Recensione a: Pierre Dardot e Christian Laval, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, DeriveApprodi, Roma 2019 (nuova edizione), pp. 450, 27 euro (scheda libro)
Scritto da Andrea Baldazzini
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Partirò con un’apparente banalità: l’oggetto del presente studio, portato avanti a quattro mani da Laval e Dardot (sociologo il primo, professore di filosofia il secondo), non rappresenta solo il tema filosofico per eccellenza, ma costituisce anche il principio fondante, l’atto costitutivo, dell’intera società occidentale moderna, ovverosia, la Ragione. Una Ragione che si è guadagnata la maiuscola conquistando la quasi totalità degli aspetti dell’esistenza individuale e collettiva, per usare un lessico habermasiano, colonizzando tanto la dimensione del ‘sistema’ quanto quella del ‘mondo della vita’ (Lebenswelt). Ma cosa si intende precisamente qui con ‘Ragione del mondo’ e in particolare con l’espressione ‘razionalità neoliberista’? Scopo di questa breve recensione vorrà essere da una parte la chiarificazione del significato di tali termini impiegati in riferimento ad un ambito che solo superficialmente è di carattere economico, dall’altra la messa in evidenza di alcune intuizioni chiave, che permettono una più ampia presa di consapevolezza sulla reale portata, per usare le parole degli autori, della disciplina neoliberista. Difatti, il merito più grande dell’opera è quello di porre la questione del neoliberismo in termini radicali, in termini cioè antropologici. Questo libro non è una scontata critica al capitalismo considerato come ideologia o come semplice sistema economico produttore di disuguaglianza, esso è qui «assunto nel suo essere una realtà sgombra da riferimenti arcaizzati e nel suo essere una matura costruzione storica»1. Quella che tentano gli autori è infatti una sfida davvero ardua: l’intenzione è di mappare il dispiegamento delle pratiche neoliberiste, di indicare una prima tassonomia degli atti riconducibili alla Ragione del capitalismo contemporaneo, e ciò tanto sul versante globale (es. creazione di un unico sistema di mercato ecc…) quanto su quello più intimo ed individuale. Proprio su questa seconda dimensione intenderò concentrare la mia attenzione, in quanto la realtà soggettiva rappresenta un’aspetto (quello poc’anzi definito come antropologico) praticamente sempre ignorato, ma a mio avviso davvero necessario se si vuole avere un’immagine quanto meno ‘finita’ delle reali dimensioni del monstrum.
Ora due parole sulla struttura del saggio. Esso è diviso in tre parti: la prima dedicata interamente alla ricostruzione storica della nascita del liberalismo attraverso una riflessione sul tema dei limiti del governo, una seconda in cui si vuole dimostrare la profonda frattura che segna la distanza tra il neoliberismo e la «versione dogmatica» del liberalismo (quello classico) affermatasi nel XIX, con un attenzione particolare a due eventi storici: Dardot e Laval sostengono infatti che il congresso Walter Lipmann tenutosi nel 1938 e la costruzione della Comunità Europea rappresentino due momenti fondamentali per la definizione del sistema neoliberista. Nel ’38 viene stabilita l’origine non naturale del mercato, ma politico-culturale, mentre per quanto riguarda l’Europa gli autori affermano che essa abbia trovato una sua fondazione sui principi della nuova governance e a questo proposito riportano i quattro cardini fondativi del sistema economico interno2 (di per sé già abbastanza esplicativi): flessibilità di salari e prezzi, riforma del sistema pensionistico, promozione dello spirito d’impresa e lotta contro le dottrine che instillano scetticismo verso i valori liberali. Infine vi è la terza parte (quella a mio avviso più originale e a cui dedicherò più attenzione) che verte sulle forme di soggettività prodotte dalla razionalità neoliberista. Bisogna poi osservare come le prime due parti della ricerca ricalchino da vicino l’impostazione data da Foucuault, uno e forse il più importante personaggio di riferimento per Dardot e Laval, al corso che tenne al Collège de France tra il 1978 e il 1979, poi raccolto e tradotto in italiano con il titolo Nascita della biopolitica. Si può dire infatti che il presente studio sia una sorta di approfondimento e aggiornamento della tematica biopolitica, portata avanti grazie a un metodo multidisciplinare e a uno sguardo sempre attento alle «forze implicite» che passano dietro ai grandi e piccoli «fatti politici». Un secondo autore da tenere in considerazione, anche perchéespressamente citato, è Habermas con la sua Teoria dell’agire comunicativo (in particolare il sesto capitolo dedicato all’intromissione di istanze economiche e burocratiche all’interno degli ambiti della vita finora rimasti esclusi da tali logiche strumentali e d’interesse). L’importante qui è avere chiaro come l’interesse di Dardot e Laval, lo stesso anche per Foucault e Habermas, si concentri sul mutamento di paradigma manifestato dal Potere, un Potere che inizia ad interessarsi del dominio sui corpi in una maniera nuova, estremamente razionale, senza più esibizionismi o violenze manifeste, preferendo modalità occulte e implicite che portano, come dicono gli autori, a far sì che il soggetto stesso diventi il produttore e controllore delle norme di disciplinamento di cui il dominante abbisogna. Foucault scrive: «la nuova economia, di impianto neoliberista, non ha più il compito di analizzare il meccanismo relazionale tra cose o processi, come il capitale, l’investimento, la produzione ecc… essa deve invece analizzare un comportamento umano e soprattutto la razionalità interna a tale comportamento»3. È poi costante anche il confronto con Weber e Bentham ma qui non si ha lo spazio per approfondire. Nella prefazione Paolo Napoli definisce questo libro una «genealogia del presente» e non a torto. Il punto di tutta la riflessione sta infatti nell’assumere il neoliberismo non come una semplice ideologia o politica economica, ma nel considerarlo prima di tutto come una vera e propria forma di vita che struttura la totalità della soggettività di ognuno.
Fornita un’inquadratura generale del saggio è ora doveroso entrare un po’ più nel dettaglio delle argomentazioni, e iniziamo con il fornire tre brevi definizioni-guida: con il termine Ragione si deve qui intendere una precisa logica normativa globale, ovverosia un’insieme ben strutturato di procedure coercitive (1), mentre con razionalità si intende la somma delle strategie neoliberali funzionali all’espansione e al rafforzamento di tale Ragione (2). Ritengo sia poi interessante sottolineare come gli autori considerino tale razionalità una «razionalità governamentale», cioè un’insieme di strategie dal carattere eminentemente politico, che portano alla generalizzazione della concorrenza quale norma di comportamento e dell’impresa come modello di soggettivazione. Il neoliberismo è infatti definito: «l’insieme dei discorsi, delle pratiche, dei dispositivi che determinano una nuova modalità di governo degli uomini secondo il principio universale della concorrenza»4 (3). E qui entra il gioco una delle questioni più interessanti, il neoliberismo è affrontato a partire da una riflessione politica sul modo di governo, esso è assunto come una vera e propria ragione governamentale rappresentante l’insieme «dei procedimenti volti a dirigere la condotta degli uomini mediante l’amministrazione statale». Anche il concetto di governo è mutuato dalla riflessione foucaultiana che lo concepisce non nei termini di un’istituzione, ma nei termini «dell’attività che consiste nel guidare la condotta degli uomini entro un quadro e mediante gli strumenti statuali dati»5. Come preannunciato, la questione arriva ad assume tratti antropologici, la critica viene rivolta alle molteplici strategie attraverso cui si intende «condurre la condotta degli uomini», cioè ai modi di governo che tentano di plasmare l’individuo trasformato da cittadino a imprenditore di sé. Ancora Foucault scriverà: «chiamo governamentalità quell’incontro tra tecnologie di dominio esercitate sugli altri e tecnologie del sé»6. Il punto quindi sta nel riconoscere l’esistenza di una precisa volontà politica che intende «trasformare il sociale in funzione del finanziario», la corporeità umana in un astratto oggetto di speculazione; bisogna rendersi conto che a dover essere affrontata è una «ragione che fa mondo» e quindi fa uomini.
Concepire la questione del neoliberismo a partire da una riflessione politica sul modo di governo non poi privo di un impatto sulla comprensione. Tale impostazione consente prima di tutto di smascherare quello che gli autori chiamano «errore diagnostico», ovverosia l’analisi semplicistica che intende il neoliberismo come una estremizzazione del principio del laissez faire, e del ritiro dello stato di fronte al mercato. Dardot e Laval affermano piuttosto che siano gli Stati ad aver introdotto e universalizzato nell’economia, nella società e nella soggettività la logica della concorrenza e del modello d’impresa. La crisi mondiale — affermano — é una crisi «della governamentalità neoliberista, ovvero di una modalità di governo delle economie e delle società basata sulla mercatizzazione»7. A seguire, gli autori mettono in evidenza quelli che ritengono essere gli aspetti decisivi della ragione neoliberista: 1) al contrario di quello che affermano gli economisti classici, il mercato non è un dato naturale ma una realtà costruita, che come tale richiede l’intervento attivo dello Stato e la realizzazione di un sistema di diritto specifico. 2) L’essenza del nuovo ordine del mercato non sta nello scambio ma nella concorrenza, che diventa la nuova norma di punta delle pratiche economiche. 3) Lo stato non è più semplicemente il guardiano che vigila sugli agenti economici o il mero produttore del quadro delle regole da rispettare, ma arriva ad essere esso stesso sottoposto nella propria azione alla norma della concorrenza. Lo stato deve allora considerarsi come un’impresa sia nel suo funzionamento interno che nelle sue relazioni con gli altri stati. 4) L’esigenza di universalizzazione della norma di concorrenza supera di molto le frontiere dello Stato e tocca direttamente gli individui nel loro rapporto con se stessi. L’impresa è promossa al rango di modello di soggettivazione: siamo tutti imprese da gestire e capitali da far fruttare. L’intera terza parte del saggio è così volta all’analisi del carattere disciplinare del neoliberismo, cioè alla messa in luce delle modalità attraverso cui concretamente e storicamente i suddetti principi neoliberali trovano un’applicazione su scala individuale e mondiale. Questa terza parte è poi suddivisa in ulteriori quattro paragrafi volti alla messa in luce di quelli che sono propriamente gli aspetti della prassi neoliberista: il primo affronta la relazione di sostegno reciproco tra politiche neoliberiste e trasformazioni del capitalismo, il secondo la lotta ideologica che ha accompagnato la svolta neoliberista e che ha assunto la forma di una critica sistematica dello stato previdenziale, il terzo riguarda le varie tecnologie del sé: la semplice conversione delle menti, dicono gli autori, non è sufficiente, bisogna ottenere una trasformazione dei comportamenti attraverso tecniche e dispositivi di disciplina sia economici che sociali, con l’obiettivo di portare gli individui a governarsi autonomamente sotto la pressione della competizione e concorrenza, il quarto concerne l’estensione di tali sistemi disciplinari che, uniti alla loro codificazione istituzionale, creano una razionalità generale capace di imporsi come unico quadro della condotta umana.
Volendo concludere ci tengo a ribadire che, con il neoliberismo, ad essere in gioco «è né più né meno che la forma della nostra esistenza, cioè il modo in cui siamo portati a comportarci, a relazionarci agli altri e a noi stessi. Esso impone a ognuno di vivere in un universo di competizione generalizzata organizzando i rapporti sociali secondo un modello di mercato, fino a convincere l’individuo a concepirsi come una vera e propria impresa»8. Ad essere in gioco è insomma il processo di formazione antropologica dell’intera identità individuale e collettiva, un processo che, come tentano di dimostrare gli autori, è prima di tutto politico. Qui, temi come la ragione (cardine della modernità e della nostra società occidentale) e la democrazia trovano un’originale mescolamento, Dardot e Laval affrontano la critica e lo smascheramento dei «processi occulti di dispiegamento del Potere» sempre con un atteggiamento ricostruttivo. Attraverso questo studio ritengo sia poi possibile leggere con maggiore finezza anche fenomeni preoccupanti che bussano con sempre più insistenza alle porte dell’Europa. Mi riferisco per esempio al monito lanciato da Nadia Urbinati a proposito «della transizione ungherese dalla democrazia liberale alla democrazia putiniana»9 o più in generale alla trasformazione in senso autoritario delle democrazie, che vogliono molto capitalismo e pochi intralci giuridici, offrendo in cambio un presunto benessere e sicurezza. É dal cuore della nostra Europa che sta infatti partendo un esperimento di «democrazia illiberale», ovvero una tipologia di governo che unisce l’esasperazione della razionalità neoliberista (non più del tutto sostenibile) con una leadership dirigista, decisionista a cui non interessano i diritti civili avendo quale unico obiettivo il successo, anche a costo di forzare le procedure. In netta contrapposizione con tutto questo Dardot e Laval concludono il libro con quello che non è solo un auspicio, ma un vero e proprio progetto politico (peraltro oggetto del loro ultimo libro appena uscito in Francia con il titolo Commun, essai sur la révolution au XXI° siècle): «Il governo degli uomini può fondarsi su un governo di sé che si apra a rapporti con gli altri che non siano quelli della concorrenza tra attori imprenditori di se stessi. Le pratiche di comunizzazione del sapere, di mutua assistenza, di lavoro cooperativo possono disegnare le linee di un’altra ragione del mondo. Non la si potrebbe designare meglio: la Ragione del comune»10. Se poi dovessi scegliere un motto per riassumere l’intero lavoro qui presentato questo mi sembrerebbe il più adeguato: «La ragione è sempre esistita, ma non sempre in forma ragionevole»11.
1 Dardot Pierre, Laval Christian, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Roma: DeriveApprodi, 2013. p. 19.
2 Questi principi sono stati pronunciati dal commissario europeo per il mercato interno e la fiscalità nel 2000.
3 Foucault Michel, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France 1978-1979, Milano: Feltrinelli,2005. p. 183
4 Dardot Pierre, Laval Christian, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Roma: DeriveApprodi, 2013. p. 14
5 Ivi. p. 164
6 detti e scritti pag. 276
7 Dardot Pierre, Laval Christian, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Roma: DeriveApprodi, 2013. p. 20
8 Ivi. p. 16
9 Repubblica 6 agosto, articolo p. 29.
10 Dardot Pierre, Laval Christian, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Roma: DeriveApprodi, 2013. p. 492
11 Horkheimer Max, Eclisse della ragione, Torino: Einaudi, 2000. p. 77