Recensione a: Stefano Pontecorvo, L’ultimo aereo da Kabul. Cronaca di una missione impossibile, Piemme, Milano 2022, pp. 320, 18,50 euro (scheda libro)
Scritto da Silvia Samorè
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L’ultimo aereo da Kabul viene pubblicato a circa un anno dai tragici avvenimenti dell’agosto 2021, quando l’avanzata talebana e il conseguente ritiro degli ultimi contingenti internazionali segnano la fine di vent’anni di presenza delle forze armate occidentali, sotto la guida americana e NATO, nel Paese. Difficile trovare un autore con maggiore esperienza sul campo in merito alle dinamiche politiche e militari che hanno riguardato l’Afghanistan, non solo nel periodo decisivo della caduta di Kabul. L’ambasciatore Stefano Pontecorvo[1] ha infatti ricoperto il ruolo di NATO Senior Civilian Representative per l’Afghanistan nell’ultimo anno e mezzo di presenza del contingente, dopo essere stato ambasciatore italiano in Pakistan e aver ricoperto nel corso della sua lunga carriera numerosi incarichi nelle rappresentanze permanenti di NATO e UE. Ma vi sono anche ragioni di natura personale che lo rendono particolarmente vicino alla sorte di questo Paese e della popolazione afghana: come racconta lui stesso, trascorse infatti alcuni anni della sua infanzia a Kabul quando il padre, anch’egli diplomatico, vi fu trasferito.
Il legame particolare di Pontecorvo con quest’area del mondo emerge sin dalla premessa, dalla quale traspare la volontà di raccontare l’ultimo anno e mezzo di presenza NATO nel Paese cercando di rintracciare le cause profonde che hanno portato al precipitare degli eventi, senza tacere i numerosi errori e le decisioni cruciali che avrebbero forse potuto far prendere alla storia una direzione completamente diversa. L’intenzione dell’autore è dunque quella di far luce sulla complessità e mantenere vivo il dibattito, affinché, come scrive Andrea Margelletti (Presidente del Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali) nella sua prefazione, «sia un monito a non lasciare che la polvere si depositi sull’Afghanistan» (p. 9) senza avere insegnato le sue lezioni e in qualche modo per rendere giustizia a un popolo che più volte viene definito “illuso e abbandonato”. Basterebbe infatti limitarsi a leggere il primo capitolo per avere già un’idea di quali saranno le conseguenze per la comunità internazionale e di quali siano state secondo l’ambasciatore le principali ragioni che hanno portato alla caduta di Kabul. Un contesto caratterizzato da corruzione endemica, la sottovalutazione di dinamiche tribali e religiose, la scelta di appoggiare alcune figure politiche invece di altre durante la Conferenza di Bonn[2], ma anche la decisione di ritirarsi dal Paese a qualunque costo, dando di fatto ai talebani la certezza che fosse sufficiente aspettare, a fronte di una sostanziale sottovalutazione della situazione negli ultimi mesi da parte del governo afghano: questi i principali fattori che emergono da un’analisi a livello macroscopico.
Ma questo libro non si limita a fornire risposte generali, anzi. Il sottotitolo, Cronaca di una missione impossibile, descrive perfettamente lo svolgimento delle circa trecento pagine, che delineano un percorso finalizzato a raccontare in dettaglio le vicende culminate con il ritiro della presenza internazionale, a partire da una solida infarinatura storica, utile a comprendere il contesto in cui l’Alleanza atlantica e molti Paesi occidentali, tra cui l’Italia, hanno operato per vent’anni. Molto spazio è dedicato alla descrizione approfondita dei maggiori attori coinvolti nel processo, a partire dai talebani e dall’élite politica che ha guidato il Paese in stretta collaborazione con le organizzazioni internazionali e con l’appoggio americano. Sebbene le lunghe digressioni sulle dinamiche politiche, sulle relazioni personali tra le figure di spicco e sullo svolgimento concreto dei processi decisionali in Afghanistan possano rallentare la lettura, la profonda conoscenza di tali trame che possiede l’autore costituisce forse uno dei maggiori elementi di unicità di questo libro. Ci si sofferma infatti a esaminare nel dettaglio lo svolgimento delle maggiori conferenze che hanno plasmato la Repubblica in Afghanistan, la Conferenza di Bonn, e che ne hanno decretato la fine, gli Accordi di Doha[3], dando rilievo al ruolo delle personalità coinvolte nei processi. Questo conferisce tridimensionalità alla Storia e restituisce un’idea più accurata della complessità delle cause dietro ciò che l’opinione pubblica e l’Occidente ha fino a ora etichettato come un “fallimento”, spesso senza approfondire maggiormente.
Sebbene la prospettiva da cui l’autore racconta non può che essere apertamente filo-atlantista, nell’analizzare le cause del fallimento vengono messi in luce i momenti chiave in cui le decisioni politiche, sia da parte degli Stati Uniti e degli alleati, sia da parte delle autorità afghane, si sono rivelate poco lungimiranti o del tutto sbagliate, a partire dalla scelta del presidente Joe Biden di confermare il ritiro delle truppe senza tenere conto del raggiungimento o meno degli obiettivi strategici della missione, o quella del presidente Ashraf Ghani di sostituire i maggiori vertici delle forze di sicurezza con persone di sua fiducia. Il quadro che ne emerge è un complesso incastro di vincoli politici, culturali e militari con cui entrambe le parti hanno dovuto fare i conti nel condurre i negoziati di pace e nel gestire la situazione di sicurezza progressivamente in deterioramento a partire dalla primavera del 2021, a fronte di alcune oggettive capacità dei talebani di destabilizzare la situazione. Comprendere la moltitudine delle cause aiuta a togliere credibilità alle interpretazioni estremamente semplicistiche degli avvenimenti. In particolare, si percepisce chiaramente come una delle narrazioni contro cui l’ambasciatore si scaglia, a ragione, è quella secondo la quale le forze armate afghane si sarebbero arrese senza combattere all’avanzata talebana per vigliaccheria, imputando alla loro resa la responsabilità della vittoria degli “studenti coranici”.
Infine, i capitoli conclusivi restituiscono una cronaca quasi giorno per giorno degli ultimi mesi di permanenza dell’ambasciatore, fino al decollo dell’ultimo aereo da Kabul, permettendo al lettore di immedesimarsi nello stato d’animo generale che si respirava in città e di comprendere le vicende umane dietro le immagini che hanno popolato per giorni i telegiornali nell’agosto 2021. Ancora una volta si evince il valore aggiunto dato dalla prospettiva peculiare e per molti aspetti privilegiata dell’autore, rispetto a un qualunque altro saggio che analizzi l’epilogo delle vicende afghane senza poter contare su una così profonda comprensione della realtà sul terreno. Ciò emerge, in particolare, nel racconto della complessa gestione dell’aeroporto nei giorni della presa di Kabul da parte dei talebani, e dell’evacuazione dei numerosi collaboratori afghani. Le parole dell’ambasciatore delineano un’immagine indelebile degli sforzi compiuti dai funzionari coinvolti, tra la loro dimensione umana e quella politica e professionale, senza i quali gli eventi avrebbero certamente preso una piega differente.
Una cronaca, quindi, quella degli ultimi mesi di presenza NATO a Kabul, che intreccia analisi diplomatica, politica e militare con una narrazione avvincente degli avvenimenti, degna di un romanzo di spionaggio, ma purtroppo del tutto reale. Nel congedarsi con il lettore con qualche nota di speranza, ciò che l’autore lascia come messaggio è in assoluto la necessità di continuare a tenere vivo il dibattito su una missione che ha fatto la storia e che influenzerà a lungo le decisioni di politica estera delle grandi potenze occidentali. Infine, non si può non menzionare l’attenzione verso la vera vittima di questo innegabile fallimento: la popolazione afghana. Un memento che continua a echeggiare lungo il racconto e che assume ancora più importanza data l’attuale drammaticità della crisi umanitaria che continua ad affliggere il Paese, aggravandosi di anno in anno.
[1] A questo link maggiori informazioni sul curriculum vitae dell’ambasciatore Stefano Pontecorvo.
[2] A questo link maggiori informazioni sui risultati della Conferenza di Bonn.
[3] A questo link maggiori informazioni sull’esito degli Accordi di Doha.