Scritto da Giacomo Bottos, Eleonora Desiata, Francesco Rustichelli
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Di fronte alla guerra in Ucraina, l’Unione Europea si trova a fare i conti con le criticità di un quadro internazionale in profonda trasformazione, che le richiede di raccogliere, come attore politico coeso, alcune grandi sfide. In questa intervista, Nicoletta Pirozzi – responsabile del programma “UE, politica e istituzioni” e delle relazioni istituzionali dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) – si sofferma su alcuni aspetti di particolare rilevanza, che vanno dalla costruzione dell’autonomia strategica agli scenari futuri dell’integrazione europea, dalla leva degli interventi economici al ripensamento dell’assetto istituzionale dell’Unione, dalle sfide umanitarie al ruolo dell’UE nello spazio globale.
Che cosa può significare per l’Europa lo scoppio e il protrarsi della guerra in Ucraina, sul piano storico e di significato politico? Quali riflessioni suscita rispetto all’azione internazionale dell’UE?
Nicoletta Pirozzi: La guerra in Ucraina rappresenta la più grande sfida geopolitica per l’Unione Europea. Mosca ha attaccato Kiev con esplicite finalità imperialistiche, al fine di ripristinare quella che considera la sua legittima “sfera di influenza” nel vicinato europeo, minacciando così implicitamente altri Paesi europei, compresi gli Stati membri dell’UE. L’aggressione presenta anche un elemento sistemico, dato che la Russia di Putin sta promuovendo un modello di Stato autocratico nel vicinato europeo, che è in contrasto con il modello democratico a cui aspirano Paesi come l’Ucraina e la Georgia e con il sistema di valori e norme su cui l’Unione Europea si è fondata e che ha cercato di proiettare all’esterno. L’aggressione russa all’Ucraina ha spinto l’UE a esercitare un ruolo proattivo a livello regionale e globale, mettendo così alla prova la sua capacità di attuare l’autonomia strategica che sostiene da tempo. In effetti, nella sua reazione immediata alla minaccia russa, l’UE ha mostrato un livello di unità e di determinazione che molti, tra i quali lo stesso Putin a mio avviso, non si aspettavano. L’Unione ha mobilitato tutti gli strumenti a sua disposizione, dalla diplomazia alle sanzioni, dall’assistenza militare al sostegno umanitario. Tre iniziative in particolare meritano di essere menzionate, perché senza precedenti: le misure estremamente restrittive imposte alle istituzioni finanziarie e ai media russi, in seguito estese all’importazione di petrolio; l’attivazione dello Strumento europeo per la pace a sostegno delle forze armate ucraine con un budget di 2 miliardi di euro; l’adozione di un regime di protezione temporanea per le persone che fuggono dall’Ucraina a causa della guerra.
La crisi ucraina pone all’UE una serie di questioni, anche ben più risalenti rispetto agli eventi degli ultimi mesi. Una prima questione riguarda la costruzione di una compiuta difesa europea e autonomia strategica. Quali considerazioni si possono avanzare a questo proposito?
Nicoletta Pirozzi: La guerra in Ucraina ha anche confermato alcuni limiti dell’UE come attore geopolitico, dalla sua dipendenza energetica a una dimensione di difesa appena esistente – per citare solo i punti deboli più evidenti. Per essere un attore rilevante nel nuovo (dis)ordine internazionale creato da Putin saranno necessarie riforme più strutturali e a lungo termine in diversi settori. Per quanto riguarda la difesa, la Bussola strategica adottata a marzo è nata già superata, e l’attacco del 24 febbraio ha portato gli Stati membri dell’UE a rivedere solo la sua narrazione, non le sue disposizioni sostanziali. Pertanto, non può essere lo strumento per realizzare ciò che è più necessario nel contesto attuale: la capacità dell’UE di proiettare una forza militare credibile al di fuori dei suoi confini e di rafforzare la deterrenza al fine di offrire adeguate garanzie di sicurezza ai suoi cittadini e ai suoi vicini, ma anche di avere un maggiore peso collettivo nella NATO. Dovrebbero essere individuate iniziative concrete per utilizzare in modo congiunto o, almeno, coordinato le risorse di bilancio aggiuntive che gli Stati membri stanno attualmente stanziando; allo stesso tempo, dovrebbero essere introdotte regole decisionali che consentano il dispiegamento delle forze europee in modo rapido ed efficace, come il voto a maggioranza qualificata.
Un secondo elemento riguarda poi il piano economico. Il tema delle sanzioni e degli interventi di carattere finanziario ha riportato al centro del dibattito l’uso e gli effetti della leva economica come forma di risposta alle violazioni del diritto internazionale. Gli strumenti messi in campo si stanno rivelando efficaci?
Nicoletta Pirozzi: L’efficacia delle sanzioni è un tema molto dibattuto e non da oggi. Le sanzioni rimangono uno degli strumenti principali dell’Unione, che in questo frangente è riuscita a trovare sufficiente coesione tra i suoi Stati membri per approvare misure che sono andate ben oltre le aspettative degli osservatori, e che stanno avendo sulla Federazione Russa un impatto durissimo. La stessa Banca centrale di Mosca prevede che, in conseguenza delle sanzioni europee e americane, il prodotto interno lordo del Paese dovrebbe subire un tracollo vicino al 10%, il più grave dai tempi di Boris El’cin. L’UE è arrivata a congelare le riserve della Banca centrale russa, ad impedire ai maggiori istituti di credito di effettuare o ricevere pagamenti con il sistema SWIFT, a imporre un blocco alle importazioni di petrolio russo – con alcune eccezioni –, che ai prezzi attuali vale il 60% del budget federale del 2022. Non ho dubbi che l’isolamento e le conseguenze economiche che ne derivano imporranno una pesante ipoteca sulla capacità di azione russa in questa guerra e in possibili crisi future.
Un terzo elemento riguarda il profilo politico dell’UE, in particolare nella contrapposizione fra uno scenario di maggiore e più solida integrazione e uno dominato da interessi nazionali spesso divergenti. In quale quadro ci troviamo, anche in termini di leadership europea?
Nicoletta Pirozzi: La guerra in Ucraina sta mostrando ancora una volta i limiti del funzionamento della politica estera, di sicurezza e di difesa dell’Unione. Da ultimo, le difficoltà incontrate nell’approvazione del sesto pacchetto di sanzioni – e in particolare quelle relative all’importazione del petrolio russo – testimoniano le disfunzioni di un settore che mantiene una forte impronta intergovernativa, dominato dalla logica del consenso e dunque dagli esecutivi nazionali e dalle loro priorità. In passato, queste disfunzioni avevano causato la paralisi dell’Unione di fronte a crisi e conflitti come quelli avvenuti in Libia, nel Sahel, in Medio Oriente. Oggi sembra chiaro che, se l’Unione vuole sopravvivere in un contesto caratterizzato da un significativo dinamismo geopolitico, sia dei suoi rivali strategici che dei suoi partner, deve mettere in campo una serie di riforme che possano dotarla di un sistema di governance efficace della sua politica estera e di sicurezza. Le istituzioni UE, in particolare la Commissione europea e il Parlamento europeo, stanno esercitando una forte azione propulsiva nella direzione delle riforme. Anche i cittadini si sono espressi a favore di un’Unione con maggiori competenze e capacità d’azione nelle loro deliberazioni nell’ambito della Conferenza sul futuro dell’Europa. Ma serve anche un impegno politico da parte degli Stati membri, e in particolare di quei Paesi in grado di trainare il processo di integrazione, come Francia, Germania e Italia. Qui la situazione si rivela più incerta, a causa della fragilità politica del premier francese Emmanuel Macron dopo le ultime elezioni parlamentari, che lo hanno privato della maggioranza assoluta, delle incertezze del cancelliere tedesco Olaf Scholz, alla ricerca di un difficile equilibrio all’interno del suo partito e della sua maggioranza, e della permanenza alla guida del governo italiano del Presidente del Consiglio Mario Draghi fino alla scadenza prevista per il 2023.
Gli episodi recenti hanno posto nuovamente all’attenzione pubblica il nodo delle prospettive e delle dinamiche di allargamento dell’UE. A fronte anche delle candidature emerse negli scorsi mesi, e della necessità per i Paesi candidati di intervenire al proprio interno attraverso riforme strutturali, quali approcci all’allargamento e quali modelli di integrazione pensare? Forme di integrazione differenziata possono essere auspicabili?
Nicoletta Pirozzi: In questa fase, è importante offrire una prospettiva europea all’Ucraina, perché è il modo migliore per sostenere la lotta per la democrazia di Kiev in linea con i nostri valori e interessi. Tuttavia, il processo di adesione potrebbe trasformarsi in una trappola per tutti: l’Ucraina rischia di essere alienata in conseguenza di un processo lungo e burocratico, mentre l’UE rischia di affrontare un’insopportabile fatica da allargamento e, allo stesso tempo, di creare incongruenze con altri partner, come i Balcani occidentali. In parallelo al percorso di adesione, occorre rafforzare da subito la cooperazione politica, economica e di sicurezza con l’Ucraina, utilizzando gli strumenti già a disposizione dell’UE, ad esempio attraverso il potenziamento dell’attuale accordo di associazione tra Bruxelles e Kiev. Più in generale, la politica di allargamento va ripensata ipotizzando forme differenziate di integrazione, che tengano conto delle diverse capacità e ambizioni dei Paesi partner e dei meccanismi di funzionamento e decisione dell’Unione.
Accanto al tema dell’integrazione europea, vi è quello della politica di vicinato UE. Quali lezioni trarre a questo proposito dagli anni che abbiamo alle spalle e dall’attuale conflitto? Quali prospettive future, nel mutato scenario internazionale?
Nicoletta Pirozzi: Nel vicinato orientale, i guadagni economici legati all’accesso al mercato comune e ai pacchetti di investimento dell’UE non hanno compensato i limitati progressi compiuti in altri settori come la sicurezza e la suddivisione delle responsabilità legate all’accoglienza delle persone migranti. Prima dell’ultima aggressione all’Ucraina, la Russia ha lavorato per ripristinare la propria presa nell’area, muovendo guerre predatorie come avvenuto in Georgia nel 2008 e in Ucraina già nel 2014, e sostenendo le rivendicazioni separatiste in territori come la Transnistria, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, Donetsk e Lugansk. Con l’ultimo scontro militare in Ucraina, questa dinamica è andata oltre, rappresentando non solo una minaccia esistenziale per Kiev, ma anche una sfida per l’architettura di sicurezza europea e un attacco diretto ai suoi principi fondamentali. Per voltare pagina, l’UE deve innanzitutto abbandonare l’approccio tecnocratico che ha caratterizzato la gestione della politica di vicinato. L’Unione Europea deve diventare un attore politico a pieno titolo, in grado di pensare e agire strategicamente a livello regionale e globale. Due priorità dovrebbero essere al centro della visione politica e dell’azione dell’UE nella regione: la democrazia – che comprende anche la lotta alla corruzione e il sostegno alla società civile – e la sicurezza.
Spingendoci ancora più lontano nello spazio globale, come si configurano e potranno configurarsi i rapporti fra UE, Africa e Medio Oriente, anche a fronte della grave crisi alimentare seguita all’invasione dell’Ucraina?
Nicoletta Pirozzi: Il vicinato meridionale, dal Mediterraneo al continente africano al Medio Oriente, deve continuare ad essere al centro dell’azione politica dell’Unione Europea. Negli ultimi anni, la credibilità dell’UE come promotore di sicurezza e di sviluppo ha subito un arretramento marcato. Da una parte, questo è dovuto ai limiti ancora evidenti dell’Europa nell’articolare una politica estera comune che sia il frutto della convergenza strategica tra gli Stati membri e dalla mancanza di coerenza tra i diversi ambiti della sua azione internazionale, dall’energia alla promozione dei diritti umani, dal commercio alla cooperazione allo sviluppo. Al tempo stesso, si tratta del risultato di una presenza sempre più massiccia e aggressiva di attori regionali e internazionali come Russia, Cina, Turchia e Paesi del Golfo. Stati che propongono modelli alternativi di cooperazione senza le briglie della condizionalità legata al rispetto dei principi democratici e dei diritti sociali, e che stanno trovando sponde sempre più concrete tra i governi del Sud del mondo. L’Unione deve riattivare un partenariato solido e per quanto possibile equilibrato con questi Paesi, facendo leva sugli strumenti economici, sociali, culturali e di innovazione tecnologica. Più in generale, serve un nuovo patto di solidarietà, sulla scia di iniziative come COVAX per l’accesso egualitario ai vaccini durante la pandemia da Covid-19. Oggi è importante mobilitare tutte le forze necessarie per fronteggiare la crisi alimentare e umanitaria seguita al blocco del grano in Ucraina, offrendo sostegno politico e militare ad un’operazione che riattivi le esportazioni via mare e mitighi gli effetti potenzialmente devastanti in particolare in Africa e in Medio Oriente.
Più in generale, quale ruolo sta esercitando l’Unione Europea nel quadro del conflitto in corso e su quali banchi di prova si misurerà la sua capacità di agire come attore unitario? Quale tipo di collocazione e di peso potrà configurarsi per l’UE nello spazio internazionale?
Nicoletta Pirozzi: Per costruire il suo potere geopolitico, l’Unione dovrà trovare una convergenza strategica tra i suoi Stati membri in settori cruciali come la governance economica, la migrazione, la difesa, l’energia collegata alla transizione ecologica. Tuttavia, la natura delle sfide e i limiti che l’UE deve ancora affrontare suggeriscono che questo sforzo deve andare di pari passo con il rafforzamento di un sistema internazionale basato su norme e istituzioni condivise. Solo questo contesto, infatti, consente all’Unione Europea di esercitare appieno i suoi punti di forza – le sue capacità normative e di regolamentazione – minimizzando al contempo le sue debolezze, che inevitabilmente emergono in un ambiente conflittuale basato esclusivamente sulla politica di potenza. Pertanto, l’agenda di riforme dell’UE non può escludere una dimensione globale. Dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite alle istituzioni finanziarie internazionali, l’Unione Europea dovrebbe trovare urgentemente una posizione comune e sostenere l’appoggio dei Paesi partner su una proposta di riforma. Il momento potrebbe essere propizio per coinvolgere gli Stati Uniti in questo sforzo, poiché gli europei potrebbero ora facilmente chiedere il sostegno di Washington nel contesto di un rinnovato partenariato transatlantico. I dettagli dovrebbero essere mirati a ciascuna istituzione specifica, ma la logica alla base dovrebbe essere il superamento della struttura post-Yalta, basata sul confronto bipolare e sulla preminenza delle grandi potenze con il privilegio del veto. Ciò significa rendere queste istituzioni più trasparenti, più rappresentative e più democratiche, dando voce a quei Paesi che finora sono rimasti esclusi o emarginati.
Quali strade e prospettive vede per la riforma dell’assetto istituzionale e della governance UE? Quali principi cardine a guidarla?
Nicoletta Pirozzi: La scelta dell’integrazione differenziata nel settore della politica estera, di sicurezza e di difesa sembra essere la strada più concreta per rilanciare il progetto europeo sottraendolo alle spinte centrifughe che lo minacciano, e può diventare una modalità stabile di avanzamento dell’integrazione per il futuro. Tuttavia, serve un’agenda pragmatica di sviluppo, e non devono essere sottovalutati i rischi connessi ad un’eccessiva frammentazione e alla mancanza di legittimità dell’azione europea. Questa agenda può essere realizzata attraverso meccanismi informali di cooperazione tra gli Stati membri, oppure con l’applicazione di procedure decisionali più snelle, come il voto a maggioranza qualificata. In parallelo, occorre razionalizzare e rafforzare l’architettura istituzionale che sostiene la politica estera dell’Unione Europea, cominciando da quella della difesa. La maggior parte di questi sviluppi potrebbe essere realizzata all’interno del quadro giuridico esistente, ma alcuni interventi potrebbero richiedere una revisione dei Trattati per incorporare i cambiamenti rilevanti nella legislazione dell’UE. Sulla scorta delle preferenze espresse dai cittadini europei nel contesto della Conferenza sul futuro dell’Europa e della posizione assunta dal Parlamento europeo, gli esecutivi nazionali dovrebbero valutare seriamente l’opzione di avviare una Convenzione finalizzata alla modifica dei Trattati prima delle prossime elezioni europee del 2024.