attingere a questa dimensione non completamente conosciuta, ma comunque interna agli stessi individui, che è l’immaginazione.
Arrivati a questo punto dell’analisi è, quindi, possibile comprendere i due aspetti centrali de L’Istituzione immaginaria della società già accennati all’inizio: la ricerca teoretica e la prospettiva politica. La prima emerge in modo più netto in quella che il curatore alla presente edizione ha definito la pars destruens dell’opera e cioè la critica iniziale di Castoriadis al marxismo. La seconda, la pars costruens, è quella dove invece viene tematizzata la sua prospettiva filosofico-politica, appunto basata sulla possibilità rivoluzionaria dell’immaginazione umana. I due aspetti sono tra loro in un rapporto di interdipendenza, dal momento che la stessa messa in crisi del modo marxista di concepire la storia sussiste perché conseguente all’attività dell’immaginazione umana, conditio sine qua non della possibilità di rinnovamento della società. A tal proposito, il capitolo Teoria e progetto rivoluzionario può essere in effetti considerato la “cerniera” tra l’operazione teoretica iniziale e l’aspirazione filosofico-politica dell’autore. Riportando le sue parole:
«Solo una realizzazione del teorico può restaurarlo nella sua vera funzione e dignità. Ma tale realizzazione è inseparabile dalla realizzazione del pratico; è solo nella loro relazione corretta che possono, l’uno e l’altro, diventare veri […] La costituzione parallela della pratica e della teoria psicanalitica di Freud, dal 1886 sino alla sua morte, fornisce probabilmente la migliore illustrazione di questo doppio rapporto. La teoria non potrebbe essere data previamente, poiché essa emerge costantemente dall’attività stessa […] Ma, nella struttura logica dell’insieme che essere formano, l’attività precede la delucidazione, poiché per la praxis l’istanza ultima non è la delucidazione, ma la trasformazione del dato» (pp. 128 e 137).
Ciò che viene messo in chiaro in maniera netta in questo capitolo è che se la storia umana è poiesis, “creazione continua”, allora, affinché le varie trasformazioni siano volute, “pensate”, deve essere condotta da pratiche (praxis) con al centro l’autonomia umana. E, affinché vi sia questa autonomia, vi siano queste pratiche, che precedono ma al contempo vengono determinate nella teoria, allora è necessario attingere alla capacità immaginativa umana; al suo inconscio, la cui tematizzazione ha in Freud il riferimento fondamentale.
Ma come conciliare tutto questo con la realtà dei fatti? Il “Sociale-storico”, a sua volta determinato dalla capacità dell’essere umano di immaginare, ha veramente portato la società all’autonomia universale degli individui? Se ha ragione Castoriadis nel dire che i partiti socialisti degli anni Sessanta e Settanta non erano più in grado di guidare la lotta di classe, chi è riuscito in questo intento? Insomma: l’istituente è veramente riuscito a mettere in crisi e rinnovare l’istituito? Era il 1975 quando Castoriadis scrisse questo libro. Pochi anni prima, nel 1973, la società occidentale assistette a una delle più grandi crisi petrolifere della storia moderna. Lo spartiacque di questo evento fu tale che riuscì a mettere in crisi lo stesso modello economico del tempo. Per il fenomeno della stagflazione, alla visione keynesiana, fino a quel momento al centro delle politiche economiche, si sostituirono le nuove teorie della scuola di Chicago o di quella austriaca. Non ne seguì, insomma, quel rinnovamento verso l’autonomia degli individui tanto auspicato da Castoriadis in questo libro. È come se il “Sociale-storico” sia stato completamente assorbito dalla rivoluzione neoliberista di quegli anni e non abbia più esercitato alcun ruolo – istituente, si potrebbe dire – nella storia occidentale. Anche di questo si era accorto Castoriadis, che ne scrive ne L’istituzione immaginaria della società, lasciando intendere che affinché questa possibilità altra – il “Sociale-storico” – possa emergere, è necessario continuare a ragionarci; a immaginare. Questo, nella convinta speranza che la grande dea nella sapienza non si sia ormai definitivamente consegnata all’inattuale e all’inutile.
[1] Pubblicato per la prima volta nel 1975 dalla casa editrice francese Seuil.
[2] Per una ricostruzione sintetica dell’interesse emergente per il tema, si veda Enrica Lisciani-Petrini e Massimo Adinolfi, Introduction, «Discipline filosofiche», 2, 2019, pp. 5-8. Sul concetto di “istituzione” sono gli ultimi lavori di Roberto Esposito, tra cui si vedano: Pensiero istituente. Tre paradigmi di ontologia politica, Einaudi, Torino 2020; id., Istituzione, il Mulino, Bologna 2021; nonché la collana da lui diretta “Almanacco di filosofia e politica”, di cui si riportano qui gli ultimi due numeri, Almanacco di Filosofia e politica 04. Sull’evento. Filosofia, storia, biopolitica; a cura di Rita Fulco e Andrea Moresco, Quodlibet, Macerata 2022 e Almanacco di Filosofia e politica 03. Res publica. La forma del conflitto; a cura di Paolo Missiroli e Andrea Di Gesu, Quodlibet, Macerata 2021. Da segnalare è il lavoro portato avanti da diversi anni, ben prima di questa recente esplosione di interesse, di alcuni studiosi italiani, tra cui si veda Ubaldo Fadini, Il tempo delle istituzioni. Percorsi della contemporaneità: politica e pratiche sociali, Ombre Corte, Verona 2016; Mariano Croce, Che cos’è un’istituzione, Carocci, Roma 2010; Carlo De Rita, Desiderio e istituzione. Per un’antropologia politica della soggettività, Franco Angeli, Milano 2007.
[3] Influenzato, in questo, dagli studi strutturalisti sul linguaggio, dalla teoria psicanalitica di Sigmund Freud, dalla filosofia antica, dall’antropologia e infine dalle scoperte dei suoi tempi della biologia e della fisica.