“La nuova Unione dell’Energia” di Andrea Péruzy e Simona Benedettini
- 23 Aprile 2024

“La nuova Unione dell’Energia” di Andrea Péruzy e Simona Benedettini

Recensione a: Andrea Péruzy e Simona Benedettini, La nuova Unione dell’Energia. La politica energetica dell’Unione Europea nello scenario geopolitico, prefazione di Stefano Lucchini e postfazione di Aronne Strozzi, Luiss University Press, Roma 2023, pp. 132, 15 euro (scheda libro)

Scritto da Giuseppe Palazzo

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Le fonti e le tecnologie usate per estrarne energia e convertirla in altri vettori energetici (ad esempio l’elettricità) o in lavoro (ad esempio per alimentare un veicolo) determinano come svolgiamo le attività quotidiane e realizziamo i processi industriali. L’energia è al centro del funzionamento di una società e i suoi sviluppi tecnologici segnano la civiltà umana. Ciò è ancora più vero per una delle organizzazioni politiche e sociali più all’avanguardia della storia, ovvero l’Unione Europea: dalla CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) fino al progetto di diventare il primo continente a emissioni nette zero entro il 2050. Ed è ancora più vero negli ultimi anni, segnati dall’attacco russo in Ucraina. Si tratta della «radice energetica dell’integrazione (e della pace) europea»[1].

Su questi temi Luiss University Press ha pubblicato diversi libri negli ultimi anni, tra cui La nuova Unione dell’Energia di Andrea Péruzy, ex presidente e amministratore delegato di importanti società pubbliche di settore, tra cui il Gestore dei Mercati Energetici e Acquirente Unico, e di Simona Benedettini, economista e consulente esperta di politiche energetiche.

Il volume affronta le politiche energetiche dell’Unione Europea dal Green Deal del 2019 fino a maggio 2023, parte della strategia “Unione dell’Energia” adottata nel 2015. A questa analisi il libro accompagna approfondimenti sui diversi provvedimenti, sia europei sia nazionali, italiani e non, consentendo a chi legge, in base all’interesse, di poter andare nel dettaglio. Gli autori sottolineano le tendenze che accomunano le varie misure, alle cui ambizioni spesso corrispondono contraddizioni e idiosincrasie di fondo, esasperate dalla crisi energetica dovuta all’invasione dell’Ucraina. Contraddizioni che minano la realizzazione dell’Unione dell’Energia così come descritta in origine a favore di una “nuova Unione dell’Energia”.

Al focus sulle politiche segue quello sulla politica, essendo la transizione energetica una dimensione importante di un’altra transizione, quella verso un nuovo bipolarismo tra Stati Uniti e Cina, in competizione per l’accesso a materie prime e tecnologie. E la transizione di potere, con le sue tensioni attuali, non agevola quella energetica. Nella postfazione Aronne Strozzi scrive: «Si sentiva davvero l’esigenza di un contributo che tracciasse le coordinate di questa nuova geografia del potere, che pone l’Europa di fronte all’ennesimo dilemma: da una parte rispondere alle esigenze di sicurezza e dall’altra difendere i suoi imperativi normativi per i target climatici […]. Un equilibrio fragilissimo e su cui si gioca la leadership, la competitività e il benessere dell’Europa. E non ultimo la sua identità come progetto politico» (p.117). Da una nuova Unione dell’Energia a una nuova Unione Europea.

L’Unione dell’Energia è stata adottata per perseguire tre obiettivi: 1) l’indipendenza energetica; 2) il contrasto al cambiamento climatico; 3) la realizzazione di un quadro di norme comuni per l’energia. L’attuazione della strategia è stata portata avanti tramite interventi successivi, che hanno via via alzato gli obiettivi di decarbonizzazione, rispondendo anche alle crisi. Si rammentano, a titolo esemplificativo, il Green Deal, che fissa l’obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050, e il Next Generation EU, che integra il percorso verso la decarbonizzazione nelle misure per contrastare i danni causati dalla pandemia e sostenere la ripresa.

Il libro si concentra soprattutto sul piano REPowerEU, presentato dalla Commissione Europea il 18 maggio 2022 in risposta all’attacco russo a Kyiv per imprimere un’ulteriore accelerazione alla decarbonizzazione, vista la necessità di affrancarsi dal principale fornitore di gas. Il piano, tra le altre cose, fissa, per il 2030, la riduzione dei consumi energetici al -13% e la quota di rinnovabili da conseguire nel mix energetico al 45%. Obiettivi ambiziosi, «sul Piano REPowerEU si giocherà la capacità dell’Unione Europea di promuovere un percorso di decarbonizzazione condiviso dagli Stati Membri e che permetta di conciliare l’obiettivo della sostenibilità con quelli della sicurezza energetica e dell’accesso all’energia a prezzi ragionevoli» (p. 63). Un percorso i cui esiti potrebbero segnare nuovi momenti di svolta nella storia dell’integrazione europea, o della sua disgregazione.

Obiettivi comuni importanti richiedono misure comuni importanti. L’agire coordinati, come Unione Europea e non come singoli Stati, è centrale. Ma, secondo gli autori, la crisi energetica dovuta all’aggressione dell’Ucraina nel febbraio 2022 ha ridotto il coordinamento tra i Paesi membri. La guerra ha sconvolto tutte le agende. Nel 2021 l’Unione Europea dipendeva da Mosca per il 45% delle sue importazioni di gas, 155 miliardi di metri cubi, di cui il 22% importato dalla Germania e il 19% dall’Italia. A fine 2022 le importazioni sono scese a 67,6 miliardi di metri cubi, tra tagli effettuati dalla Russia e sforzi europei per rendersi autonomi dal “nuovo” rivale[2]. I prezzi registrati sul TTF (il mercato olandese, punto di riferimento in Europa) sono passati da 55 €/MWh (euro a megawattora) medi del 2021 a 150 €/MWh medi del periodo febbraio 2022 – febbraio 2023, con un picco nell’agosto 2022 di 339,15 €/MWh. Nel 2023 i prezzi sono tornati a valori precrisi (30 €/MWh a maggio) grazie alla riduzione dei consumi per contenere i costi, a un inverno mite e alla rapida sostituzione della Russia con altri fornitori, soprattutto tramite il gas naturale liquefatto, in primis Stati Uniti e Paesi africani. I prezzi alle stelle del 2022 hanno colpito duramente le economie europee, determinando circa il 40% dell’incremento dell’inflazione, cresciuta dal 5,1% di gennaio al 10,6% di ottobre 2022, fino al 9,8% di febbraio 2023.

Gli Stati membri hanno preso rapidamente diverse misure per contenere i costi per imprese e cittadini. Gli autori distinguono le tipologie di interventi nazionali, facendone una breve ma densa disamina: dagli interventi per contenere la spesa energetica dei consumatori (fra cui la riduzione di IVA e altre imposte) fino al recupero degli extra-profitti delle imprese energetiche (a danno spesso di impianti rinnovabili e nucleari), dai limiti posti alla formazione dei prezzi dell’energia fino a nuovi interventi infrastrutturali, in particolare nuovi rigassificatori e gasdotti[3]. Bisogna ricordare anche il maggior ricorso fatto al carbone, per ridurre l’uso del gas.

Per alcuni tipi di interventi gli Stati si sono mossi in modo omogeneo, ma non per quanto riguarda, soprattutto, l’approvvigionamento di energia per sostituire il gas russo e il supporto a famiglie e imprese. Sul primo tema, muoversi in ordine sparso ha ridotto il peso contrattuale dell’Unione Europea rispetto ai fornitori esterni, mentre in merito al supporto a famiglie e imprese ogni Stato ha fatto ciò che ha potuto, concedendo aiuti per diverse percentuali del PIL, dal 7,4% della Germania (264,6 miliardi di €) al 3,4% della Spagna (40 miliardi di €), passando per il 5,2% dell’Italia (92 miliardi di €). Queste diverse disponibilità comportano un impatto eterogeneo sulla competitività delle imprese, sul potere di acquisto delle famiglie e sulle possibilità di crescita, ostacolando, inoltre, il raggiungimento di un accordo sui meccanismi di finanziamento europei: vi sono Paesi, coi conti più in ordine che hanno già erogato aiuti significativi, poco inclini a condividere risorse a favore degli altri.

Gli autori sottolineano non solo la scarsa omogeneità delle politiche dei singoli membri, ma anche la scarsa tempestività ed efficacia degli interventi europei. La guerra in Ucraina inizia a febbraio 2022. La prima misura vincolante risale a giugno 2022, i cui effetti si riscontrano non prima dell’autunno, e solo ad agosto si giunge a un accordo su interventi armonizzati e con efficacia immediata contro il caro prezzi. Un chiaro esempio delle difficoltà delle politiche europee riguarda il meccanismo per limitare i prezzi all’ingrosso del gas. È stato approvato faticosamente a dicembre 2022, quasi dieci mesi dopo l’inizio del conflitto. Ne deriva quello che sembra un esercizio teorico: il meccanismo, in vigore dal 1° febbraio 2023, può attivarsi solo al verificarsi di improbabili condizioni di prezzo e di tempistiche e prevede una serie di deroghe: non è mai stato attivato.

Il libro sottolinea con preoccupazione anche la tendenza a ridurre il ruolo del mercato nella fissazione dei prezzi. Tendenza riscontrabile sia in alcuni interventi nazionali – anch’essi non coordinati – sia nella bozza di riforma del mercato elettrico europeo, di marzo 2023. Questa riforma intende introdurre importanti novità, ben accolte nel loro impianto generale dagli autori, nonché dalle principali associazioni di stakeholder[4]. Si tratta dell’uso dei contratti di acquisto e vendita dell’elettricità a lungo termine, per contrastare la volatilità dei prezzi, e dell’erogazione di servizi di flessibilità tramite stoccaggi e modulabilità della domanda[5], al fine di gestire il sistema elettrico in modo più efficiente e con più rinnovabili.

La riforma intende introdurre anche la possibilità di limitare i prezzi di elettricità per famiglie e imprese, consentendo di praticare prezzi inferiori ai costi di produzione, a fronte di un compenso pubblico ai fornitori. Per quanto si tratti di misure percorribili in condizioni di crisi e per un tempo limitato, gli autori sottolineano il rischio di un abuso di questi strumenti. Inoltre, i segnali di prezzo, se efficienti e non distorti, costituiscono il meccanismo migliore per indirizzare gli investimenti. Ad esempio, prezzi alti in una data area geografica possono indicare la necessità di introdurvi capacità aggiuntiva in termini di produzione da rinnovabili o di infrastrutture di rete. Anche i consumatori gestiscono in modo più efficiente l’energia in base ai prezzi. Péruzy e Benedettini sostengono che le deroghe alle libere dinamiche di prezzo dovrebbero limitarsi alla tutela delle fasce meno abbienti e alle esigenze strategiche di più ampio respiro. Inoltre, in certi casi è necessario investire in nuove infrastrutture e in ricerca e innovazione anche quando i prezzi dell’energia sono bassi e non consentono un veloce rientro dei costi.

La mancanza di coordinamento ed efficacia dell’azione dell’Unione Europea in ambito energetico viene richiamata negli ultimi capitoli come elemento di debolezza a livello internazionale. Ogni attore porta avanti i suoi programmi per la transizione, tenendo sempre in considerazione il proprio ruolo e peso nelle filiere globali. Peso che si cerca di preservare o aumentare, diventando, da una parte, il più possibile autonomi nel soddisfare la propria domanda di energia e di tecnologie e, dall’altra, di essere indispensabili interlocutori per gli altri Paesi, in quanto fornitori importanti di materie prime o di beni intermedi.

Si tratta di un gioco di equilibrismo tra la necessità di cooperare, per realizzare la transizione rapidamente e a costi ragionevoli[6], e quella di competere, per non dipendere da Paesi distanti geograficamente o politicamente. Da un lato, la transizione, come spiega anche la International Energy Agency (IEA), è sinonimo di sicurezza, energetica[7] e non, dato che le rinnovabili ci emancipano dagli idrocarburi russi e sono la via per evitare un aggravarsi della crisi climatica. Dall’altro, le tecnologie per lo sfruttamento delle rinnovabili richiedono materie prime e dispositivi la cui filiera ha basi operative e politiche altrove, soprattutto in Cina. Non è un gioco facile per attori con una soggettività politica consolidata, lo è anche meno per chi ne è privo, come l’Unione Europea.

Péruzy e Benedettini ritengono che l’Unione Europea possa migliorare la propria situazione e costituire davvero il modello della decarbonizzazione solo se riesce a sviluppare una capacità industriale europea per produrre le tecnologie necessarie alla transizione e gestire in modo circolare le risorse critiche. A queste esigenze vogliono rispondere il Net-Zero Industry Act, il Critical Raw Materials Act e il Temporary Crisis and Transition Framework, che introduce deroghe affinché i Paesi membri possano concedere aiuti di Stato con maggiore facilità e di maggiore entità[8].

Un altro impegno fondamentale è la gestione efficace delle relazioni coi Paesi limitrofi, in particolare nel Mediterraneo, di cui l’Unione Europea ha bisogno per soddisfare la propria domanda di gas in mancanza delle importazioni russe. E «l’Italia può ambire a rappresentare un ponte fisico, politico ed economico, tra Europa, Medio Oriente e Africa favorendo sia la leadership europea nel percorso di decarbonizzazione del settore energetico sia il canale privilegiato attraverso cui promuovere la diversificazione delle fonti di approvvigionamento di gas naturale e, conseguentemente, la sicurezza energetica» (p. 99). Infine, gli autori aggiungono che darsi «obiettivi di decarbonizzazione più realistici» mitigherebbe la dipendenza europea dall’estero per materiali, risorse e tecnologie (p. 112-113).

Gli spunti nelle ultime pagine del libro sono tanti e non è possibile approfondirli qui. Ci si permette però, concludendo, un’ultima riflessione. Diversificare fornitori e vie di approvvigionamento è necessario oggi. Tuttavia, anche il metano impatta. Resta in atmosfera una dozzina d’anni, e non secoli come la CO2, ma riscalda l’atmosfera 28 volte di più dell’anidride carbonica[9]. Anche il gas deve essere accantonato entro il 2050, stando agli impegni presi dall’Unione Europea e condivisi alla COP28 di Dubai[10]. Puntare su un ruolo dell’Italia come hub del gas rischia di rispondere più a esigenze di breve termine e meno a esigenze future, lasciando che il “ponte fisico, politico ed economico” diventi prematuramente oggetto di archeologia.

Occorre valutare quale messaggio manderebbe una riduzione dell’impegno per la decarbonizzazione, quanto agevolerebbe noi europei nel renderci più autonomi per le risorse e le tecnologie, quanto ci costerebbe in termini di impatti climatici nel medio-lungo termine, quanto le fasce più deboli beneficerebbero di una transizione “veloce” gestita in modo più redistributivo o da una transizione con tempi più lunghi.

Di nuovo, è il gioco dell’equilibrismo tra diverse esigenze, tra soddisfare la domanda di energia di oggi e sviluppare gli asset necessari per la transizione, con un occhio alla protezione delle rendite di posizione odierne e un altro alla posizione futura, sia sulle mappe della politica e dell’economia internazionale, sia sulle mappe delle temperature e degli eventi atmosferici estremi. L’Unione Europea non è solo l’Unione dell’Energia, così come la transizione ecologica non è solo la transizione energetica. Ma ne è un bel pezzo.


[1] Si veda la recensione su «pandorarivista.it», a cura di Marco Valenziano, di Scintille. L’avventura dell’energia in Europa dalla scissione dell’atomo alla rivoluzione verde di Donato Bendicenti, edito da Luiss University Press.

[2] Per un approfondimento sulla “pipeline diplomacy” tra Europa e Mosca, dall’URSS ai giorni nostri, si veda Leonardo Bellodi, Gas e potere. Geopolitica dell’energia dalla Guerra fredda a oggi, edito da Luiss University Press e recensito da Luca Picotti su «pandorarivista.it».

[3] Tra cui gli impianti a Gioia Tauro, Porto Empedocle, Portovesme, Ravenna e Piombino.

[4] Si segnala in particolare ACER (EU Agency for the Cooperation of Energy Regulators), ACERs Final Assessment of the EU Wholesale Electricity Market Design, 29 aprile 2022.

[5] I servizi di flessibilità consistono nella disponibilità, da parte di produttori e consumatori di cambiare, rispettivamente, la propria immissione in rete di elettricità (la produzione) e il proprio prelievo di elettricità dalla rete (il consumo), per venire incontro a esigenze della rete, che deve essere sempre in equilibrio (produzione e consumo devono “pareggiarsi” tutto il tempo) e che deve essere in grado di risolvere rapidamente problemi legati a congestioni e squilibri di tensione e frequenza. La Commissione chiede di incentivare la partecipazione al mercato della flessibilità dei clienti finali (non tanto le abitazioni, quanto soprattutto le imprese energivore) e delle rinnovabili. Al cuore di questo meccanismo vi sono le tecnologie digitali, in grado di modulare consumo e produzione di elettricità in base sia ai segnali di prezzo provenienti dagli operatori di rete (Terna in Italia) sia alle esigenze del consumatore. Si tratta di un sistema per mantenere la rete in equilibrio senza usare fonti fossili programmabili e riducendo i consumi di energia: il coordinamento tra produttori di elettricità e consumatori previene picchi nella domanda che, per essere soddisfatti richiedono un aumento dell’offerta che le rinnovabili possono fornire condizioni metereologiche permettendo. A questo coordinamento contribuisce il supporto degli stoccaggi, che accumulano e conservano elettricità se ve n’è a sufficienza in rete e la immettono se invece ve n’è poca. Per un approfondimento sulla flessibilità si segnala Giuseppe Palazzo, La svolta delle energie rinnovabili per la rete elettrica, «pandorarivista.it», 11 febbraio 2020.

[6] L’International Energy Agency (IEA) scrive, ad esempio, in merito alla filiera dei minerali critici, sottolineando l’importanza di costruire una rete di relazioni commerciali e di scambio tecnologico che permetta di diversificare, riducendo l’attuale concentrazione del mercato, basato sulla Cina, e che consenta di valorizzare le capacità di ogni Paese: la IEA suggerisce che i Paesi cerchino di essere competitivi in base ai loro punti di forza, alle loro risorse in termini di competenze e infrastrutture, evitando di competere su tutte le filiere, bensì cooperando e costruendo partnership dove non possono fare da soli. IEA, Energy Technology Perspectives 2023, gennaio 2023.

[7] L’International Energy Agency (IEA), World Energy Outlook 2022, ottobre 2022.

[8] Altre importanti misure, prese nell’autunno 2023, dopo la conclusione del libro, sono la nuova Direttiva sull’Energia Rinnovabile (RED III) e l’Action Plan for Grids, che fissano obiettivi settoriali in termini di riduzione delle emissioni, aumento delle rinnovabili, introduzione di soluzioni innovative e adeguamento delle infrastrutture.

[9] Hannah Ritchie, Pablo Rosado e Max Roser, Greenhouse gas emissions, Our World in Data, giugno 2020, aggiornato nel gennaio 2024.

[10] UNFCCC, COP28 Agreement Signals “Beginning of the End” of the Fossil Fuel Era, 13 dicembre 2023. Un’alternativa al totale abbandono delle fonti fossili sarebbe rappresentata dalla cattura delle emissioni, la CCUS, Carbon Capture Utilisation and Sequestration. Al momento la IEA definisce lo sviluppo della CCUS “una storia di aspettative disattese”, frenata da alti costi e lunghi tempi per gli impianti e per le infrastrutture di trasporto e accumulo della CO2 (IEA, “Net Zero Roadmap. A global pathway to keep the 1.5°C Goal in Reach” 2023 Update, settembre 2023, p.132).

Scritto da
Giuseppe Palazzo

Laureato in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso l’Università degli Studi di Milano, si è poi specializzato nel settore energetico, conseguendo un MSc in Global Energy and Climate Policy presso la SOAS University of London e un master in Energy Management presso il MIP Politecnico di Milano. Ha intrapreso percorsi legati alle politiche pubbliche ed europee, presso ISPI e Scuola di Politiche, e legati alla regolazione del settore energetico italiano presso l’Università di Siena. Ha lavorato come consulente in BIP, ora è project manager per le attività internazionali di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico), dipartimento Sviluppo sostenibile e Fonti energetiche.

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