Sin dagli anni Settanta del secolo scorso il tema dell’insegnamento della filosofia ha visto la presenza – oltre ad aver assistito allo scontro – di numerosi studiosi ma di ben pochi filosofi. Si è discusso molto sul ruolo che la disciplina filosofica può avere nella crescita formativa di studenti e studentesse, senza però prestare attenzione alle condizioni che implica il fatto di ritenere la filosofia responsabile di numerose “competenze”, acquisibili, – secondo il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – nel giro di qualche anno[1]. In Italia si è da anni testimoni di un acceso confronto tra chi sostiene l’importanza dello storico manuale didattico e chi invece innoverebbe il percorso disciplinare degli studenti che frequentano la scuola secondaria di secondo grado, ponendo al centro della lezione i testi, i concetti, le parole e i cosiddetti problemi filosofici. Ma in tutto questo può esistere un “giusto mezzo”? Per quale motivo si dovrebbero studiare i testi filosofici in aula? Cosa comporta la loro lettura? È forse in grado di condurre ad una crescita di tipo etico? E ancora: che ruolo potrebbe avere la filosofia nella vita di studenti e studentesse che non frequentano i licei?
La pratica filosofica esige che vi sia un esercizio continuo che implica la domanda. Il tí esti (che cos’è?) socratico, tipico del bambino, appartiene in larga misura alla ricerca filosofica, la cui messa in discussione è quasi ignota ad altre discipline. Come infatti sostiene il filosofo liberale Isaiah Berlin, quella filosofica è «un’attività socialmente rischiosa, intellettualmente difficile, spesso tormentosa e ingrata, ma sempre importante […] » e aggiunge che «il fine della filosofia è sempre il medesimo, aiutare gli uomini a capire se stessi e quindi a operare alla luce del giorno […] [2]». La citazione ripresa dal testo Il fine della filosofia conduce ad una riflessione sul ruolo (non solo teorico ma anche pratico) della disciplina filosofica. Considerare quest’ultima come “altro” da sé e dalla propria esperienza o addirittura solo come il coronamento della formazione umanistica ne rappresenta un vero e proprio fallimento. La filosofia non può più essere pensata in questo modo, poiché un numero rilevante di problemi attuali, quali l’impiego etico di dispositivi dotati di Intelligenza Artificiale, la crisi ambientale e le sue conseguenze o la gestione dei fenomeni migratori e la civile accoglienza di questi, sono di natura non solo giuridico-politica ma anche prettamente filosofica.
La filosofia non si limita semplicemente ad analizzare in maniera puntuale i fini, gli obiettivi e le criticità delle altre discipline ma «favorisce una piena formazione culturale del singolo»[3]. Anche per questo motivo lo studio di questa materia, come spiega il filosofo Armando Girotti, «non può rimanere limitato ai licei, all’istituto magistrale e alle facoltà umanistiche, ma deve estendersi anche agli istituti tecnici e alle facoltà scientifiche»[4]. A tal proposito si trova d’accordo anche Raffaele Mantegazza – docente di Pedagogia all’Università Milano-Bicocca – il quale, nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso 11 febbraio, rivendica una dignità alla formazione di tipo professionale, nonché un rafforzamento dell’autostima degli studenti. «Solo una volta raggiunto questo traguardo» – spiega il Professore – «si può sperare di potenziare il rendimento di questi ragazzi […] »[5]. Non solo, perché a porre al centro la revisione e la valorizzazione dell’istruzione professionale «fino e oltre gli ITS» è soprattutto l’attuale Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, che lo scorso 24 febbraio ha incontrato le Organizzazioni Sindacali per discutere sui punti più urgenti che l’Italia dovrà affrontare e sviluppare nei prossimi mesi. Naturalmente è da riconoscere lo sviluppo della riflessione critica che anche le discipline non filosofiche riescono a maturare; tuttavia lo sforzo a cui obbliga la filosofia è del tutto peculiare, poiché « […] non proponendosi di aumentare il bagaglio di conoscenze, promuove una più profonda comprensione e una più consapevole valutazione delle stesse[6]».
In Europa, l’Italia è certamente il Paese in cui, durante gli anni in cui si frequenta la scuola secondaria di secondo grado, si affronta maggiormente l’insegnamento della filosofia. Nonostante ciò, rimane esclusa una fetta importante di studenti e studentesse frequentanti gli Istituti tecnici e/o professionali, i quali, una volta terminato il percorso formativo, non posseggono alcuna conoscenza di tipo filosofico. In Francia, invece, si sta lavorando al fine di garantire anche a questi alunni una formazione più completa, dove la filosofia possa avere uno spazio ed una voce ben delineati durante le ore scolastiche. A tal proposito, Fréderic Le Plaine – Presidente dell’Associazione di promozione dell’insegnamento della filosofia (Acireph) – sostiene che «tenere gli alunni che frequentano gli Istituti professionali a distanza da una disciplina come questa che ha in sé una vocazione universalista ed emancipatrice, è ingiustificabile»[7]. Le Plaine aggiunge a questa affermazione che, a meno che non si considerino questi alunni “meno capaci degli altri”, tale sistema è del tutto incomprensibile. Un esempio lampante di come la filosofia possa coinvolgere in modo positivo coloro che frequentano gli Istituti professionali risale a tempi recenti e riguarda una ragazza francese di nome Solène, la quale non si era mai soffermata sulla domanda posta alla classe – da parte della Professoressa di filosofia Sophie Bernardon –, che riguardava la felicità, e più in generale il significato di “essere felici”. La studentessa ha colto che la filosofia «obbliga a riflettere su se stessi e a vedere il mondo sotto altri punti di vista»[8], ed è esattamente questo il potere insito in tale disciplina. La ricerca filosofica può (e deve) consentire allo studente di interrogarsi instancabilmente al fine di approfondire ciò che vive, ciò che sente e dunque ciò che è. L’insegnamento della filosofia nella scuola, aiuterebbe in questo senso i ragazzi e le ragazze a crescere in modo etico, poiché li porrebbe in una condizione tale per cui sarebbero costretti a riflettere quotidianamente sulla loro esistenza e sul loro agire nel mondo.
Attraverso la lettura dei classici filosofici, si ha la possibilità di comprendersi meglio ma anche di scontrarsi con se stessi, nonché di scoprire nuovi concetti, nuovi significati, nuovi modi di agire. Il compito della filosofia è spesso «difficile e doloroso», scrive di nuovo Berlin, aggiungendo che si tratta di: «districare e portare alla luce le categorie e i modelli nascosti in base ai quali gli esseri umani pensano […]. Se si obietta che tutto ciò sembra molto astratto e lontano dall’esperienza quotidiana, e che riguarda troppo poco questioni di interesse generale come la felicità, l’infelicità e il destino ultimo dell’uomo comune, la risposta è che questa accusa è falsa. Gli uomini non possono vivere senza cercare di descriversi e di spiegarsi l’universo»[9].
Il risvolto pratico della filosofia esiste ed è di estrema importanza. Il “filosofo analitico con l’anima di un umanista” Bernard Williams lo conferma, sostenendo che «anche se la filosofia è inferiore alle scienze naturali per alcune cose, come lo scoprire la natura delle galassie, è meglio delle scienze naturali per altre cose, per esempio per comprendere ciò che stiamo provando a fare nelle nostre attività intellettuali»[10]. In breve, perché la filosofia possa riprendere quel posto che le compete nell’educazione dell’uomo, occorre anzitutto una maggiore apertura verso prospettive interdisciplinari e soprattutto interculturali. Bisogna avere il coraggio di aprire le porte alla filosofia, affinché entri a far parte di tutti i contesti formativi e perché vi possa essere un’integrazione tra culture e contesti diversi tra di loro. Occorre inoltre rinnovare il sistema scolastico, per «oltrepassare la specializzazione fatta di contenuti già dati da ripetere», in quanto – come spiega Girotti – «non è più l’età della ritrasmissione, ma quella dell’invenzione»[11]. È bene accompagnare studenti e studentesse verso un percorso di tipo ermeneutico, fatto di riflessioni ed argomentazioni da sviluppare con i propri compagni e docenti. Questi elementi indispensabili, se pensiamo alla fase storico-culturale che viviamo oggi, si rimandano vicendevolmente: da una parte, l’esercizio critico accompagna verso l’acquisizione di una più salda consapevolezza di sé; dall’altra, imparare a giustificare le proprie asserzioni consente di dimostrarne la validità.
Si dovrebbe per lo più investire su una “emergenza” della pratica dialogica: “facendo” filosofia si impara a discutere, a dialogare e a difendere le proprie tesi, nonché le proprie scelte. E non solo, perché imparare a “filosofare” presuppone uno sforzo che può condurre all’errore (concettuale, linguistico, terminologico) ed è qui che la funzione mediatrice dell’insegnante risulta decisiva. La filosofia, in breve, consente di sperimentare, di sviscerare i problemi e di imparare a risolverli per mezzo del dialogo che può avvenire con se stessi e/o con gli altri. Imparare a praticarla nelle aule scolastiche di ogni grado, dovrebbe essere l’obiettivo a cui tende un Paese che mira ad un miglioramento, ancora una volta, di tipo etico. Tutto questo – ci dice Carlo Michelstaedter – perché la filosofia «incarna (e domanda) il valore delle cose»[12]. La sua presenza nelle aule è ora più che mai necessaria, poiché si può definire filosofia quella disciplina che senz’altro istruisce, ma che per lo più educa.
[1] Si fa qui riferimento al documento di Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione che porta il titolo di Orientamenti per l’apprendimento della Filosofia nella società della conoscenza: documento che implica – nell’insegnamento della filosofia – diverse competenze che studenti e studentesse acquisirebbero in tre anni didattico-formativi. Si parla infatti di «competenze e conoscenze fondamentali per la costruzione di saperi personali, capacità critiche, coscienza della cittadinanza […]» e di altro ancora, consultabile a questo link. A tale riguardo sarebbe curioso effettuare un’analisi puntuale sul raggiungimento effettivo di questi obiettivi.
[2] Berlin I., Il fine della filosofia, Einaudi, Torino 2002, p. 15.
[3] Agazzi, Il significato della presenza, pp. 3-5.
[4] Girotti A., L’insegnamento della filosofia. Dalla crisi alle nuove scoperte, Unipress, Padova 1996, pp. 16-17.
[5] Riva O., Francia: più filosofia per tutti: da settembre anche negli istituti professionali. E da noi?, «Corriere della Sera», 11 marzo 2021.
[6] Op. Cit., p. 16.
[7] Dautresme I., C’est comme si on nous donnait le droit d’etre des lycéens à part entière”: la philosophie désormais proposée dans les lycées professionnels; «Le Monde», 2 marzo 2021.
[8] Si faccia qui riferimento alla nota precedente.
[9] Berlin I., Op. Cit., pp. 13-14.
[10] Williams B., La filosofia come disciplina umanistica, Feltrinelli, Milano 2013, p. 222.
[11] Girotti A., Op. Cit., p.43.
[12] Michelstaedter C., La melodia del giovane divino, a cura di Campailla S., Adelphi, Milano 2010, p. 96.