La legge del più forte: un estratto dal libro di Luca Picotti
- 22 Settembre 2023

La legge del più forte: un estratto dal libro di Luca Picotti

Scritto da Luca Picotti

6 minuti di lettura

Reading Time: 6 minutes

«Spesso si è sentito parlare di guerra economica, intesa come quell’insieme di pratiche adottate dagli Stati per piegare o comunque indebolire economicamente Paesi rivali o concorrenti. Raramente si è prestata attenzione all’infrastruttura concreta che risiede alla base di qualsivoglia guerra economica. Quest’ultima, infatti, si sviluppa per mezzo di leggi, regolamenti, provvedimenti statali. Si tratta di un intero armamentario giuridico finalizzato al raggiungimento degli scopi geoeconomici e, quindi, geopolitici. La guerra economica, in questo senso, non è altro che l’effetto di una guerra combattuta con le armi del diritto».

In La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra Stati – edito da Luiss University Press con una prefazione di Alessandro Aresu e uscito il 22 settembre 2023 – Luca Picotti riflette sull’uso del diritto come strumento degli Stati per affermare il proprio potere. Luca Picotti è avvocato, dottorando di ricerca presso l’Università di Udine nel campo del Diritto dei trasporti e commerciale e redattore di «Pandora Rivista». La legge del più forte è il suo primo libro. Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’editore, un estratto del primo capitolo del testo.


Gli Stati e il panorama globale: investimenti esteri, settori strategici, sicurezza. Alle radici dello scontro tra Stati: potere sovrano e interesse nazionale

Se si va a fare un giro sul portale Normattiva, minuziosa raccolta online dell’apparato italiano di leggi, regolamenti e decreti, e si digita nella barra di ricerca la locuzione “interesse nazionale”, vengono fuori ben 3.645 risultati: ad esempio, “decreto […] per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale”; oppure, “disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi”; e via dicendo. Se si digita “sicurezza nazionale”, vengono fuori 2859 risultati. Si tratta di concetti frequentemente utilizzati dal legislatore, italiano e non solo, senza che vi sia una adeguata definizione a circoscriverne il campo semantico. Sono concetti giuridici indeterminati, che non riescono, tra l’altro, a trovare definizione nemmeno in ambito politologico.

In un interessante libro uscito qualche anno fa, L’interesse nazionale: la bussola dell’Italia, Alessandro Aresu e Luca Gori hanno proposto una breve rassegna di alcune definizioni di interesse nazionale, tutte dalle diverse sfumature: ad esempio, per Donald Nuechterlein il concetto riflette “i bisogni percepiti e i desideri di uno Stato sovrano in relazione ad altri Stati sovrani che formano l’ambiente esterno”; per Hans Morgenthau, padre del realismo classico nelle relazioni internazionali, l’interesse di uno Stato si declina in termini di potenza.

L’impossibilità di definire l’interesse nazionale può minare alla radice la validità del concetto stesso. Nell’ambito della letteratura geopolitica tale locuzione è ricorrente, in coerenza con un approccio che relega in una posizione secondaria ideologie e politica interna, affidando agli Stati-nazione – intesi come collettività insediate in un determinato territorio – interessi di lungo termine radicati nella storia, nella geografia, nell’antropologia; ad esempio, per la Gran Bretagna l’interesse nazionale sarebbe sempre stato quello di evitare l’emergere di una potenza continentale in grado di minacciarla, obiettivo che la portava a formare coalizioni con i più deboli per equilibrare i rapporti di forza all’interno del Vecchio Continente; per la Russia era (e sarebbe) l’agognato sbocco sui mari caldi, in modo da avere porti utilizzabili per tutto l’anno e trovare una propria proiezione marittima, garantendosi allo stesso tempo una schiera di Stati cuscinetto a difenderne la profondità strategica nell’entroterra. Approccio nel complesso riassumibile nella celebre citazione dello statista britannico del Diciannovesimo secolo Lord Palmerston: “Noi non abbiamo alleati eterni, e non abbiamo nemici perenni. I nostri interessi sono eterni e perenni, e tali interessi è nostro compito perseguire”.

In questo senso, gli Stati, ossia gli attori principali dello scacchiere globale, sarebbero portatori di un interesse nazionale che trascende i singoli individui che di volta in volta possono trovarsi ad avere in mano le redini del Paese. Chi critica questa impostazione, invece, sottolinea come non si possa trascendere dalla proiezione ideologica di chi governa: sarebbe come a dire che l’Italia di De Gasperi condividesse lo stesso interesse nazionale dell’Italia di Mussolini. Inoltre, è poco chiaro pure comprendere quando tale interesse viene seguito e con quale consapevolezza: Angela Merkel faceva l’interesse della Germania rendendo il proprio Paese sempre più dipendente dal gas russo? Come avrebbe dovuto agire altrimenti? La bussola dell’interesse nazionale si definisce a priori o a posteriori? Vi è poi anche chi sostiene che parlare di interesse nazionale sia improprio perché significherebbe ritenere lo Stato un monolite espressione di un unico interesse, quando al suo interno vi sono invece diversi gruppi, più o meno in conflitto tra loro, portatori di altrettanti interessi; in termini ancora più radicali, la letteratura di matrice marxiana sostiene che gli interessi siano di classe, trasversali rispetto agli Stati, che non sono altro che l’espressione delle diverse classi dominanti borghesi, in conflitto con quelle operaie.

Tutte queste obiezioni sono legittime. Il fatto però che si tratti di una categoria sfuggente, che non ha nemmeno senso provare a definire, non ne compromette l’attualità. Il suo utilizzo sfrenato negli atti normativi ne è un esempio. Pure non rigettando completamente gli assunti geopolitici circa la presenza di alcuni interessi radicati nelle profondità storico-geografiche delle collettività, qui si considererà l’interesse nazionale come un complesso insieme aperto di obiettivi aventi il fine di garantire esistenza, continuità e crescita del soggetto statale; obiettivi astrattamente destinati a essere declinati in modi differenti dai diversi attori, per quanto poi nella prassi i vincoli geopolitici di cui sopra hanno sempre ridotto i margini di manovra degli individui. Il punto però centrale è che si tratta di un concetto esistente, perché a esistere è lo Stato-nazione – nonostante decenni di letteratura sulla fine dello Stato – così come convenzionalmente inteso dal paradigma vestfaliano (1648), ossia quale entità superiorem non recognoscens costituita dal trinomio governo-popolo-territorio.

Attore principale nello scacchiere internazionale, lo Stato non ha visto ridurre la propria rilevanza nemmeno con l’emergere del paradigma di San Francisco, ossia la creazione delle Nazioni Unite come organizzazione sovranazionale atta a dare vita a una collaborazione civile tra nazioni, cui seguirà la nascita di numerose altre organizzazioni similari: questo per il semplice motivo che a creare (e partecipare a) tali organismi sono gli Stati stessi, che mantengono il proprio ruolo di protagonisti, tanto che dal 1945, per effetto del combinato disposto tra decolonizzazione e spinta propulsiva dell’Onu, il numero di nazioni indipendenti è aumentato sino a quadruplicare. Il modello vestfaliano rimane essenzialmente centrale, seppure integrato da un proliferare di nuove entità sovranazionali e attori non statali; nemmeno l’Unione Europea, il più ambizioso tentativo di superarne i presupposti, ha raggiunto tale scopo.

Dal momento che lo Stato è l’attore principale, dotato di autorità coercitiva nel territorio controllato, allo stesso competono, in via potenzialmente illimitata, le prerogative necessarie per garantirsi la sopravvivenza. La possibilità dell’eccezione, ossia di decidere di spezzare l’ordinarietà, compete, in ultima istanza, proprio allo Stato, non ad altri attori; eccezioni di sicurezza nazionale, tutela dell’ordine pubblico e via dicendo sono tutte in capo a questo attore. Ad esempio, in Spagna, durante la crisi catalana del 2017, era il governo centrale che poteva prendere tutte le misure necessarie sotto l’ombrello dell’“ordine pubblico” o della tutela “dell’integrità della nazione” per fermare le spinte indipendentiste catalane, non viceversa; la regione di Barcellona non aveva alcun potere d’eccezione. Dopodiché, nonostante dal secondo dopoguerra si siano sviluppate Costituzioni rigide e sofisticati sistemi di pesi e contrappesi, tali garanzie soffrono comunque la realtà del potere effettivo che si nasconde dietro al cono d’ombra di concetti sfumati e malleabili come quelli di sicurezza e interesse nazionale.

La sicurezza nazionale, parte integrante e finanche essenziale del più ampio contenitore dell’interesse nazionale, è quella dello Stato e permette di derogare all’ordinario quando lo Stato stesso ritiene di doversi salvaguardare. Certo, c’è chi potrebbe obiettare che lo Stato è formato da uomini; questo è vero, e infatti De Gasperi non è Mussolini. Ma entrambi sono chiamati a guidare l’unico soggetto, espressione di una certa collettività, esistente nel panorama internazionale, che ha in sé stesso tutti gli strumenti per garantirsi l’esistenza. L’interesse nazionale, in questo senso, altro non è che la possibilità metagiuridica riconosciuta ai governanti di prendere tutte le misure possibili per garantire la sopravvivenza del soggetto statale stesso. Nel concreto, i singoli uomini potranno prendere misure sbagliate, che alla prova della Storia si riveleranno essere andate contro l’interesse del Paese. Ma non è questo il dato essenziale. Il dato concerne la semplice possibilità di prendere queste misure.

In altre parole, lo Stato, sia nella propria legislazione, che nel concreto esercizio del potere al di fuori della stessa, ha sempre in riserbo la possibilità di agire sotto l’ombrello dell’interesse nazionale. Lo può fare grazie proprio al dato normativo – come si è visto, sono centinaia le leggi o i regolamenti che menzionano tale categoria – altrimenti lo farà come esercizio del potere effettivo in momenti di crisi, da giustificarsi ex post per non recidere completamente con l’ordinamento preesistente o anche senza giustificazione, nei casi di creazione di un nuovo ordine.

L’interesse nazionale si sostanzia nella possibilità di prendere tutte le misure per la sopravvivenza dello Stato. È un interesse a sopravvivere come soggetto, a non scomparire, a garantirsi una continuità una volta radicatosi nelle profondità delle radici giuridiche, storiche, socioculturali. Questo passerà poi, nel concreto, attraverso la sicurezza – interna ed esterna – così come attraverso l’espansione economica, territoriale, culturale; attributi, tutti questi, che ineriscono più in generale alla stabilità e alla potenza dello Stato in relazione ad altri Stati, sì da evitare lacerazioni interne o interferenze esterne che ne compromettano la sopravvivenza. Come verranno perseguiti tali obiettivi, non è dato saperlo a priori: dipenderà dalle persone, dalle fasi storiche, dalle spettrali vicende del mondo. Vi può essere la parvenza di certi “interessi eterni”, per riprendere la citazione di Lord Palmerston, dettati da vincoli geografici, ma questo non è sufficiente a dare una definizione in positivo di interesse nazionale.

L’unico aspetto che conta è che uno Stato avrà sempre la possibilità di invocare il supremo interesse nazionale per garantirsi, quantomeno nelle intenzioni, la sopravvivenza. È un elemento imprescindibile, che determina il vero volto della sovranità. È la decisione che interferisce in via eccezionale nei rapporti tra privati, che impedisce l’esecuzione di un contratto internazionale, blocca ingressi o uscite nel e dal territorio statale, che si appropria di beni altrui, che invoca immunità e segretezza. È il potere sovrano, nonché il soggetto che ci accompagnerà in queste pagine.

Scritto da
Luca Picotti

Avvocato e dottorando di ricerca presso l’Università di Udine nel campo del Diritto dei trasporti e commerciale. Autore di “La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra Stati” (Luiss University Press 2023). Su «Pandora Rivista» si occupa soprattutto di temi giuridico-economici, scenari politici e internazionali.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila!

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, è anche possibile regalare l’abbonamento. Grazie!

Abbonati ora

Seguici