Scritto da Andrea Pareschi
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Fra i temi maggiormente citati, e al tempo stesso più complessi, sollevati dal conflitto in Ucraina vi è l’utilizzo degli strumenti finanziari in ottica geopolitica, fenomeno che si lega ad un più lungo dibattito sulla politica monetaria e l’integrazione europea. In questa intervista, Lucia Quaglia – Professoressa ordinaria di Scienza politica all’Università di Bologna – affronta il ruolo delle banche centrali e del sistema di governance europeo nel reagire alle crisi, passate e presenti.
Fra i suoi versanti, il conflitto che si sta protraendo in Ucraina ha avuto anche una dimensione finanziaria su scala internazionale, legata agli effetti delle sanzioni, alle fluttuazioni del rublo, all’esclusione della Russia dal sistema SWIFT. Come si è sviluppato questo versante dal febbraio 2022 in poi? E quali sono le implicazioni degli avvenimenti in corso per il sistema finanziario internazionale?
Lucia Quaglia: In risposta all’invasione dell’Ucraina, è stata adottata una vasta gamma di sanzioni finanziarie contro la Russia. Sono state concordate tre forme principali di sanzioni finanziarie. In primo luogo, sono state congelate le attività finanziarie – cioè le riserve – della Banca centrale russa detenute all’estero, con particolare riferimento a quelle detenute nell’Unione Europea, negli Stati Uniti e nel Regno Unito. In secondo luogo, è stata adottata una serie di sanzioni nei confronti di singole banche russe; molte di esse sono state escluse dal sistema di messaggistica SWIFT, che è integrato all’interno del sistema di pagamento internazionale. In terzo luogo, sono state adottate sanzioni finanziarie contro singoli individui di nazionalità russa e bielorussa: le loro attività finanziarie detenute all’estero sono state sequestrate e, ove la legge nazionale lo consente, confiscate. Tra questi tre tipi di sanzioni finanziarie, il congelamento delle riserve estere della Banca centrale russa è la misura che ha avuto le conseguenze più significative. Questo genere di misure restrittive è stato messo in atto per impedire alla Banca centrale russa di impiegare le proprie riserve internazionali in modo tale da indebolire l’impatto delle sanzioni economiche e finanziarie contro la Russia. Una volta che la Banca non ha potuto utilizzare le sue riserve estere per puntellare la svalutazione del rublo, la valuta russa è crollata, generando la minaccia di una corsa agli sportelli. In risposta, la Banca di Russia ha introdotto controlli sui movimenti di capitale e ha aumentato drasticamente i tassi di interesse, e il tasso di cambio del rublo si è in parte ripreso. Nel complesso, queste sanzioni finanziarie hanno comunque avuto ripercussioni economiche significative, anche se non tanto quanto ci si sarebbe potuto aspettare, non da ultimo perché il congelamento delle riserve estere della Banca centrale russa è stato attuato solo parzialmente. Come conseguenza degli eventi attuali, nel sistema finanziario internazionale si registra una forte volatilità. È vero che, nel complesso, il sistema ha assorbito lo shock economico iniziale innescato dalla guerra in Ucraina. Tuttavia, come ha osservato il Fondo Monetario Internazionale, in un’ottica di lungo periodo questa guerra potrebbe cambiare «l’ordine economico e geopolitico globale, nel caso in cui il commercio di energia si sposti, le catene di approvvigionamento si riconfigurino, le reti di pagamento si frammentino e i Paesi riconsiderino le proprie riserve in valuta estera»[1].
Quali sfide si pongono per la politica monetaria e per le banche centrali, in una fase in cui rischi di inflazione convivono con una ripresa minacciata da molteplici fattori?
Lucia Quaglia: Una sfida cruciale per la conduzione delle politiche macroeconomiche – vale a dire, politica fiscale e politica monetaria – è che in meno di un anno si è passati da un contesto deflazionistico ad uno inflazionistico. Le banche centrali sono state colte di sorpresa da questo passaggio. Ad esempio, ancora nel settembre 2021 la Banca Centrale Europea (BCE) avvertiva che la deflazione fosse minacciosa almeno quanto l’inflazione. Nei prossimi mesi, le banche centrali sono chiamate a trovare un difficile equilibrio. Da un lato, vi è ora un livello di inflazione relativamente alto, a maggior ragione se confrontato con quello degli ultimi due decenni. Dall’altro lato, le previsioni economiche sono cupe e si teme una recessione economica prolungata, in un momento in cui l’economia globale e le economie nazionali avevano appena iniziato a riprendersi dagli shock economici e finanziari causati dalla pandemia di Covid-19. Le banche centrali devono quindi decidere come intervenire e come gestire la situazione, e al contempo tentare di bilanciare il contrasto all’inflazione con la necessità di sostenere la domanda aggregata, a fronte di una diminuzione dei redditi reali. Nel breve periodo, inflazione e crescita si muovono in direzioni opposte. È possibile cercare di esaminare queste tendenze in successione. L’inflazione, innanzitutto, è stata innescata da una serie di fattori interconnessi: la domanda aggregata è stata sospinta dalle politiche di stimolo adottate dalle principali economie in risposta alla crisi economica scaturita dalla pandemia, mentre l’offerta è stata limitata dalla lenta ripresa della produzione industriale dopo i lockdown e i “colli di bottiglia” logistici. Inoltre, le riaperture dopo i lockdown hanno suscitato un rapido ritorno della domanda verso i servizi. Un elemento cruciale è stato il forte aumento dei prezzi delle materie prime (commodity), in particolare dell’energia e dei prodotti alimentari. Questa impennata dei prezzi era iniziata prima dello scoppio della guerra in Ucraina, ma è stata intensificata dal conflitto che, secondo la Banca Mondiale, è destinato a causare «il più grande shock relativo alle materie prime»[2] dagli anni Settanta. Le interruzioni e le perturbazioni causate dal conflitto contribuiscono a far lievitare enormemente i prezzi di una serie di beni che vanno dal gas naturale al grano. Questa combinazione di shock senza precedenti ha portato a una pressione inflazionistica.
Allo stesso tempo, l’inflazione sta influendo negativamente sui salari reali e quindi sulla domanda aggregata. In tutto il mondo, le famiglie stanno risentendo di una crisi del costo della vita. Preoccupano particolarmente le condizioni delle famiglie più povere, dal momento che esse spendono una quota maggiore del loro reddito in cibo ed energia e sono quindi specialmente vulnerabili a questa impennata dei prezzi. A sua volta, ciò potrebbe aggravare le disuguaglianze sociali ed economiche e potrebbe ingenerare, all’interno dei Paesi più poveri, un’ulteriore crisi umanitaria. In sintesi, il contesto con cui le banche centrali si trovano oggi a fare i conti è notevolmente cambiato rispetto a quello precedente la pandemia. Gli strumenti di politica monetaria convenzionali e non convenzionali che le banche centrali hanno utilizzato per far fronte alla crisi economica legata alla pandemia e, prima ancora, alla crisi del debito sovrano nell’Eurozona erano stati progettati anche per contrastare il persistere di un’inflazione troppo bassa: c’era infatti il rischio reale che un’inflazione a livelli troppo bassi si radicasse, soprattutto in Europa. Tuttavia, al momento questi strumenti di politica monetaria non sono più adeguati. Allo stesso tempo, nel contesto attuale, non c’è un eccesso di domanda aggregata: l’inflazione è alimentata da shock dell’offerta e gran parte dell’inflazione in Europa è di fatto importata dall’esterno. Le banche centrali, in particolare la BCE, parlano di una “normalizzazione” delle politiche monetarie, facendo con ciò riferimento ad una riduzione delle pressioni inflazionistiche che non comprima la crescita economica. E in effetti, le banche centrali devono comunque tenere conto delle prospettive di crescita nel calibrare la normalizzazione delle loro politiche. Nell’ultimo decennio e mezzo, l’Europa ha affrontato una crisi finanziaria, una crisi del debito sovrano e una crisi di salute pubblica con connessa crisi economica; ora sta affrontando uno shock dell’offerta dovuto all’impennata dei prezzi delle materie prime. Inoltre, il debito pubblico in rapporto al PIL rimane molto elevato, mentre i governi devono far fronte alle pressioni fiscali derivanti dalle spese aggiuntive legate a necessità di sicurezza energetica e difesa.
Lo strumento NextGenerationEU ha rappresentato da un lato uno sviluppo inedito a livello europeo, con l’emissione di debito comune, ma dall’altro lato alcuni Stati membri lo giudicano chiaramente come una risposta una tantum. Fino a che punto si può guardare a NextGenerationEU come ad un salto di qualità strutturale nell’approccio macroeconomico dell’UE? Ritiene possibili nell’attuale congiuntura nuovi piani, basati su un modello simile, per iniziative comuni in materia, ad esempio, di energia o di difesa?
Lucia Quaglia: Il programma di finanziamento NextGenerationEU (NGEU) è stato concordato per affrontare la crisi economica dell’UE dovuta alla pandemia da Covid-19. Il fulcro di questo programma di finanziamento del valore di 750 miliardi di euro è il Dispositivo di Ripresa e Resilienza (Recovery and Resilience Facility, RRF), che ammonta a 670 miliardi di euro in prestiti e sovvenzioni, volti a sostenere riforme economiche e investimenti nei Paesi membri. Per il finanziamento di NGEU, alla Commissione è stato conferito il potere di raccogliere fino a 750 miliardi di euro sui mercati finanziari. Per accedere ai fondi disponibili nell’ambito del RRF, come è noto, gli Stati membri hanno dovuto presentare Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza. Il NGEU rappresenta un passo significativo nell’evoluzione della governance macroeconomica dell’UE. Tuttavia, il bicchiere è solo mezzo pieno, o – per dirla in un altro modo – è mezzo vuoto. È vero che il NGEU è politicamente significativo e ha contribuito a mitigare una crisi economica e politica in gestazione, mentre la BCE sosteneva il “lavoro pesante” attraverso il suo programma di acquisto di debito sovrano e di titoli (Asset Purchase Programme, APP). Tuttavia, NextGenerationEU è una misura una tantum, limitata nel tempo, e per circa la metà del suo valore consiste in prestiti, sebbene a condizioni generose, non in sovvenzioni. Può essere considerata come una soluzione “tampone”, come un cerotto: in altre parole, come un meccanismo di gestione di crisi, non di prevenzione di crisi. Il NGEU è ben lungi dall’essere adeguato in termini reali – non è significativo dal punto di vista macroeconomico perché rappresenta una piccola percentuale della spesa pubblica aggiuntiva totale degli Stati membri. Detto questo, l’NGEU è comunque destinato ad avere un effetto moltiplicatore, il che significa che stimolerà sia consumi sia investimenti aggiuntivi negli Stati membri. Inoltre, va detto che non è raro che i meccanismi temporanei dell’UE, o le soluzioni limitate nel tempo adottate dall’UE, vengano estesi e, alla fine, diventino permanenti. Inoltre, è possibile sostenere che il NGEU fornisca un modello che potrebbe essere replicato, ad esempio, per contribuire allo sviluppo di una politica energetica comune a livello comunitario, o di una politica di difesa comune.
Negli ultimi tempi, in cui il ripristino del Patto di Stabilità – pur differito di un anno – è ricomparso nell’agenda, alcuni sostenitori di una riforma della governance macroeconomica europea sembrano trarre ottimismo da un paper promosso congiuntamente da Spagna e Paesi Bassi, interpretato come il seme di un superamento dello scontro fra Paesi “debitori” e “frugali” attraverso piani fiscali attenti alle circostanze dei singoli Paesi. È una speranza fondata?
Lucia Quaglia: Non sono sicura che interpreterei in questo modo il documento congiunto pubblicato dai governi olandese e spagnolo. Il documento afferma, tra le altre cose, che «in un contesto di livelli di debito più elevati, gli Stati membri dovrebbero impegnarsi in modo credibile a creare riserve di bilancio per essere pronti allo shock successivo attraverso strategie di consolidamento specifiche per Paese che siano realistiche, graduali ma ambiziose, nonché compatibili con la crescita economica e la creazione di posti di lavoro». È poi vero che il documento chiede il completamento dell’Unione bancaria, ma non avanza nessuna proposta specifica al riguardo.
I suoi studi hanno in effetti affrontato in maniera estensiva il tema dell’Unione bancaria europea. Qual è la relazione che sussiste fra l’Unione bancaria e l’Unione economica e monetaria? E quali sono, rispettivamente, i punti di forza e i punti di debolezza dell’attuale configurazione?
Lucia Quaglia: L’Unione bancaria, che ha segnato un passo importante nell’integrazione economica e politica europea, è stata una risposta potente alla crisi del debito sovrano che si è manifestata nella periferia dell’Eurozona a partire dal 2009. L’Unione bancaria, secondo quanto era stato inizialmente concepito, doveva basarsi su tre pilastri: vigilanza bancaria unica (il Meccanismo di vigilanza unico o Single Supervisory Mechanism, SSM), risoluzione bancaria unica (il Meccanismo di risoluzione unico o Single Resolution Mechanism, SRM) e un sistema comune di garanzia dei depositi. Il SSM si applica agli Stati membri dell’Eurozona e agli Stati membri dell’UE, non appartenenti all’Eurozona, che hanno deciso di aderire all’Unione bancaria. Al centro del SSM c’è la BCE, che è responsabile del funzionamento complessivo dell’SSM e della vigilanza sulle banche dell’Eurozona. Tale vigilanza, tuttavia, è differenziata e la BCE deve svolgerla in stretta collaborazione con le autorità di vigilanza nazionali. Il SRM, che fu istituito per integrare l’SSM, è responsabile delle fasi di pianificazione e risoluzione delle banche transfrontaliere e di quelle direttamente supervisionate dalla BCE, mentre le autorità di risoluzione nazionali sono responsabili rispetto a tutte le altre banche. Da ultimo, invece, un sistema comune di garanzia dei depositi dell’UE, il mancato terzo pilastro dell’Unione bancaria, non si è concretizzato soprattutto a causa dell’opposizione tedesca. Nel complesso, l’Unione bancaria è stata realizzata tra il 2012 e il 2015, ad eccezione del sistema comune di garanzia dei depositi. Ha funzionato bene nel primo decennio della sua istituzione e ha risposto in modo rapido ed efficace alla crisi economica legata alla pandemia. In particolare, la BCE, in qualità di autorità di vigilanza bancaria nell’ambito del SSM, ha cercato di controbilanciare i peggiori impatti della crisi pandemica sul settore bancario adottando un alleggerimento temporaneo del capitale bancario e delle riserve di liquidità delle banche; flessibilità nella vigilanza in relazione al trattamento dei crediti deteriorati; e raccomandazioni alle banche affinché non pagassero dividendi o riacquistassero azioni durante la pandemia. Le decisioni di vigilanza della BCE sono state prese rapidamente, in stretto coordinamento con le misure di politica monetaria; e come ha osservato la BCE, le banche sono state così parte della soluzione e non del problema (a differenza di quanto avvenuto con la crisi finanziaria internazionale del 2008).
Sul versante della politica monetaria, la BCE ha attuato misure convenzionali e non convenzionali. In primo luogo, ha mantenuto i tassi d’interesse di riferimento a livelli storicamente bassi, in modo da mantenere bassi i costi di indebitamento e di finanziamento. In secondo luogo, la BCE ha istituito il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP): un programma temporaneo di acquisto di titoli del settore pubblico e privato. Il programma mirava a ridurre i costi di finanziamento e ad accrescere i prestiti nell’area dell’euro, appunto tramite l’acquisto di vari tipi diversi di attività finanziarie. La BCE ha acquistato obbligazioni societarie, fornendo così alle imprese un’ulteriore fonte di credito. Acquistando titoli di Stato, ha efficacemente contribuito a colmare il differenziale di rendimento tra i titoli emessi dagli Stati membri fiscalmente solidi e da quelli meno solidi. La BCE ha inoltre acquistato obbligazioni direttamente dalle banche, che a loro volta hanno potuto utilizzare i fondi per concedere prestiti a famiglie e imprese. In terzo luogo, le operazioni di rifinanziamento a più lungo termine legate all’emergenza pandemica (Pandemic Emergency Longer-Term Refinancing Operations, PELTRO) hanno fornito finanziamenti agli istituti di credito. Offrendo alle banche finanziamenti a lungo termine a condizioni appetibili, hanno preservato condizioni di prestito favorevoli per le banche stesse, stimolando quindi i prestiti bancari nei confronti dell’economia reale. Le operazioni di rifinanziamento a lungo termine hanno insomma rafforzato l’orientamento accomodante della politica monetaria europea. Gli importi di queste misure sono stati considerevoli. A differenza di quanto avvenuto con la crisi del debito sovrano, per rispondere alla crisi economica scaturita dal Covid-19 la BCE ha dunque utilizzato gli strumenti del suo braccio di politica monetaria e quelli del suo braccio di vigilanza bancaria. Si è trattato della prima volta in cui la BCE ha avuto l’opportunità di utilizzare strumenti sia di politica monetaria che di vigilanza, che potevano muoversi nella stessa direzione perché entrambi i tipi di misure erano messi in atto allo stesso livello, ossia quello dell’Eurozona. Queste due policy erano invero complementari. In effetti, alcune misure di politica monetaria della BCE, in particolare le operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (Targeted Long-Term Refinancing Operation, TLTRO), sono state importanti per le banche, in quanto le hanno aiutate a fare fronte alla crisi. Allo stesso tempo, la BCE ha utilizzato i suoi poteri di vigilanza bancaria come strumento di politica monetaria, aumentando i fondi a disposizione delle banche per l’erogazione di prestiti. È tuttavia rilevante ricordare che il meccanismo BCE-SSM è il pilastro più forte – cioè maturo a pieno titolo – dell’Unione bancaria, con un’istituzione pienamente indipendente e dotata di risorse adeguate, la BCE, al suo centro. Al contrario, l’anello più debole dell’Unione bancaria è l’assenza di un sistema comune europeo di garanzia dei depositi e, in effetti, sono stati rinnovati gli appelli, anche da parte della BCE stessa, per la creazione di un tale sistema.
[1] IMFBlog, A. Kammer, J. Azour, A.A. Selassie, I. Goldfajn and C. Rhee, How War in Ukraine Is Reverberating Across World’s Regions, 15 marzo 2022.
[2] The World Bank, Commodity Markets Outlook. The Impact of the War in Ukraine on Commodity Markets, report, aprile 2022.