Recensione a: Gabriele Balbi, L’ultima ideologia. Breve storia della rivoluzione digitale, Laterza, Roma-Bari 2022, pp. 168, 14 euro (scheda libro)
Scritto da Tancredi Bendicenti
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«La visione ideologica della Rivoluzione Digitale è infatti talmente introiettata a livello individuale e collettivo da diventare uno schema di pensiero universale. Crediamo (e credevamo) davvero che la Rivoluzione Digitale ci salverà, che sia la strada migliore per arricchirci, per stare meglio, per vivere in società migliori, per comunicare in maniera più efficiente. Che lo sia o meno (…) conta relativamente».
Un mondo nuovo sorge e risorge di continuo, plasmato e trasformato tanto dall’innovazione tecnologica quanto dall’orizzonte dei desideri e delle speranze, della fede, degli uomini: è il mondo della Rivoluzione Digitale, una terra promessa, già passato e presente, soprattutto futuro. Gabriele Balbi, nel suo saggio L’ultima ideologia. Breve storia della Rivoluzione Digitale racconta di come questo futuro sia stato immaginato, costruito e propagandato, attraverso i suoi molti protagonisti, miti più che persone: patriarchi, profeti, eroi, eretici, città sante, profezie. Secondo l’autore, questa differisce dai fenomeni analoghi che l’hanno preceduta per la singolare coesistenza di almeno cinque caratteristiche fondamentali: quella della consapevolezza (noi stessi, i contemporanei, la definiamo come rivoluzione, e definiamo il nostro tempo storico come rivoluzionario); quella della totalità (si presume che ogni campo dello scibile umano ne sia o possa essere profondamente alterato); quella della permanenza, o comunque continuità, rifacentesi al significato originario di rivoluzione, ossia di moto necessario e ripetuto, incessante, degli astri; quella dell’irresistibilità, intesa sia come esercitazione di un fascino incontrovertibile, sia come incapacità da parte del singolo di opporvisi; e quella della sua coniugazione indistruttibile con il concetto di futuro. La tesi di Balbi è che la Rivoluzione Digitale, considerati questi suoi cinque elementi fondanti, sia definibile come “ideologia”. L’ultima, per essere esatti, in tre significati: ultima perché più recente; ultima perché basilare; ultima perché, forse, non ve ne saranno altre.
Nel linguaggio comune è inusuale vedere associato ad ambiti diversi da quello politico il termine “ideologia”, e Balbi ha il merito di superare questa limitazione. Se è vero che il “mainstream” tende a descrivere il nostro presente come un’era “post-ideologica” è anche vero che, come sottolinea l’autore, l’oggi è caratterizzato da una sua forma diversa, molto più persuasiva, perché molto più invasiva. I “device” che possediamo, infatti, sono interfacce ormai irrinunciabili per una piena interazione con lo spazio fisico e immaginato che ci circonda. Sembra che la materia sia trapassata nel pensiero, gli atomi nei bit, che siamo ormai gioiosamente approdati nel “Meta” (il nuovo nome del conglomerato di Zuckerberg, che in greco antico significa “dopo”, “oltre”). Ci si chiede se non si sia realizzato nella realtà percepibile l’iperuranio di Platone, se le cose che vediamo, odoriamo, gustiamo, ascoltiamo, non siano diventate che pallide ombre sulle pareti di una caverna, simulacri delle perfette e universali versioni di esse che vediamo luminose e colorate sul web. La stessa immagine di ognuno di noi è ormai spesso “corretta” da filtri e Photoshop, il “voler essere” sembra aver raggiunto un primato sull’essere. Eppure, Balbi ci ricorda che quella transizione da atomi a bit, che tanto era stata profetizzata da Nicholas Negroponte, non sembra essere né vicina né in programma. Perché, anche se lo dimentichiamo spesso, per produrre queste portentose interfacce nell’immateriale, la materia serve, eccome. Metalli, spesso estremamente rari, molta manodopera, tantissima energia. E così la prospettiva “verde” della Rivoluzione Digitale sembra scomparire. Basti pensare alla produzione delle criptovalute, spesso decantate come strumenti equalizzatori, evoluzione inarrestabile delle valute tradizionali, che in un anno hanno consumato, solo per quanto riguarda i Bitcoin, una quantità di elettricità maggiore del fabbisogno energetico dell’intera Finlandia.
L’ultima ideologia descritta dall’autore, perciò, si inquadra perfettamente nella definizione marxiana del termine: un travestimento ideale che maschera interessi economici, sovrastruttura che recita da struttura. E non a caso, d’altronde, Balbi cita il concetto gramsciano di egemonia, di potere culturale esercitato da un gruppo su un altro. Potere esercitato attraverso l’elevazione di previsione induttive a leggi assolute del mondo, in una sorta di peculiare trasposizione scientifica di fenomeni che scientifici non sono, nel tentativo di imporre al mondo economico-tecnologico uno sviluppo deterministico: la legge di Moore, secondo la quale la potenza di calcolo delle nostre macchine cresce e crescerà esponenzialmente (assioma che sembra divenire sempre più contestabile dato il rallentamento osservato negli ultimi anni); la legge di Metcalfe, che sostiene che l’utilità e il valore di una rete sono proporzionali al quadrato del numero dei suoi utenti, la legge di Makimoto, secondo cui l’evoluzione tecnologica seguirebbe coppie di cicli decennali, uno dei quali sempre di sviluppo e standardizzazione, l’altro di mercificazione.
A queste tre leggi si affiancano poi anche quattro comandamenti, d’altronde se veramente parliamo di ideologia “totale”, non si può certo solo afferire al campo semantico e antropologico della ragione formale, trascurando invece il paradigma fideistico: I) la Rivoluzione Digitale c’era, c’è, ci sarà; II) la Rivoluzione Digitale è multiconfessionale e tollerante; III) la Rivoluzione Digitale è una religione facile da professare; IV) la Rivoluzione Digitale si rigenera nella continuità. Commettendone il contenuto si toglierebbe valore e ironia a queste nuove tavole della legge, lasciamo quindi al lettore la possibilità di approfondirlo.
Balbi cita anche le posizioni di Luciano Floridi: alla prima rivoluzione della “percezione del sé” (quella copernicana), alla seconda (quella darwiniana), e alla terza (quella freudiana), se ne dovrebbe aggiungere una quarta, quella di Alan Turing, il presente: l’intelligenza non è più una prerogativa umana; tra uomo e macchina (quella che Remo Bodei avrebbe definito “logos disincarnato”); vi può essere confusione. L’ἄνθρωπος è costretto a trasporsi in una nuova dimensione, fatta di informazioni e non di molecole.
Eppure, vi sono delle questioni controverse tra quelle proposte da Balbi, che necessitano di un’analisi e di una critica ulteriore. La prima risiede già nel titolo del saggio: nessuna ideologia può mai essere “l’ultima”, perché il concetto stesso di ideologia non è un fenomeno contestuale legato a precisi momenti storici, ma una categoria del pensiero che descrive uno dei modelli ermeneutici possibili attraverso i quali gli uomini interpretano il mondo. E se è vero che potremmo descrivere sia le filosofie che le ideologie come sistemi di idee, è anche vero che la caratteristica della dogmaticità, assente nelle prime e determinante nelle seconde, rende l’opposizione tra di esse insormontabile: la filosofia è pura indagine razionale, e scaturisce dal dubbio, da una domanda, a cui si tenta di dare una risposta, essa si pone come verità, si propone come tale; l’ideologia al contrario pretende (fortunata l’assonanza con il verbo inglese pretend, che significa simulare) di aver esaurito ogni possibile dubbio, di essere la verità. E ciò non vuole significare che la filosofia non possa mai raggiungere la verità assoluta, in nessun ambito, ma solo che rispetto ad alcuni problemi non possa determinare una soluzione univoca, cioè che di fronte a un insieme di quesiti (a cui appartengono, per esempio, le antinomie kantiane) si possano solo formulare ipotesi, non sentenze incontrovertibili. L’ideologia al contrario risponde unilateralmente, e dichiara che il caso è chiuso, per sempre. La cifra della filosofia è la dialettica, il logos, il libero scambio di pensieri; quella dell’ideologia è la violenza, l’incontestabilità, la certezza arraffata. Ma proprio perché il loro oggetto è il medesimo, e la differenza tra di esse sta nel metodo, in un metodo che è sostanza, il confine tra le due è tragicamente facile da oltrepassare, e nessun sistema di idee è mai solo filosofia o solo ideologia, ma è spesso, talvolta al contempo, entrambe. Certo però questa distinzione, che è logica, e non contingente, legata al modo stesso in cui gli uomini pensano, non può esaurirsi per il semplice decorso del tempo, a meno che non si postuli che, in un preciso momento del futuro, tutti gli uomini diverranno perfettamente e costantemente intellettualmente onesti, cosa se non impossibile, certo molto improbabile. Insomma, affermare che la Rivoluzione Digitale sia l’ultima ideologia è, ironicamente, un assioma ideologico.
Manca poi lungo la trattazione dell’autore, una riflessione su una delle radici storiche della Rivoluzione Digitale, ossia sul rapporto che la stringe ad un paradigma più antico: quello tipicamente occidentale di “progresso”. I due sistemi sono accomunati dalle stesse componenti fondamentali, tra cui la consapevolezza, la totalità e la permanenza, oltre alla forte tendenza ad un fideismo laico nel “futuro”, differendo però per la profondità del cambiamento sognato, considerato che la Rivoluzione Digitale non si propone solo di piegare la natura all’intelletto umano, di modificarla per la propria utilità, ma di creare una natura nuova, una natura innaturale, discreta e non più continua, fatta di bit, e non più di atomi. Eppure, ciò non toglie che le molte argomentazioni, e i molti fatti citati per suffragarle, proposte da Balbi a sostegno della sua tesi, siano documentate e convincenti, oltre che rigorose. Si potrebbero muovere, però, due altre critiche, entrambe di ordine sistematico. La prima riguarda la frequente carenza di apprezzamenti oggettivi rispetto agli indubbi effetti positivi che la Rivoluzione Digitale ha esercitato sul mondo contemporaneo. Potremmo dire che nel contestarne legittimamente gli aspetti ideologici l’autore ne ha talvolta trascurato i grandi pregi fattuali, oltre che filosofici (prime tra tutte l’accessibilità delle informazioni e la velocità delle comunicazioni senza precedenti che lo sviluppo tecnologico ha garantito). È come se a difesa della Rivoluzione Digitale Balbi avesse lasciato solo le parole dei suoi guru e profeti, sottraendosi dal delineare un punto di vista il più possibile accurato su quanto queste parole poi coincidessero virtuosamente con la realtà, limitandosi a sottolinearne gli aspetti falsi o contradditori. Nonostante l’autore affermi, già nell’introduzione, una propria neutralità, almeno in questo testo, rispetto al giudizio di merito sugli effetti dell’innovazione tecnologica, sembra di intravedere una leggera tendenza ad una rappresentazione negativa di essa. La seconda critica riguarda invece il poco spazio che è stato riservato alla spiegazione delle ragioni e degli interessi che hanno portato allo sviluppo storico di questa “ultima ideologia”, una questione fondamentale che viene invece esaurita forse un po’ frettolosamente nelle ultime pagine del testo. Si è mancato, cioè, di sottolineare con la dovuta precisione il rapporto intercorrente tra la Rivoluzione Digitale e la corrispondente evoluzione del modo in cui funzionano i mercati e vengono allocate le risorse, oltre che della struttura stessa del capitalismo e del lavoro contemporanei. Per non parlare degli effetti sui consumatori e sulla loro privacy. Detto ciò, tutto considerato, L’ultima ideologia è un saggio interessante, ben scritto e avvincente, ottimo per chi si avvicina a questi temi per la prima volta.