La frontiera dell’Artico: il ruolo degli USA tra energia, clima e sicurezza
- 22 Ottobre 2021

La frontiera dell’Artico: il ruolo degli USA tra energia, clima e sicurezza

Scritto da Alberto Prina Cerai

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Gli Stati Uniti sono un attore centrale in una regione in progressivo mutamento. Le strategie delle amministrazioni democratiche e repubblicane verso l’Artico sono state tuttavia scostanti e frammentarie, per via della polarizzazione politica, di differenti sensibilità rispetto alle ricadute dei mutamenti climatici – che nella regione avvengono con una rapidità e un impatto più dirompente rispetto alla media globale – e in ossequio ad un trend storico che ha visto consolidarsi, con la fine della Guerra Fredda, la cooperazione multilaterale istituzionalizzata nel Consiglio Artico. Negli ultimi anni è tuttavia emersa una evidente “securitarizzazione” verso la regione, tanto per l’incedere del cambiamento climatico quanto per la crescente presenza di peer-competitor come Cina e Russia con propri interessi economici e strategici. Questa breve analisi fotografa gli attuali interessi, obiettivi e strategie dell’amministrazione Biden al 2025 alla luce del trilemma energia, clima e sicurezza in rapida evoluzione nella regione.

La frontiera Artico

Figura 1 – Perimetro artico definito dall’Arctic Research and Policy Act (ARPA) del 1984. Fonte: US Arctic Research Commission https://www.arctic.gov/maps/

L’Artico è «l’ultima frontiera globale e una regione dalle enormi implicazioni geostrategiche, economiche, climatiche, ambientali e per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e del mondo»[1]. Ciò nonostante, fino al 2013 gli USA non avevano elaborato una strategia federale comprensiva per la regione. Sono due gli elementi che ne hanno aumentato il peso specifico: 1) i mutamenti climatici che impatteranno la regione potrebbero rendere l’Artico un game changer per l’economia globale per l’apertura di nuove rotte commerciali e per la presenza di risorse naturali (si stima infatti che la regione ospiti il 30% e il 13% rispettivamente delle riserve di gas naturale e petrolio, delle quali l’84% presente offshore e in buona parte nella piattaforma continentale di pertinenza statunitense al largo delle coste dell’Alaska, oltre a custodire importanti giacimenti di terre rare e altri metalli critici); 2) l’idea che l’importanza della regione possa catalizzare le tensioni in un’era di competizione geopolitica globale («strategic spillover»), minando la storica cooperazione del periodo post-bipolare e gli incastri diplomatici del Consiglio Artico. Pertanto, gli USA adotteranno una strategia mobile che dovrà adattarsi tanto all’area artica in rapido mutamento quanto al più ampio scenario di competizione strategica con i principali sfidanti dell’ordine liberale internazionale a guida statunitense: Cina e Russia[2]. Sono tre i principali interessi di sicurezza nazionale nell’Artico e subordinati all’ultima National Security Strategy (2017): 1) l’Artico come regione in cui gli USA detengono sovranità territoriale e marittima; 2) l’Artico come regione in cui gli USA condividono interessi di sicurezza che dipendono da una cooperazione regionale; 3) l’Artico come potenziale corridoio per la competizione strategica[3]. Considerando che l’ultima NSS risale all’amministrazione Trump, con l’allora focus sulla sovranità nazionale come elemento imprescindibile delle relazioni internazionali e l’uscita dagli Accordi di Parigi, è plausibile ritenere che il documento strategico della Presidenza Biden potrà riorientare le priorità della politica estera verso l’Artico enfatizzando la cooperazione regionale e l’impegno con le istituzioni regionali e sovranazionali nella lotta ai cambiamenti climatici, ma mantenendo una postura di confronto strategico con Pechino e Mosca[4]. Tuttavia, la polarizzazione politica ed elettorale statunitense, che si riflette in una divergenza generazionale e partitica anche sul tema del climate change[5], e la debole percezione dell’opinione pubblica americana degli USA come «nazione artica»[6] rappresentano motivi di cautela sull’effettiva implementazione della strategia statunitense per l’Artico nel lungo termine.

Lo scenario energetico globale in transizione verso lo sfruttamento delle tecnologie rinnovabili avrà un duplice impatto nel determinare quanto e come l’Artico sarà prioritario quale frontiera delle risorse per gli USA. In primo luogo, il rilascio del Plan for Climate Change and Environmental Justice che ambisce al 100% della produzione di energia pulita entro il 2035 e alla neutralità climatica entro il 2050 suggerisce un chiaro cambio di rotta[7]. A riprova di ciò, le recenti sospensioni delle licenze per le trivellazioni petrolifere nell’Arctic National Wildlife Reserve e per la costruzione dell’oleodotto Keystone XL da 4 miliardi di dollari da parte della Casa Bianca suggeriscono come l’orientamento verso la sostenibilità energetica e ambientale sia già operativo. Inoltre, secondo le ultime stime l’indice di sicurezza energetica degli USA ha registrato i migliori risultati nel 2019: dopo aver raggiunto il picco di high risk nel 2011 (100.9) è significativamente diminuito al 70.1, il valore più basso mai registrato dal 1970, grazie anche ad una tendenza che vede ora gli USA esportatori netti di energia per la prima volta dal 1952[8]. Considerando le tempistiche per creare le infrastrutture necessarie a rendere operativi i giacimenti di petrolio e gas naturale, i potenziali costi di produzione rispetto ad altri siti più competitivi, anche in termini di rischi sugli asset, oltre agli impegni dell’amministrazione corrente rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione che potranno rendere la regolamentazione del settore più sfidante e severa per le compagnie coinvolte, è plausibile ritenere che gli investimenti federali nell’Oil&Gas nella regione potranno essere ritenuti controproducenti nella diversificazione del futuro portfolio energetico del Paese e, più in generale, per la sicurezza energetica degli Stati Uniti.

In secondo luogo, paradossalmente le nuove dinamiche globali hanno visto l’amministrazione precedente e quell’attuale affrontare con continuità e coerenza l’esposizione e dipendenza degli USA alle supply chain legate alle tecnologie rinnovabili, in particolare rispetto alla fornitura di metalli essenziali per la transizione green-tech (litio, cobalto, rame e terre rare). Da questa prospettiva, l’Artico potrebbe riacquisire una centralità strategica per la diversificazione delle forniture – in particolare di terre rare come neodimio, disprosio, terbio e praseodimio cruciali anche per l’industria militare americana. Tuttavia, gli investimenti minerari statunitensi sono attualmente concentrati sulle riserve domestiche (l’Alaska conta circa il 4% del valore nella produzione di metalli non “critici” come zinco, oro, argento e piombo) in California, Nevada, Arizona e Texas con importanti giacimenti e attività di esplorazione, in corso di valutazione, di terre rare, cobalto e litio. Mentre le partnership estere già consolidate con Australia, Canada e altri membri dell’Energy Resource Governance Initiative (lanciata dall’US State Department nel 2019) suggeriscono un orientamento verso like-minded nation capaci di assicurare un’estrazione in linea con le priorità dell’amministrazione in tema di diritti umani e sviluppo sostenibile. In particolare, un recente rapporto sugli investimenti in Groenlandia, e sulla necessità di una maggiore cooperazione tra i Five Eyes in tema di sicurezza, clima e politica industriale, ha evidenziato come aziende britanniche, canadesi e australiane siano già in possesso di licenze minerarie, ma con l’assenza di statunitensi, nella regione[9]. Infatti, tra gli obiettivi dell’amministrazione Biden vi potrà essere quello di bilanciare la dipendenza da forniture estere e maggiori capacità estrattive domestiche attraverso un rilancio della competitività downstream che possa, da un lato, allentare i colli di bottiglia lungo la catena del valore (dalla raffinazione dei metalli alla produzione di prodotti finiti come batterie elettriche e magneti) e, dall’altro, favorire il reshoring delle attività produttive per affrancarsi dalle filiere industriali controllate dalla RPC[10].

Artico

Figura 2 – Proiezioni della US Navy sulla navigabilità delle rotte artiche dal 2012 al 2030. Fonte: US GAO (2018).

Gli Stati Uniti dipendono dal mare per la propria prosperità, per il commercio, le linee di comunicazione e la sicurezza. L’Artico, dunque, rappresenta «l’emergente frontiera marittima»[11] vitale per la tutela di molteplici interessi oltre a diventare in futuro un perimetro di difesa nazionale tanto dagli effetti del cambiamento climatico, quanto da minacce di natura militare. Da un punto di vista geostrategico, con il collasso delle calotte glaciali e del permafrost sembra emergere la convinzione che la storica insularità statunitense e le capacità di deterrenza militare possano essere messe in gioco con l’apertura di un fronte settentrionale. Inoltre, la crescente militarizzazione della regione da parte della Russia[12] e la presenza economico-commerciale ingerente della Cina potrebbero minacciare lo storico ruolo degli Stati Uniti di garante della libertà di navigazione sugli oceani e di command of the commons in un’area dalle possibili potenzialità al 2030 [Figura 2]. Hanno sempre più rilievo i documenti strategici della US Navy e della US Coast Guard: la prima come braccio operativo per la difesa e la proiezione degli interessi marittimi statunitensi, la seconda come asset civile per l’homeland security e per la quale è previsto un significativo potenziamento della flotta in ambito S&R e tutela delle infrastrutture critiche. È dunque plausibile che l’amministrazione Biden possa guardare all’Artico come frontiera per la sicurezza nazionale in misura maggiore rispetto alle sue potenzialità energetiche, con evidenti riflessi per la difesa dello status quo della governance regionale e per il ruolo di leadership nella lotta ai cambiamenti climatici. Alla luce di ciò, è possibile trarre alcune indicazioni conclusive, ma non definitive: 1) l’inclinazione dell’amministrazione Biden verso la transizione energetica e la lotta ai cambiamenti climatici è la chiave di lettura per un approccio statunitense verso l’Artico slegato dalla corsa all’Oil&Gas, ma indirettamente connesso al settore minerario; 2) un elemento di continuità è individuato nel fattore securitario, sia esso declinato nella deterrenza militare sia legato alle implicazioni per l’homeland security; 3) la cooperazione regionale rimarrà lo strumento prediletto per la tutela degli interessi di sicurezza degli USA, a patto che sulla governance della regione non vengano scaricate le tensioni geopolitiche provenienti da altri quadranti geografici.


[1] US Department of State, Press Statement, Retired Admiral Robert Papp to Serve as US Special Representative for the Arctic, luglio 2014.

[2] US Department of the Navy, A Blue Arctic: A Strategic Blueprint for the Arctic, gennaio 2021.

[3] US Department of Defense, Report to Congress, DoD Arctic Strategy, Office of the Under Secretary of Defense for Policy, giugno 2019.

[4] US White House, Interim National Security Strategic Guidance, marzo 2021.

[5] Pew Research Center (PRC), Gen Z, Millennials Stand Out for Climate Change Activism, Social Media Engagement With Issue, maggio 2021.

[6] Zachary D. Hamilla, The Arctic in the US National Identity (2019), Arctic Studio, 6 marzo 2020.

[7] Lo Stato dell’Alaska, tra i territori più soggetti agli effetti del cambiamento climatico nella sua zona artica, è uno dei 20 Stati federati che non hanno aderito alla United States Climate Alliance. Si tratta di una posizione che riflette la differente sensibilità dei rispettivi governatori e dell’opinione pubblica: in Alaska l’industria petrolifera conta per ¼ dei posti di lavoro e circa metà degli introiti statali, che vengono gestiti dall’Alaska Permanent Fund, fondo sovrano istituito nel 1976 (https://www.akrdc.org/oil-and-gas).

[8] US Chamber of Commerce, Global Energy Institute, Index of US Energy Security Risks: Assessing America’s Vulnerabilities in a Global Energy Market, edizione 2020.

[9] Polar Research & Policy Initiative (PRPI), The Case for a Five Eyes Critical Minerals Alliance: Focus on Greenland, Marzo 2021.

[10] Center for Strategic and International Studies (CSIS), Reshore, Reroute, Rebalance: A US Strategy for Clean Energy Supply Chains, A Report of the CSIS Energy Security and Climate Change Program, maggio 2021.

[11] Robert J. Papp, The Emerging Arctic Frontier, in United States Naval Institute Proceedings, Vol. 138, No.2 (febbraio 2012), pp. 1-308, cit. p. 1.

[12] Center for Naval Analysis (CNA), Russia’s Military Build-Up in the Arctic: to What End?, settembre 2020.

Scritto da
Alberto Prina Cerai

Dopo le lauree all’Università di Torino e all’Università di Bologna, ha svolto un periodo di ricerca presso il King’s College di Londra. Ha completato in seguito un Corso Executive in Affari Strategici presso la LUISS School of Government, una PhD Summer School con Politecnico di Milano-EIT Raw Materials su materiali critici ed economia circolare e un Master con la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI). Attualmente collabora con Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) e LUISS University Press, oltre a svolgere attività di consulenza e analisi.

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