Recensione a: Filippo Tantillo, L’Italia vuota. Viaggio nelle aree interne, Laterza, Roma-Bari 2023, pp. 224, 15 euro (scheda libro)
Scritto da Alfredo Marini
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Casacalenda o Kalena – come da antico toponimo – è un comune molisano abitato da circa 1.800 anime, incastonato tra le dolci colline frentane, dista poco più di quaranta chilometri dalla costa adriatica. Già citata da Polibio, nel 217 a.C. la località fu terra di passaggio[1] delle truppe cartaginesi che si accingevano a combattere la sanguinosa battaglia di Canne. Casacalenda è un piccolo scrigno di storia e, come molti altri borghi, vive il suo silenzioso presente in quella che Filippo Tantillo ha definito “l’Italia Vuota”. Ed è proprio nel piccolo comune molisano che chi scrive ha assistito alla presentazione del suo ultimo libro L’Italia vuota (Laterza 2023), un momento di riflessione sull’identità e la voce inascoltata delle cosiddette “aree interne”.
Filippo Tantillo – ricercatore, film maker, membro del Forum Diseguaglianze e Diversità e dell’Associazione Riabitare l’Italia – ha lavorato nel 2012 al fianco del Ministro Fabrizio Barca[2] alla Strategia nazionale per le aree interne (SNAI); l’idea di questo libro ha, perciò, origine dall’esperienza di ascolto militante di chi abita le aree interne. L’incipit è schietto: circa tredici milioni di persone sparse su un’area superiore alla metà del territorio italiano, sono questi i dati di partenza per comprendere compiutamente la rilevanza territoriale e demografica di quelle che vengono approssimativamente etichettate come aree interne. Territori che hanno rappresentato per secoli il luogo di sviluppo della nostra cultura e di peculiari sistemi socioeconomici ma che oggi, seppur ricomprese nell’avanzato Occidente, sembrano non trovare cittadinanza nel mondo globalizzato.
Un’Italia di paesi che si svuotano, dove la popolazione invecchia mentre la natura e l’incuria si impossessano di ciò che un tempo era vigilato dal meticoloso lavoro dell’uomo. Questa è ciò che l’autore definisce l’Italia vuota, equivalente al 60% del territorio e al 22% della popolazione totale del nostro Paese, che vive inascoltata nel limbo politico, culturale e socioeconomico generato anche dall’indifferenza dello Stato. Vere e proprie «aree dimenticate dalla determinazione ordinatrice della dottrina economica» (p. 5) che da alcuni anni a questa parte siamo abituati a trovare, sia nei programmi di sviluppo che sugli organi di stampa, sotto la denominazione di aree interne. Un’accezione vaga che la vulgata comune associa a paesaggi montani impervi e irraggiungibili, ma che in realtà include luoghi strategici e rinomati, nonché moltissime aree costiere. L’Italia vuota è, dunque, un insieme di realtà eterogenee, inascoltate dalla politica e che faticano a reggere il confronto sul piano economico con le grandi aree urbane. Ed è proprio per tale motivo che sono oggetto di finanziamenti ad hoc, decisi su lontane scrivanie ministeriali e al di fuori di qualsiasi confronto con i cittadini interessati, il cui unico scopo è garantire nient’altro all’infuori della mera sopravvivenza.
Il titolo scelto da Tantillo accompagna il lettore a riflettere su due grandi contraddizioni: la prima – giocando su un ossimoro – chiarisce come l’Italia vuota, in realtà, tale non è, in quanto percorsa da continui flussi di persone in cerca del proprio posto nel mondo, soggetta alle grandi sfide generate dal cambiamento climatico e depositaria di ricchezze naturalistiche e culturali di primo piano. Secondo l’autore, nell’Italia vuota, a dispetto di quanto si possa immaginare, risiedono al contrario moltissime delle potenzialità del nostro Paese. La seconda contraddizione, invece, viene messa in luce con una sorta di provocazione: lo Stato, paradossalmente, si avvale del concetto di aree interne per includervi tutto ciò che resta fuori dalle grandi aree urbane. In un certo senso, queste aree, rappresenterebbero un’Italia vuota anzitutto agli occhi delle istituzioni, in quanto non identificabili tra le parti di territorio economicamente competitive e dunque destinate, secondo le regole di mercato, a non avere piena cittadinanza.
Le pagine scritte da Tantillo conducono il lettore a cogliere un aspetto capace di unire le valli occitane del Piemonte con le montagne friulane, la valle del fiume Simeto con l’Appennino centrale, il Molise, la costa ionica Calabrese e la Sardegna: il riferimento è al drammatico fenomeno del costante spopolamento. L’autore ricollega questo aspetto anche alle disfunzionalità del modello neoliberista che giustifica il dramma dello spopolamento quale prezzo da pagare a garanzia della crescita economica, escludendo alla radice ogni analisi che consideri i disastri sociali prodotti da questi meccanismi. Guardando all’Italia vuota attraverso le lenti delle regole di mercato, ribadisce Tantillo, lo spopolamento deriverebbe dalla carenza di opportunità occupazionali, a sua volta determinata dall’assenza di stabilimenti produttivi e da una scarsa attitudine a fare impresa; un ragionamento che confonde la causa e conseguenza.
A ben vedere lo svuotamento delle aree interne è generato da un fattore più semplice e che lo stesso autore ha desunto dall’ascolto dei cittadini che abitano i luoghi dell’Italia vuota: si tratta della totale assenza di servizi. «Non è per carenza di lavoro che la gente abbandona queste aree, ma per la mancanza di servizi pubblici e privati, per la lontananza degli ospedali, delle scuole e dei negozi» (p. 15), Tantillo espone il vero tema politico su cui si gioca il futuro non solo dell’Italia vuota, ma di tutto il Paese. Come sarebbe possibile costruire le premesse per la crescita di un territorio, se nello stesso momento in cui si delinea un programma di sviluppo, il territorio interessato dall’intervento è spogliato dei presidi fondamentali che caratterizzano la presenza concreta dello Stato al fianco dei cittadini? Come si potrebbe rendere appetibile, agli occhi delle persone e dei capitali, un luogo in cui l’assenza di servizi pubblici priva di qualsiasi dignità i cittadini che lo abitano?
L’autore fa drammaticamente notare che il problema riguarda principalmente il ruolo delle istituzioni e dei doveri che queste hanno nei confronti delle aree (spesso rese ndr) svantaggiate del Paese. Dove mancano le forze sociali e l’impresa, la mano pubblica ha il dovere di garantire gli strumenti di sviluppo del territorio, cosicché l’iniziativa economica privata possa essere intercettata. Solo in questo modo lo spopolamento potrà essere fermato e, per assurdo, invertito. Al contrario, siamo testimoni, ribadisce l’autore, di uno Stato che genera miseria e disuguaglianze attraverso politiche pubbliche orientate alla concentrazione degli investimenti sui territori che assicurano la massimizzazione del profitto. Se la dignità di un territorio – e dei suoi cittadini – si misura sui servizi fondamentali offerti, l’Italia vuota smarrisce ogni giorno parte della propria dignità all’interno di un meccanismo paradossale in cui chi già ha meno risorse ne riceve sempre di meno.
Tra le varie problematiche connesse allo sviluppo dell’Italia vuota, l’autore rintraccia anche un approccio sbagliato della pubblica amministrazione, informata al principio del primato della procedura anziché a quello del benessere dei cittadini; a ciò si somma un vulnus nella concreta gestione amministrativa del territorio da parte degli enti locali. Tantillo, infatti, fa notare il grande problema della frammentazione dei centri di spesa e programmazione: l’Italia vuota, in effetti, è disseminata di micro-comuni – molti dei quali arrivano a contare solo alcune decine di abitanti – incapaci di dialogare tra loro, organizzarsi per attrarre maggiori investimenti e proporre progetti di sviluppo strategici che, quando esistono, si presentano sovente come mere petizioni di principio prive di prospettiva, finalità concrete e soggetti attuatori.
Il ruolo dello Stato nell’Italia vuota è legato anche alla funzione della politica e allo stato di salute della democrazia. Secondo Openpolis, dal 2010, sono 1.946 i comuni dell’Italia vuota commissariati (su 7.901 totali), con un numero cospicuo di questi che non vota addirittura da vent’anni. Lo svuotamento delle aree interne, infatti, incide pesantemente sulla qualità del dibattito politico e l’emigrazione non sottrae solo persone, ma soprattutto idee, innovazione e dibattito. Come se ciò non bastasse, si sono aggiunti gli effetti della decimazione dei propri rappresentati in Parlamento a seguito della riforma costituzionale del 2021, che ha contribuito a marginalizzare politicamente l’Italia vuota a favore dei grandi centri urbani. Non è, dunque, una sorpresa che i cittadini vivano come ostaggi all’interno di sistemi di potere pietrificati e sordi.
In tale contesto, Filippo Tantillo fa notare come una speranza concreta di cambiamento sia rappresentata dall’attivismo spontaneo dei cittadini. In questi casi l’azione sul territorio assume le caratteristiche di un vero e proprio impegno politico, ma per far si che l’azione sia efficace la società civile deve essere in grado di riconoscere le proprie istanze e organizzarle correttamente, per poi portare l’amministrazione pubblica ad un confronto serio e fattivo. Relativamente a questo aspetto l’autore, richiamando l’esperienza degli Stati Uniti, discute anche della figura del community maker: «Un professionista che organizza le istanze della cittadinanza e seleziona i leader capaci di rappresentarla» (p. 39), ma che da soggetto organizzatore dell’azione collettiva non deve trasformarsi in leader divenendo, a sua volta, l’epicentro di un nuovo sistema di potere cristallizzato che inficerebbe l’azione di impegno civico. Attualmente, dunque, l’Italia vuota esprime la propria voce attraverso il lavoro di associazioni e gruppi di lavoro nati spontaneamente intorno alle esigenze concrete della cittadinanza anziché attraverso le istituzioni. Il libro, non a caso, pone l’accento sull’incapacità dei cittadini delle aree interne ad esprimere puntualmente i propri bisogni e istanze, lo testimonia l’autore: «I servizi non ci sono per tanti motivi, ma è vero anche che nessuno li sa richiedere in forma organizzata. Sembra un paradosso, ma è proprio lì dove sono più lontani, che la domanda di servizi è più debole» (p. 100). Il rilancio dell’Italia vuota passa attraverso una battaglia culturale, vale a dire attraverso l’educazione dei cittadini a rivendicare i propri diritti in forma associata e ad interloquire correttamente con i soggetti istituzionali.
Il testo di Tantillo indaga anche altri luoghi comuni legati allo sviluppo delle aree interne come quello del turismo, erroneamente inteso quale fonte di crescita economica a basso investimento, e della tutela del patrimonio naturalistico per mere finalità di sfruttamento economico. Nei territori dell’Italia vuota il turismo viene visto come volano di crescita economica cruciale ma, singolarmente inteso, non è considerabile quale fattore di sviluppo trainante. L’autore nota quanto i progetti di sviluppo basati esclusivamente sul turismo siano fallimentari, per la semplice ragione che l’impatto di quest’ultimo sull’economia di un territorio dipende dalla crescita dei settori ad esso connessi: «Sono i legami di filiera che determinano il valore turistico di un territorio, che vanno dalle scuole alberghiere alle lavanderie» (p. 103). In poche parole, più sarà alta la densità di tali legami su un dato territorio e maggiore sarà il suo valore turistico e la conseguente capacità di generare ricchezza. Partendo da questi spunti è possibile misurare la riuscita delle politiche di sviluppo in ambito turistico, non a caso sono molti i comuni dell’Italia vuota ad essere oggetto di finanziamenti milionari incapaci, però, di sortire alcun effetto, per l’assenza dei servizi essenziali alla sussistenza dei circuiti economici locali di supporto. Emblematico, in tal senso, è quanto accaduto in alcune zone del Molise, dove la volontà di vedere nel turismo la promessa di una crescita perpetua, si è tradotta in semplici finanziamenti per la ristrutturazione di edifici storici, il tutto in un contesto privo delle strutture ricettive essenziali; quanto accaduto nella “ventesima Regione” ci insegna che la semplice messa a valore commerciale delle bellezze del territorio non può rientrare nella nozione di turismo e rappresentare una leva di crescita economica. La creazione di sistemi economici locali idonei a sostenere il turismo, la stesura di programmi di finanziamento basati sullo studio della domanda turistica, la capacità di aprirsi all’esterno senza perdere le proprie caratteristiche, sono alcune delle complesse sfide che il futuro pone all’Italia vuota.
Come detto in precedenza, nelle aree interne non si è ancora compresa la finalità ultima della tutela del patrimonio paesaggistico e naturalistico, inteso come una semplice categoria economica o amministrativa. Tantillo, partendo da questo spunto, mette il lettore davanti alla problematica situazione dei Parchi nazionali, osteggiati dalla popolazione locale che li percepisce o come un vincolo all’allevamento e all’agricoltura o come risorsa economica da sfruttare per finalità turistiche. L’autore prende in prestito le parole del geologo Mario Tozzi per sviluppare una riflessione su questo aspetto: «I parchi possono tornare a svolgere in via prioritaria l’attività per cui sono stati creati: conservare e tutelare natura e ambiente. Se poi favoriscono lo sviluppo economico tanto meglio, ma se ciò non accade vanno finanziati lo stesso» (p. 63). La tutela del patrimonio naturalistico, perciò, deve puntare alla rinaturalizzazione dei territori, soprattutto per contrastare gli esiti del cambiamento climatico; infatti, non bisogna dimenticare che: «L’economia è un sottoinsieme della biosfera e quando l’espansione economica attacca l’ecosistema, si attacca un capitale naturale che ha un valore superiore al capitale generato» (p. 63).
L’Italia vuota, afferma Tantillo, è anche terra di continue trasformazioni; in questi luoghi, infatti, l’industrializzazione ha rappresentato una promessa di ricchezza e benessere di cui oggi, però, registriamo il grande fallimento. Lo svuotamento delle aree interne ha portato, da un lato al loro impoverimento umano, culturale ed economico e dall’altro ha generato effetti negativi anche sulle aree urbane di arrivo. Non a caso l’opera di ascolto attivo condotta da Tantillo descrive una tendenza di notevole importanza: l’arrivo di nuovi cittadini nell’Italia vuota, ora trasformata nella destinazione di coloro che non godono della ricchezza e del benessere promossi dal libero mercato. Immigrati in cerca di un nuovo inizio e giovani in fuga dalle grandi città sono le principali categorie umane che iniziano a ripopolare le aree interne con la volontà di sperimentare nuovi modi di fare società e generare ricchezza. Emblematica, in particolare, è la condizione dei giovani – i figli di una cultura disillusa – espulsi dalle città a causa dell’aumento dei prezzi, dei salari bassi e della diminuzione del loro potere d’acquisto, spesso cercano nell’Italia vuota una nuova casa in cui immaginare un modo diverso di vivere. Tantillo desume da questa situazione una potente forza trasformatrice generata dalla reazione al senso di invisibilità che i giovani provano nei confronti della politica e delle istituzioni, una forza che, se correttamente canalizzata, potrebbe rappresentare un’occasione di rinascita delle aree interne.
L’autore conduce il lettore alla scoperta di questa realtà, tratteggiando i contorni di un’Italia sconosciuta, ai margini dell’azione delle istituzioni. L’Italia delle aree interne è un’Italia incapace di competere con le grandi aree urbane nell’arena del libero mercato, inascoltata nelle sue istanze e allo stesso tempo incapace di individuarle ed esprimerle collettivamente. L’Italia delle aree interne è un luogo di conflitto, di cittadini disillusi e in alcuni casi privi di prospettive future, ma è anche un luogo di potentati che sono contemporaneamente causa ed effetto delle difficoltà che questa vive. Tantillo con il suo lavoro mette in luce la necessità di decentralizzare parte dei processi decisionali e riportare sul territorio interessato la definizione delle scelte di sviluppo, troppo spesso elaborate su sterili scrivanie ministeriali da persone inconsapevoli delle esigenze da soddisfare. Il viaggio dell’autore nell’Italia vuota offre inoltre una fotografia dello spaccato sociale ed economico di luoghi che oggi sono veri laboratori di sperimentazione di nuovi percorsi e tendenze che presto interesseranno il Paese nel suo complesso, per questa ragione Tantillo definisce l’itinerario riassunto nelle pagine del suo libro come un viaggio nel «futuro anteriore del nostro Paese».
Filippo Tantillo ha abilmente rappresentato la voce di quella parte d’Italia che – pur ospitando milioni di abitanti, millenni di storia e scrigni di natura selvaggia intonsi – resta silenziosa. Avvalendosi dell’esperienza umana dei suoi compagni di viaggio, descrive minuziosamente le contraddizioni della nostra Italia vuota, che per risollevarsi ha bisogno di una politica in grado di governare il conflitto, di far nuovamente sognare le comunità, costruire fiducia e pensare diversamente le relazioni socioeconomiche. A quanto pare, l’Italia vuota è tale solo agli occhi di chi non vuole assumersi la responsabilità di vederla, riconoscerla e ascoltarla.
[1] Geronio, antica città frentana e romana attualmente ricompresa nel territorio di Casacalenda, fu scelta da Annibale come accampamento per le proprie truppe in vista di quella che sarebbe stata la battaglia di Canne (216 a.C.).
[2] Economista e politico italiano, Presidente del Comitato per le politiche territoriali dell’OCSE, dal 1999 al 2006, e Ministro per la coesione territoriale, dal 2011 al 2013.