La libertà viene di solito, e a ragione, invocata a proposito delle rivendicazioni e delle difese dei “diritti” dell’uomo: diritto alla vita, alla salute, all’istruzione, alla proprietà, a muoversi e ad associarsi, a difendere le proprie opinioni, e così via. Meno di frequente, ma doverosamente, la libertà viene messa a confronto con le “responsabilità”: responsabilità di fronte alle azioni compiute, responsabilità di fronte alle scelte fatte o da fare, responsabilità sulla verità di quello che si dice e sulle testimonianze che si rendono, responsabilità in quanto dovere di rispondere delle proprie libere azioni. Ma, meno di frequente ancora, ci si chiede in che cosa consista la libertà, quale sia il suo fondamento e la sua definizione, quali siano i diversi tipi di libertà, quali le sue possibilità e i suoi limiti. Ma è proprio a questo proposito che ci si presentano gli interrogativi più impegnativi: in che cosa consiste la libertà? L’uomo è davvero libero di fronte ai condizionamenti psicologici, sociali, e politici, di fronte all’uso delle tecnologie e di fronte agli apparati burocratici a cui è continuamente sottoposto?
Nell’impossibilità di compiere a questo proposito un’indagine storica esauriente, proviamo ad esaminare alcuni aspetti più comuni di questo fenomeno e cerchiamo di individuare le forme principali di libertà che possiamo distinguere al suo interno. Libertà viene comunemente intesa come la condizione di un soggetto che può agire senza costrizioni o impedimenti ed è in grado di determinarsi secondo una scelta autonoma in vista dei fini e dei mezzi adatti a conseguirli. Ora, che cos’è che rende tale soggetto idoneo ad agire liberamente, a scegliere i fini da conseguire e i mezzi adeguati a realizzarli?
Due condizioni della libertà
Crediamo che si debbano presupporre almeno due condizioni che stanno alla base di un’azione libera: la prima, di carattere ontologico, è che essa appartiene al campo della contingenza; la seconda, riguardante la psicologia, è che essa sia cosciente.
Per quanto riguarda la prima condizione, diciamo in primis che l’azione libera è contingente, in quanto dotata di una certa indeterminazione, e questo perché chi agisce liberamente può compiere o non compiere una determinata azione, e scegliere tra le diverse possibilità. A questo proposito, gli scolastici distinguevano in primo luogo il contingente (ciò che è ma può non essere) dal necessario (ciò che necessariamente è ciò che è). All’interno, poi, del contingente si potevano considerare i seguenti casi: quello che capita il più delle volte (un fenomeno naturale o un fatto dipendente da cause precise); quello che capita raramente (l’eccezione a una regola o ad una legge naturale); e infine quello che prevede a pari merito la possibilità che qualcosa possa compiersi o non compiersi, che possa realizzarsi in un modo o in un altro. Le azioni umane appartengono fondamentalmente a quest’ultimo tipo di contingenza; e diciamo che vi appartengono fondamentalmente, perché chi agisce non può rimanere nella condizione di non decidere per non togliersi dalla contingenza e rimanere libero: chi agisce virtuosamente lo fa per una disposizione al bene che gli permette di comportarsi “il più delle volte” secondo tale disposizione; questa disposizione dà stabilità e determinazione al suo agire, orienta e rafforza la sua libertà, ma non gli impedisce di agire diversamente. Così, quando obbediamo a un comando o ad una legge ci obblighiamo a farlo liberamente e il valore delle nostre azioni è dovuto appunto al fatto che siamo liberi; e se trasgrediamo a un comando o ad una legge, siamo punibili perché lo abbiamo compiuto liberamente, mentre le azioni di chi è costretto o assoggettato nel suo agire non sono più azioni libere.
Nella libertà umana, allora, possiamo distinguere: la libertà di esercizio, che riguarda il potere di esercitare o di non esercitare una determinata azione; la libertà di specificazione, che è il potere di scegliere una cosa piuttosto che un’altra; la libertà di contrarietà, che è quella che ci permette di scegliere sia il bene che il male[1]. In base a tali distinzioni, potremo individuare le diverse possibilità del libero agire, ma anche i diversi limiti e gli impedimenti che si frappongono alla realizzazione di una piena libertà.
La seconda condizione per agire liberamente è che un’azione può essere libera se è cosciente, cioè se il soggetto che la compie è consapevole e padrone di quello che fa. La consapevolezza, poi, dipende dalla capacità di riflessione e dalla possibilità di distinguere un bene particolare dalla tendenza a soddisfare se stessi nella felicità, che è un bene pieno e universale, senza confini e senza limiti. Spieghiamoci meglio. La coscienza (cum-scientia) è la capacità, specificamente umana, non solo di conoscere le cose che ci circondano, ma di ripiegarsi su se stessa e di ri-conoscere gli atti che vengono compiuti. Quando vediamo o pensiamo qualcosa o quando agiamo, nello stesso tempo e con lo stesso atto, se siamo coscienti, siamo anche consapevoli di quello che conosciamo o di quello che facciamo. E tale consapevolezza risale fino a renderci auto-coscienti, vale a dire consapevoli del nostro proprio io, cioè che siamo noi gli autori e i soggetti di queste nostre azioni. È questa che noi chiamiamo “riflessione”, cioè la capacità di oggettivare e di considerare a parte quello che compiamo, di misurarlo e di valutarlo, di attribuirlo a noi stessi, e di organizzarlo e sistemarlo all’interno della nostra coscienza, come facciamo in tutte le discipline scientifiche, dalla logica e dalla matematica fino alla morale e alla tecnologia. È questo lo spazio indefinito e universale dove compiamo le nostre azioni e facciamo le nostre scelte particolari.
Quello che desideriamo o decidiamo, poi, lo perseguiamo “per” qualcosa d’altro, come mezzo “per” raggiungere un determinato fine particolare, e questo fine particolare non ci soddisfa pienamente se non è adeguato a quel fine universale che è un bene che appaga completamente ogni nostro desiderio, in quanto non ci è possibile desiderare nient’altro al di là di esso, ed è quello che chiamiamo felicità. È per questo motivo che diciamo di essere liberi, cioè indeterminati, di fronte alla possibilità di scegliere un mezzo o un altro “per” un determinato fine, e che il raggiungimento di uno scopo particolare ci rende insoddisfatti, perché non appaga mai completamente il nostro illimitato desiderio di felicità, che è tale se non può mai essere perso o impedito. È questo il motivo per cui, se siamo liberi di fronte alle singole scelte da compiere o alle mete particolari da conseguire, è perché ci sentiamo limitati e irrealizzati di fronte allo sconfinato spazio di una perfetta e completa realizzazione di noi stessi. Diceva il poeta Johann Peter Hebel, che l’uomo è come una pianta, che ha le radici piantate per terra (il mondo delle cose all’interno delle quali viviamo e si muoviamo), e i rami rivolti al cielo (lo spazio libero, illimitato e infinito che ci permette di uscire dalle cose, da noi stessi e all’interno del quale compiamo le nostre libere, ma limitate scelte)[2]. Non possiamo staccarci dalla terra, dai limiti e dai condizionamenti della nostra natura umana, ma non possiamo fare a meno di protenderci verso la libertà, senza abbandonare la terra sulla quale ci dobbiamo fondare per elevarci al cielo.
Alcune considerazioni sulla libertà
Poste tali premesse, consideriamo il fatto che, confrontandoci con la realtà della nostra condizione umana, ci rendiamo conto delle grandi difficoltà di distinguere tra libertà e necessità, e di individuare le possibilità concrete, i limiti e gli impedimenti che incontriamo nell’esercizio di tale libertà. Nel campo sterminato delle questioni riguardanti questo argomento, segnaliamo solo alcuni problemi che emergono dalle considerazioni fatte finora.
La libertà e la contingenza
Il primo problema riguarda appunto la dimensione della contingenza: siamo liberi se non siamo costretti e necessitati, se ci muoviamo e viviamo nel campo delle possibilità, se tutto dipende da una nostra libera scelta. Ma non abbiamo scelto di nascere e non siamo liberi di fronte alla necessità di dover morire. Le nostre possibilità di scegliere sono, dunque, limitate dalla nostra natura umana, che ci limita e ci impone le sue leggi. Non siamo liberi se ci liberiamo e alieniamo dalla nostra natura umana, ma se prendiamo coscienza dei nostri limiti ed esercitiamo la libertà attraverso le possibilità che ci vengono date.
L’anelito verso la libertà, tuttavia, è dimostrato anche dalla nostra volontà e capacità di superare i limiti e i condizionamenti della natura attraverso la capacità di trasformare noi stessi e l’ambiente in cui viviamo. La capacità di muoverci con i mezzi di locomozione, di comunicare con gli strumenti dell’informazione, di ripararci e di difenderci dalle avversità atmosferiche e di sostituire con le macchine la forza delle braccia nelle fatiche del lavoro, sono questi alcuni dei tanti modi inventati dall’ingegno umano per liberarsi dai condizionamenti e dai limiti imposti dalla natura. Con la cultura e le tecnologie noi uomini abbiamo aumentato, e stiamo aumentando, a dismisura lo spazio delle nostre possibilità e conseguentemente della nostra libertà. Ma questa capacità non è illimitata e si basa in primo luogo sulla conoscenza e il rispetto della natura, dalla quale traiamo le potenzialità e le risorse che essa ci mette a disposizione e con la quale dobbiamo armoniosamente vivere.
La tecnologia ci offre una grande libertà di esercizio nei confronti della natura, ma l’uso di questa libertà dipende dalle finalità che ci proponiamo (libertà di specificazione) e dalla nostra capacità di distinguere ciò che è utile da ciò che è dannoso, ciò che è finalizzato al raggiungimento di un bene da ciò che è causa di un male per l’uomo e l’ambiente in cui vive (libertà di contrarietà). Inoltre la tecnologia, quando prende il potere su noi stessi e ci rende passivi nei confronti del suo uso, o quando viene usata per dominare e condizionare la nostra coscienza, diventa “tecnocrazia” e non è più strumento di liberazione dai nostri bisogni, ma è causa di asservimento e di ostacolo alla realizzazione della nostra libertà[3].
La libertà e la coscienza
Ecco, allora, che la libertà non dipende solo dalle possibilità di esercitarla, ma dalla capacità di scegliere e di essere padroni dei propri atti. Il luogo dove tale libertà viene stabilita è quello della coscienza, dove possiamo riflettere sulle nostre azioni, attribuirle a noi stessi e giudicare sulla loro opportunità e il loro valore, in base a quello che riteniamo opportuno, giusto, vero e buono. È nella coscienza che noi prendiamo consapevolezza della nostra identità e della nostra dignità, dei nostri diritti e dei nostri doveri[4]. È nella coscienza che possiamo renderci conto di quello che spetta a noi e di quello che spetta agli altri nei nostri confronti, di quello che è giusto e di quello che è sbagliato nella nostra condotta, in quella degli altri e in quella della società in cui viviamo.
Libertà e vita pubblica
Veniamo allora a esaminare il ruolo che la libertà ricopre nella vita pubblica: nella vita sociale e in quella politica. La società è il luogo dove le singole persone stabiliscono i loro rapporti vicendevoli e dove perseguono un fine collettivo che è il bene comune. Il criterio per regolare e ordinare questi rapporti è quello della giustizia, nella quale distinguiamo le seguenti tre forme: la giustizia retributiva, che consiste nella volontà di restituire agli altri nella misura di ciò che si è ricevuto; la giustizia distributiva, che è la capacità di distribuire il bene comune secondo le necessità di ciascuno; la giustizia legale che riguarda ciò che l’individuo deve volere nei confronti della comunità. In tutti questi campi la nostra volontà non è libera di fare o non fare quello che vuole, ma deve orientare la propria libertà di scelta a voler dare “ciò che spetta a ciascuno”. La giustizia impegna ciascuno, ma anche chi è responsabile di una comunità, a ricercare e volere non solo ciò che è utile per se stesso, ma a garantire anche il bene degli altri, quello di ciascuno e quello dell’intera comunità. E in che cosa consiste questo bene? Quello che rispetta e promuove la dignità di ogni persona, la quale è soggetto di diritti e di doveri, conformi alla propria natura di uomo libero e responsabile.
Le organizzazioni internazionali hanno più volte e in diversi modi individuato e indicato questi diritti: pensiamo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, emanata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1948, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’anno 2009, alla Convenzione di Ginevra, del 1949, che voleva prevenire e regolare i diritti umanitari nei casi di guerra. La Chiesa cattolica ha aderito a queste proclamazioni[5], e ha riconosciuto che la forma di governo più adatta a garantire la libera partecipazione dei cittadini e quella democratica[6], ma queste dichiarazioni non sono state sottoscritte da tutti i governi e purtroppo dobbiamo constatare che il secolo che ci siamo lasciati alle spalle ha conosciuto le più alte proclamazioni dei diritti dell’uomo, ma anche i più gravi crimini contro l’umanità. E il secolo che stiamo vivendo non promette di essere migliore.
La libertà viene violata e impedita ogni volta che si ostacolano questi diritti, e lo si può fare in tante forme, dalle più aperte e manifeste a quelle più nascoste e insidiose, dalla violenza che sopprime la libertà con la forza, alle imposizioni politiche, economiche, finanziarie e burocratiche, fino alle più sottili tecniche di persuasione occulta. Questo dimostra una cosa: nonostante che i singoli cittadini e i governanti siano fondamentalmente a conoscenza di tutto quello che rende gli uomini liberi e responsabili, rimane sempre la possibilità che possano liberamente violare tali diritti o possano essere impediti a esercitarli. Queste solenni dichiarazioni, tuttavia, stanno di fronte alla nostra coscienza, perché, se le violiamo siamo consapevoli e responsabili di farlo, se siamo impediti a realizzarli, possiamo trovare la forza e la capacità, da soli o con altri, di farle rispettare.
[1] Cfr. San Tommaso d’Aquino, De veritate, q.22, a.6.
[2] «Siamo disposti o no ad ammetterlo, noi siamo piante che debbono crescere radicate nella terra, se vogliamo fiorire nell’etere e dare i loro frutti», J.P. Hebel, Werke, Wilhelm Altwegg (a cura di), III, Atlantis-Verlag, Zürich 1940, p. 314.
[3] Cfr. a questo proposito le parti importanti dedicate a questo problema nelle ultime encicliche pontificie: Caritas in veritate (nn. 68-77) di papa Benedetto XVI; Laudato si’ (nn. 101-114) di papa Francesco.
[4] Ecco come la Pacem in terris sottolinea il legame tra la libertà e i diritti dell’uomo: «La dignità di persona, propria di ogni essere umano, esige che esso operi consapevolmente e liberamente. Per cui nei rapporti della convivenza, i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall’esterno. Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse» (Pacem in terris, n. 17). Le sottolineature in corsivo sono di chi scrive.
[5] Cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Roma 2004, in particolare i nn. 152-159.
[6] Op. cit., n. 190.