La cooperazione nella ripartenza del Paese. Intervista a Mauro Lusetti
- 01 Dicembre 2021

La cooperazione nella ripartenza del Paese. Intervista a Mauro Lusetti

Scritto da Giacomo Bottos

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In questa intervista Mauro Lusetti, Presidente di Legacoop e dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, delinea la prospettiva della cooperazione sul PNRR e riflette sul possibile ruolo del mondo cooperativo nel rilancio del Paese.


Il PNRR parte dalla consapevolezza che la pandemia ha colpito un Paese che era già segnato da fragilità sul piano economico, nonché da fratture sociali, territoriali, generazionali e di genere. Un elemento centrale è individuato nell’insoddisfacente andamento della produttività, che viene legato alla ridotta innovazione – in particolare digitale – del tessuto produttivo, agli insufficienti investimenti pubblici e privati e alla mancata realizzazione di alcune riforme strutturali. Ritiene condivisibile questa analisi? Ci sono altri elementi che vanno a suo avviso sottolineati nell’evidenziare le cause della stagnazione e della difficoltà del Paese?

Mauro Lusetti: È una analisi condivisibile, un buon riassunto dei difetti del Paese degli ultimi trent’anni. Certamente l’incapacità di innovare – sul piano produttivo, ma anche sociale, politico, e istituzionale – è alla base della mancanza di produttività totale dei fattori, del progressivo arretramento del Paese giorno dopo giorno. Forse l’unico elemento da aggiungere, che si è innestato su una lunga scia prima di ‘crisi’ e poi di ‘declino’, è una corretta valutazione dell’ultimo decennio di politiche economiche seguenti alla precedente crisi. Il quadro che hanno definito, non propriamente espansivo, non era certo il più adatto ad affrontare e risolvere i difetti strutturali citati, come il cambiamento di rotta attuale sembra in parte confermare.

 

Come arriva il mondo cooperativo alle soglie della crisi Covid-19? E qual è stato l’impatto di quest’ultima e la risposta messa in campo?

Mauro Lusetti: Definivamo ‘grande’ la crisi del 2007/2008, ma le sue dimensioni sono improvvisamente impallidite di fronte alla pandemia. Per la cooperazione, nell’ultimo decennio si erano susseguiti tre periodi, come nell’economia italiana; un primo tempo di generalizzata sofferenza; una progressiva ripresa dal 2014; fino all’impatto violento con il ‘muro’ del 2020. Legacoop ha seguito queste tre onde; durante il periodo 2011-2019 il valore della produzione è salito di oltre il 10%, ricominciando a crescere costantemente dal 2014 con fenomeni di rilievo nella distribuzione, nella finanza e nella cooperazione sociale. Ora dobbiamo portare a consuntivo un ‘bilancio della pandemia’; in realtà i risultati del 2020, pur in un quadro di grande preoccupazione e sofferenza, non si può dire siano negativi. Nel suo complesso le nostre cooperative hanno tenuto sia in termini di fatturati, sia di occupati, sia di soci. Riteniamo che in una crisi così dura ma tutto sommato per un tempo definito, la cooperazione abbia confermato la sua ‘funzione anticiclica’, questa volta non solo proteggendo il lavoro, ma mettendosi a disposizione per fornire servizi essenziali nel periodo dell’emergenza con responsabilità e civismo verso le nostre comunità.

 

Negli ultimi anni la strategia del workers buyout ha avuto un ruolo importante nella soluzione di molte situazioni di crisi aziendale. È un fenomeno che si è verificato anche nell’ambito della crisi recente?

Mauro Lusetti: È troppo presto per dirlo; ma la domanda si basa su un dato e una intuizione che condividiamo. Tanto è vero che abbiamo recentemente proposto che il WBO, solitamente impiegato per risolvere crisi aziendali conclamate, sia inteso come strumento per affrontare anche le crisi da passaggio generazionale delle imprese e il fenomeno delle delocalizzazioni. È la struttura di medie, piccole e piccolissime imprese famigliari del tessuto produttivo italiano che suggerisce politiche industriali creative, e il coinvolgimento dei lavoratori in forma cooperativa ha mostrato di funzionare, e bene.

 

Il Piano Next Generation EU, deciso per elaborare una risposta alla crisi pandemica, è sembrato segnare un cambio di passo rispetto all’orientamento europeo precedente. Ritiene che si tratti di un cambiamento strutturale o di una misura legata a un contesto emergenziale, a cui seguirà un ‘ritorno alla normalità’? 

Mauro Lusetti: Nelle prime settimane del lockdown, nel marzo del 2020, la cooperazione italiana scrisse una lettera ai membri del Parlamento europeo dei vari Paesi, e pubblicò un documento sugli avvenimenti in corso. Nella prima, l’ACI sollecitava un ruolo solidale e attivo dell’Europa, e chiedeva la fine dell’austerità, la sospensione del patto di stabilità, e l’avvio di politiche espansive e inclusive, di investimenti e sviluppo. Nel secondo, proponeva un Piano nazionale per la sostenibilità alcuni mesi prima che nascesse la proposta del Recovery Plan, di fatto un piano per la sostenibilità e l’innovazione su scala internazionale. Non stiamo certo dicendo che abbiamo dettato l’agenda all’Europa. Stiamo confermando però che la nostra visione è coerente con l’attualità e che la strada delle politiche espansive, delle riforme strutturali e di un ciclo di investimenti pubblici e privati è l’unica che può alimentare uno sviluppo di lungo periodo.

 

Qual è la prospettiva della cooperazione sull’iter di elaborazione del Piano e sui meccanismi di governance previsti? Quali sono state le proposte avanzate e l’interlocuzione con il Governo? Vi è stato un coinvolgimento sufficiente del mondo della cooperazione e del terzo settore nella progettazione delle misure?

Mauro Lusetti: Come accennato, per averne anticipato le logiche, siamo in sintonia sia con il metodo che con i contenuti del PNRR. Nei mesi passati abbiamo via via seguito la genesi del Piano e la sua evoluzione in tutti i momenti in cui le istituzioni ci hanno coinvolto; e di conseguenza abbiamo aggiornato visioni e metodologie. In proposito, abbiamo ripetutamente indicato un punto essenziale nella definizione della governance del Piano che non solo deve prevedere ma pure realizzare dispositivi stabili di partecipazione strategica e operativa, sia dei vari livelli istituzionali sia delle parti sociali. Lo diciamo chiaramente: noi non vogliamo solamente essere auditi in ragione di un peso economico e sociale della rappresentanza; la cooperazione italiana ha visioni, proposte e soluzioni da condividere.

 

Ad un primo sguardo complessivo, quali ritiene siano i principali elementi positivi e quali le criticità del Piano?

Mauro Lusetti: Finora, oltre ai nostri progetti e a progetti pilota sui punti essenziali del piano, abbiamo avanzato osservazioni e critiche costruttive. La prima è questa: noi cooperatori, necessariamente, non abbiamo mai creduto nello sviluppo calato dall’alto. Riteniamo che un Paese cresca ed evolva in maniera duratura e armonica, solo attraverso processi ampi, coinvolgenti, che non mobilitano solo lo Stato e il big business pubblico e privato, ma attivano pure dal basso le forze e le energie economiche, sociali, culturali, le relazioni di comunità. E riteniamo che ciò è tanto più vero nel Paese dei divari territoriali, delle aree interne e spopolate, del tessuto di imprese piccole, micro e famigliari, delle disuguaglianze e della convivenza tra situazioni fortemente avanzate e drammaticamente arretrate. Vi è poi anche un ulteriore aspetto che preoccupa un po’ tutti: ossia la capacità di assorbimento di queste risorse, a maggior ragione negli stretti tempi a disposizione. L’approccio inclusivo che sosteniamo e promuoviamo è essenziale per il buon esito del PNRR.

 

La crisi innescata dalla pandemia ha in molti casi esacerbato divari e fratture. I primi dati a disposizione segnalano che la pandemia ha colpito in modo asimmetrico le categorie che si trovavano già in condizione di fragilità. Fra questi, le donne, i giovani, il precariato, il Sud e le aree interne. Equità e inclusione diventano allora ancora di più priorità fondamentali. Qual è il contributo che può dare il mondo cooperativo per la riduzione di queste problematiche? Quale può essere in particolare il ruolo della cooperazione sociale?

Mauro Lusetti: È così; nella pandemia il Paese è stato prima colpito e poi è ripartito, tra le solite contraddizioni. È nelle pieghe di queste contraddizioni che stanno i difetti, ma pure l’unicità italiana. Risparmi, consumi, investimenti immobiliari; già dalle analisi durante il primo lockdown emergeva che la crisi colpiva alcuni settori, alcuni segmenti sociali, alcune aree del Paese; e ne risparmiava altre che, anzi, miglioravano la propria condizione, per lo meno dal punto di vista economico. Dall’altra parte, la crisi sanitaria ha pesato fin da subito in misura maggiore su quelle categorie che partivano più svantaggiate: lavoratori giovani, a bassa istruzione, stranieri, con basso reddito, in affitto o con mutuo e senza risparmi. Mentre per alcune famiglie aumentavano le disponibilità liquide per effetto di una sostanziale stabilità di reddito, dall’altra parte sono aumentate quelle in forte difficoltà: nel 2020 nell’Italia della pandemia, c’erano ancora due milioni di famiglie in povertà assoluta; cifre che fanno venire i brividi e non possiamo né vogliamo considerarle normali. Il contributo che la cooperativa – esistente o nuova – può dare, nella ‘nuova normalità’, è a mio avviso grande. È una forma di impresa che nasce per agire su quelle fratture, per includere nel mercato pezzi di società che il mercato esclude. È uno strumento sperimentato, su cui occorre investire nel quadro delle politiche industriali in gestazione. E il caso della cooperazione sociale è un esempio lampante; un settore nato dal nulla trent’anni fa, ora è un perno irrinunciabile del settore assistenziale e sanitario del Paese, riflettiamoci.

 

La digitalizzazione è uno degli assi più importanti del PNRR, essendo non solo al centro della prima Missione, ma anche uno degli assi trasversali dell’intero Piano. La prima Missione si focalizza sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione e su quella del sistema produttivo prevedendo anche misure per turismo e cultura. Qual è la prospettiva del mondo cooperativo rispetto alla sfida posta dai processi di digitalizzazione? Esiste una riflessione in atto in seno alla cooperazione su come declinare le trasformazioni legate ai dati, alle piattaforme, alla quarta rivoluzione industriale e alla trasformazione digitale?

Mauro Lusetti: La pandemia ha accelerato quella che da ormai decenni era definita come ‘rivoluzione digitale’; con la ‘nuova normalità’, ammesso che sia stata raggiunta, infatti, la rivoluzione è realizzata ed è cominciata pienamente l’epoca della società digitale. La tecnologia non è più solo funzionale alla produzione, ma alla distribuzione, al consumo, alle reti e ai processi sociali, politici e istituzionali. Per questo il sostegno a una rapida, compiuta e consapevole transizione tecnologica è un aspetto essenziale per la ricostruzione post pandemica. Digitale e sostenibilità, infatti, costituiscono i due principali driver di investimento finalizzato allo sviluppo, e per il loro portato sociale, oltreché meramente economico, sono fenomeni da orientare con saggezza. In questo quadro, negli anni recenti, Legacoop si era già impegnata a sviluppare interventi finalizzati al sostegno della transizione digitale, ingrediente cruciale delle future politiche associative e su cui si è già fatto molto. Sono le imprese stesse, in particolare di medio piccole dimensioni, a chiedere alla struttura associativa di operare in tal senso. Per le cooperative, tuttavia, c’è di più. L’originalità di questa impresa è di essere democratica e mutualistica: la cooperativa è una rete di persone e può quindi essere un vero laboratorio per la democrazia digitale. Che cosa accade ai processi decisionali democratici in questa epoca? È una domanda che attraversa tutta la società globale e le istituzioni. Voti, decisioni, trasparenza del potere; lo studio delle trasformazioni in corso in tale impresa in questo momento, focalizza in vitro un aspetto cruciale per il futuro delle nostre comunità.

 

La transizione ecologica è un altro fondamentale pilastro del Piano. L’impostazione europea recepisce infatti il lavoro fatto per lo European Green Deal e pone precisi vincoli relativi alla quota minima dei fondi da destinare a questo capitolo, dettando anche alcuni principi generali sugli altri investimenti, come il principio del non arrecare danno ambientale (do not significant harm). La seconda Missione, esplicitamente dedicata a rivoluzione verde e transizione ecologica, prevede molti interventi in 4 Componenti: economia circolare e agricoltura sostenibile, energia rinnovabile e idrogeno, rete e mobilità sostenibile, efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, tutela del territorio e della risorsa idrica. Senza entrare necessariamente nel dettaglio, qual è la vostra prospettiva di fronte ai problemi posti dalla transizione energetica? Quale impatto e quali sfide vedete per il mondo cooperativo e il lavoro da esso generato?

Mauro Lusetti: Anche la sostenibilità è apparsa sotto una nuova luce. Una luce meno ideale, più reale, più concreta, più vicina a noi. Da un lato, ci siamo resi conto chiaramente che il riscaldamento climatico non è una questione ideologica, una posizione politica. I fenomeni atmosferici estremi e brutali di questo ultimo anno, ci confermano che non solamente ci siamo già dentro, ma il tempo è già probabilmente scaduto. Dall’altro lato, per la prima volta anche l’opinione pubblica ha capito che la transizione verso un mondo sostenibile non è scontata, non è semplice e, soprattutto, non è gratis. Siamo entrati in una fase nuova, che non deve essere ideologica e teorica, come fu per la globalizzazione. Diventano visibili e di attualità i costi delle transizioni. Questi costi creeranno ulteriori disuguaglianze e disequilibri. La sostenibilità richiede politiche industriali e sociali che la incorporino in un nuovo modello di sviluppo che tenga conto degli impatti sui sistemi produttivi, ma pure sui più poveri e fragili. La cooperazione, costituisce un tessuto capillare di imprese di ogni dimensione, presenti in ogni settore e in forte connessione con le comunità e i territori, è ovvio che può avere un ruolo importante in questo quadro, e le attività già in essere e i progetti sintonizzato con il PNRR lo testimonieranno.

 

Il tema della politiche per il lavoro è affrontato nella quinta missione, insieme a quello delle infrastrutture sociali, delle famiglie, delle comunità e del terzo settore, nonché a quello della coesione territoriale. Nello specifico la componente relativa alle politiche per il lavoro prevede interventi sulle politiche attive del lavoro, sui centri per l’impiego, sulla lotta al lavoro sommerso, sugli incentivi alla creazione di imprese femminili, sul potenziamento del sistema duale e del servizio civile universale. Si tratta di un insieme di misure a vostro avviso adeguate?

Mauro Lusetti: Il lavoro è la prima preoccupazione delle italiane e degli italiani, per sé e per i propri cari. Lo abbiamo visto chiaramente nel corso di questa crisi: al di là, e forse di più, delle implicazioni sanitarie le persone erano spaventate dal perdere il lavoro, dal non riuscire a trovarne un altro, dal vedere disperse le proprie competenze e retribuzioni, e quindi le proprie sicurezze. Vi è un solo punto di partenza: un Paese che non riesce a impiegare le energie di cui dispone, che non riesce a mettere le persone giuste al posto giusto, è un Paese che non funziona. Ora, quando la ripresa sembra in corso e appare robusta, e l’economia pur in questa situazione eccezionale, dopo tanti anni sembra tirare, alcuni difetti strutturali del mondo del lavoro italiano risultano molto evidenti. Le misure in discussione – pur con alcuni punti di anche forte criticità che abbiamo segnalato con forza – insistono sui temi aperti e pongono soluzioni da condividere, ma ci sarà il modo. Noi segnaliamo una questione, da tempo: i dati dimostrano che le nostre imprese cooperative, a differenza di altre, tendono a valorizzare maggiormente il lavoro, favorendo inquadramenti più alti, maggiore mobilità, maggiore inclusione di donne, giovani e categorie più fragili. Per questo denunciamo così frequentemente il danno delle false cooperative, e abbiamo particolarmente a cuore questo tema.

 

L’ultima Missione è dedicata al tema della salute, la cui centralità è stata messa in evidenza dalla pandemia. Gli investimenti sono focalizzati da un lato su reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e dall’altro su innovazione e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale. Quali linee di tendenza vede relativamente all’evoluzione del sistema della salute?

Mauro Lusetti: Nella pandemia abbiamo visto all’improvviso le cose importanti, i valori irrinunciabili, i beni indiscutibili, e la salute, guarda caso, è tra questi. È perciò che esistono i servizi pubblici universalistici, anche se ogni tanto il lucro ha annebbiato anche aspetti così facilmente comprensibili del nostro vivere civile. Per la tutela e il perseguimento di tali beni e il loro avvicinamento a territori, comunità e persone, nelle condizioni attuali, risulta sempre più evidente che pubblico e privato possono e devono essere partner e condividere non solo gli obiettivi, ma pure lo scopo: la crescita e il benessere del Paese. Per aumentare concorrenza e produttività da più parti si chiede un maggiore accesso ai privati nell’offerta; noi diciamo che non abbiamo nulla contro il pubblico, e nemmeno contro il privato ovviamente; ma in settori a forte interesse pubblico il privato deve essere senza fini di lucro. Ci pare che questo abbia insegnato la pandemia, e noi abbiamo preso appunti.

 

In relazione al complesso insieme di questioni che abbiamo affrontato, che ruolo vede, per il mondo cooperativo nel futuro del sistema Paese?

Mauro Lusetti: Lo spazio di sviluppo per la buona e sana cooperazione si allarga, certo non prevedo il futuro e non so se sarà riempito, e ciò dipende anche dallo sviluppare politiche adeguate. Negli anni passati, la cooperativa non sempre è stata vista come migliore opzione, in particolare dai giovani, per avviare attività di impresa. Noi abbiamo una responsabilità in proposito, e ce la assumiamo. Abbiamo servizi e progetti di promozione di impresa che vanno certamente potenziati. Inoltre il clima generale, economico e culturale, certamente non aiutava. L’era del mercato impersonale, del lucro, delle startup innovative come strumento di estrazione e valorizzazione sul breve termine, evidentemente non ha aiutato. Ci pare però che il clima cambi. La spinta sociale nell’economia è un’esigenza ormai sempre più prevalente. Le nuove generazioni, anche alla luce di quel che è appena successo, hanno capito che un’economia di rapina, di puro lucro e individualismo, non solo rovina il pianeta, non solo è fragile, non solo va a vantaggio dei pochi e impoverisce i più, ma anche per chi ci sta dentro non produce benessere e qualità della vita. Ebbene: la cooperativa è l’impresa nata nell’economia di mercato per introdurre valori, interessi e bisogni del mondo, che l’impresa capitalista non soddisfava. È un tema attuale, e le analisi che facciamo sull’opinione pubblica ci confermano che il clima è mutato. Speriamo che questa volta cambi qualcosa davvero e non torni tutto come prima come dopo l’ultima crisi.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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