Recensione a: Andrea Riccardi, La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo, Laterza, Roma-Bari 2021, pp. 256, 20 euro (scheda libro)
Scritto da Antonio Ballarò
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Uscito ad aprile 2021, l’ultimo libro di Andrea Riccardi – storico contemporaneista, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, già Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione del governo Monti – pone e si interroga su una convinzione: quella che o se la Chiesa bruci, giovandosi in questo dell’efficace immagine dell’incendio della cattedrale di Notre Dame a Parigi dell’aprile 2019. Il testo comincia così, scrutando gli animi di chi, dal vivo oppure attraverso i media, guarda bruciare uno dei più famosi simboli di Francia. E in questo modo nota, oltre l’interessante dato che «il quadro laico e repubblicano non può prescindere dal religioso» (p. 4), come l’evento possa ben assurgersi a simbolo della scomparsa o del rischio di scomparsa «non di una chiesa, ma della Chiesa» (p. 6).
La preoccupazione è generale, o almeno accomuna molti. Secondo Riccardi, «oggi si è meno cristiani, ma forse anche meno anticristiani» (p. 7), com’è possibile dire grazie a una prospettiva storica, che è la prima a emergere nel libro, ma anche a una più personale, che in esso è discreta eppure palpabile, data la fede cattolica dell’autore e il suo diretto coinvolgimento in varie vicende ecclesiali e politiche degli ultimi anni. In questo senso, quello di Riccardi è un libro di parte: non nell’accezione negativa, associata a una forma faziosa, cui l’espressione è ormai consegnata, ma in una più positiva, che attiene all’impegno che ogni vita umana persegue.
Il libro consta di dieci capitoli, in linea generale di ambizioni diverse da uno schema che preveda pars destruens e pars costruens. E ciò per evitare approcci risolutivi, offrendo invece una ricostruzione di un momento che la Chiesa e la società condividono. Si intravedono comunque due parti: la prima, di carattere quasi panoramico, fino al capitolo quarto; la seconda, a partire dal capitolo sesto, incentrata di più sugli effetti visibili di una crisi cominciata già prima del Concilio Vaticano II (1962-1965). Un discorso a parte merita infine il capitolo quinto, interamente dedicato al pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005).
Riccardi anzitutto evidenzia e insieme relativizza l’attuale crisi cattolica. Infatti, è in una prospettiva che non può non essere uguale e contraria che si comprende la vita della Chiesa cattolica, la quale ha già vissuto momenti di crisi cui potersi rifare per gettare luce su quella di oggi, ma ha anche bisogno di una presa d’atto che oggi insistono fattori inediti, nonché di strumenti adeguati che le permettano di affrontarli. L’autore ritiene comprensibile che «per i credenti non sia facile accettare questa ipotesi, che potrebbe essere tacciata di pessimismo», ma considera «onesto intellettualmente e responsabile misurarsi anche con essa» (p. 11). Il libro dà spazio all’idea che «il lento spegnimento della Chiesa o il suo scivolamento nell’irrilevanza non sarà senza conseguenze, almeno per i paesi europei», anche se, d’altro canto, «non finisce tutto in un giorno» (p. 13). Si affacciano qui ipotesi note di una Chiesa come minoranza creativa [1], ma anche conclusioni storicamente o teologicamente più urgenti: è il caso delle possibilità aperte dalla libertà della storia, come credeva anche il cardinale Carlo Maria Martini, per il quale «la perennità è assicurata alla Chiesa, non alle Chiese» (p. 18).
Quello di Riccardi non è un discorso nostalgico, né solo soggettivo, ma comprensibilmente interpreta un senso di ammirazione per una tradizione, che è quella cristiana, cui l’Europa o l’Italia dovrebbero avere la serenità di riconoscere il contributo reale (né più né meno di questo, in bene e in male) [2] che, per ragioni complesse, ha ispirato la formazione del Continente e del Paese che conosciamo. Riccardi si chiede se la Chiesa non debba prendere maggiormente sul serio l’intuizione più nota di Benedetto Croce – «non possiamo non dirci cristiani» [3] – ma precisando che serve «non per battezzare la società, ma per capirla» (p. 21).
A questo processo di comprensione il libro intende contribuire espressamente. Per questo si concentra sullo stato della Chiesa in diversi Paesi, benché solo europei. A partire dal cattolicesimo francese, la cui crisi si sostanzia in eventi già visti altrove e ben riassunti da una percentuale di fedeli praticanti che ruota intorno al 3%. Riccardi risale alla celebre lettera del cardinale Emmanuel Suhard, vescovo di Parigi dal 1940 al 1949, che si domandava già se quello in atto potesse essere Essor ou déclin de l’Église. Tra crescita e declino, infatti, si trova il cattolicesimo ancora oggi: basti pensare alle diverse traiettorie del Nord e del Sud del mondo. Differente, ma solo in parte, è il quadro italiano: un Paese che ha recepito la laïcité francese con una sua originalità e dove il cattolicesimo «ha mantenuto una connotazione popolare» (p. 39). Riccardi presenta il rapporto affettivo dei cattolici italiani con il papa, il loro ruolo costituente, la nascita e la fine della DC, il progressivo indebolimento della rete capillare cattolica fino alla diminuzione dei praticanti, che ora non superano il 20%. Il discorso si fa simile per la Spagna, già cattolicissima ma ormai in preda a una forte secolarizzazione post-franchista. C’è qui una differenza evidente con il Portogallo, che ha comunque retto dopo Salazar, ma c’è anche un lato spesso trascurato che è l’alternativa neo-protestante, più emotiva e attraente per i latinos. La rassegna si conclude con la Germania, dove c’è spazio per parlare della crisi di abusi e dell’iniziativa congiunta della Conferenza episcopale e del Comitato centrale dei cattolici tedeschi di convocare un processo sinodale, che è l’unico menzionato da Riccardi. Il che va sicuramente notato, a maggior ragione dopo i numerosi appelli di Francesco per un sinodo della Chiesa italiana, ora in corso [4].
Gli altri due Paesi cui il libro dedica attenzione sono ovviamente l’Ungheria e la Polonia. Ciò permette all’autore di introdurre la piega nazional-cattolica, per via della somiglianza tra questo tipo di governo e quelli dell’Est, incentrati «sulla figura del capo con un controllo sull’opinione pubblica e del sistema statale» (p. 67). Inoltre, grazie al contesto polacco si anticipa qui il tema di «quale sia il Wojtyła cui si fa riferimento oggi in Polonia» (p. 70). E tuttavia in conclusione si può dire che «il regime nazional-cattolico, che riconosce un ruolo civile e morale alla Chiesa, non favorisce, con questo orientamento, la pratica religiosa e le vocazioni» (p. 72).
Ma c’è dell’altro. Il nazional-cattolicesimo si sostiene perché alimenta «un “noi” generato dalla storia e benedetto dalla fede, diverso dai fragili Stati occidentali, peraltro assediati dai populismi» (p. 75). I passaggi seguenti mostrano come il nazionalismo non sia affatto unanime nella tradizione cattolica – Riccardi cita per esempio l’enciclica Ubi arcano (1922) con la quale Pio XI tornava all’universalismo cattolico del predecessore, Benedetto XV, ma anche la «teologia delle nazioni» (al plurale, nell’ottica di una famiglia di nazioni) espressa da Giovanni Paolo II (pp. 78-79). L’autore si può dunque fermare sulla necessità dell’evangelizzazione che supera i confini geografici.
I temi al centro del dibattito emerso dalla crisi cattolica odierna sono trattati al capitolo quarto. A dire il vero, non si tratta di argomenti «nuovi», ma di questioni conosciute da tempo dall’opinione pubblica più variegata: la crisi di vocazioni, sia diocesane sia religiose; la crisi del maschio e la presenza ormai sempre più attiva e consapevole delle donne; la rivoluzione sessuale, già dal 1968; la crisi dei rapporti inter-generazionali (pp. 96-122). Ma a essere «nuovo», o comunque meno affermato, è il quadro entro cui questi stessi temi sono affrontati. Riccardi ammette come sia troppo facile riconoscere alla sola Chiesa le responsabilità della crisi in corso, che consisterebbe perciò in certe sue incapacità, ma non si considera il fatto che pensare così resti in fondo piuttosto «ecclesiocentrico» (p. 122).
La crisi della Chiesa si capisce solo se si legge come crisi di un mondo. A scomparire, in effetti, non è il messaggio evangelico né il cristianesimo in sé, ma una sua forma storica, la cui origine può essere indagata e discussa (pp. 125-133). Per questo la parte forse più originale del libro è il capitolo quinto, sul papato di Karol Wojtyła (pp. 134-152). In esso, Riccardi offre una rilettura non convenzionale del pontificato, non di rado stretto tra le griglie troppo limitate della santità o del conservatorismo. Quella di Giovanni Paolo II, tuttavia, è «la storia di più di un quarto di secolo di Chiesa», conclusasi «senza una rimeditazione» che pure sarebbe servita allo scopo di legare quanto accaduto nel post-concilio di Paolo VI (1963-1978) al pontificato di Benedetto XVI (2005-2013). Riccardi descrive in questo modo il pontificato del papa polacco come un pontificato-cerniera e ne offre delle chiavi di lettura utili a un approfondimento globale.
Nella parte finale del testo c’è posto per alcuni accenni ai pontificati di Benedetto XVI e Francesco, ma anche per alcune considerazioni sulla pandemia e per la speranza. Gli effetti della crisi sono sotto gli occhi di tutti, acuiti ancor di più dall’emergenza pandemica da Covid-19. Al carattere profetico e in qualche modo secolarizzante della scelta di dimettersi compiuta da papa Ratzinger si è aggiunta la personalità profetica e la sensibilità laica di papa Bergoglio. Allo storico non si addicono le categorie della continuità e della discontinuità, ma è chiaro che a leggere questo testo sulla crisi cattolica anche chi non voglia adottare una prospettiva di fede dovrà chiedersi che cosa significhi che la storia di un credente «non è solo la propria» (p. 241).
[1] Cf. Benedetto XVI, Intervista in volo verso la Repubblica Ceca, in https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2009/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20090926_interview.html.
[2] Andrea Riccardi non cita ma indubbiamente conosce gli studi di Paolo Prodi al riguardo. Cf. soprattutto Storia moderna o genesi della modernità?, il Mulino, Bologna 2012 e Homo europaeus, il Mulino, Bologna 2015.
[3] Andrea Riccardi cita direttamente il contributo di B. Croce, Perché non possiamo non dirci “cristiani”, in «La Critica», 20 novembre 1942, pp. 289-297.
[4] Dopo gli insistenti appelli del papa, la Chiesa italiana ha convocato il suo sinodo che si concluderà con il Giubileo del 2025. Contestualmente, la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi in Vaticano ha annunciato che il sinodo previsto a ottobre 2022 a Roma si terrà nel 2023 e sarà preceduto da una consultazione sinodale in più fasi, a partire da ogni singola diocesi. Cf. rispettivamente https://camminosinodale.chiesacattolica.it/ e https://www.synod.va/it.html. Tuttavia, è chiaro come non sia possibile semplicemente sovrapporre l’esperienza sinodale tedesca e qualunque altra.