Scritto da Alberto Bortolotti
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Il tema politico del controllo della società, che si traduce nel “governo del reale”, investe anche l’architettura – oltre alla politica e all’economia – perché riguarda il disegno della città. Come scrive Rem Koolhaas nei suoi saggi, oggigiorno bisogna avere a che fare con la grande scala perché la prassi architettonica, che risente dei fenomeni politico-economici in corso, ha definito la dialettica dei junkspace, luoghi che trasformano la configurazione della città senza che ce ne rendiamo conto. Ma alla base di questo meccanismo c’è una questione inerente il paradigma della città, un tema che ha delineato anche il costituzionalista Giovanni Maria Flick in occasione della Festa dell’Architetto 2017. Nella sua lezione, Flick ha parlato della dimensione del tempo e dello spazio nell’era capitalista, «un periodo in cui abbiamo perso la totale concezione della memoria» poiché «non sappiamo più contestualizzare lo spazio nel tempo»[1]. La memoria è ciò che dà senso al tempo, oggi si è perso il legame tra la memoria e la dimensione dello spazio.
Paradisi fiscali e interdipendenza economica
Dagli anni Ottanta a oggi, in modo direttamente proporzionale all’ascesa del Neoliberismo, si sono sviluppate in Europa e nel mondo una serie di città denominate “globali”[2], di fatto delle entità spazializzate dell’interdipendenza economica che domina la crescita dei paesi che rappresentano. Incrociando i dati riguardanti le prime 20 città del mondo per reddito pro capite, PIL e densità, notiamo come queste corrispondano in buona misura a capitali che appartengono al rango economico di centri finanziari off-shore, noti più comunemente come tax heavens.
Come si può vedere nella mappa, fanno parte di questo gruppo le città europee di Londra e Lussemburgo, ma anche Hong Kong, Singapore, New York e interi stati come gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar, il Giappone, l’Olanda, la Svizzera e Israele. Osservando con più attenzione il disegno urbano di queste città, è possibile notare come la somiglianza del linguaggio architettonico e della scala dei suoi edifici, costituisca la rappresentazione fisica del rapporto di interdipendenza economica che fa rete tra questi importanti nuclei urbani. Così, il postmodernismo internazionale presente a Manhattan, nella City di Londra, nel distretto di West Bay a Doha o nel quartiere Kirkberg di Lussemburgo, diventa il tratto distintivo del linguaggio architettonico dettato dalla grande scala di tipi urbani applicati al mercato dell’edilizia finanziaria. Come anche Rem Koolhaas predice, «lo stile prediletto della Città Generica rimarrà il postmoderno»[3].
Considerando una serie di soft data come la concentrazione della popolazione, il flusso del traffico aereo, il flusso del commercio, l’indice di crescita demografica e il potenziale umano di queste città, come emerge dal libro Living in the Endless City[4], si può osservare che i tax heavens rappresentano il perno dei fenomeni di glocalizazzione[5] e dell’interdipendenza stessa.
In accordo con questi dati, è interessante evidenziare che molto spesso i paradisi fiscali costituiscono un filtro tra l’economia nazionale del loro paese di riferimento (o di un gruppo di paesi-madre) e il mercato finanziario e commerciale, come mostrato nella ricerca Urban Age Project condotta dalla London School of Economics. Non è un caso, infatti, che Hong Kong, situata su un arcipelago alla foce del Pearl River, abbia dato origine, attraverso un’immissione di capitale nel mercato della mainland cinese, alle metropoli di Shenzhen e Dongguan localizzate letteralmente sul confine cinese ma poste nel triangolo Macao-Canton-Hong Kong. Anche in Europa, la città-stato di Lussemburgo, fulcro principale del Benelux, rappresenta di fatto il ponte economico tra Francia e Germania, mentre, in una scala ancora superiore, possono essere citati gli esempi di Londra, come collante tra gli USA e l’Europa, o Singapore, cuore del blocco dei sette paesi ASEAN.
Istituzioni e controllo della città
Nel momento storico attuale di crisi delle istituzioni, il paradigma sul quale è stata fondata la cultura occidentale fatica ad adattarsi alla velocità della società dell’eterno presente. Questa condizione coinvolge anche l’architettura, infatti, come scrive Alberto Ferlenga, «è probabilmente la capacità del presente di superare in velocità qualunque previsione ad aver costituito il fattore determinante nell’affievolirsi delle attività di prefigurazione del futuro»[6]. La differenza tra l’architettura che rappresentava la società del passato e quella d’oggi si nota, ad esempio, guardando i grandi boulevard del Barone Haussmann o le rambla di Ildefons Cerdà a Barcellona, interventi attraverso i quali si voleva dare ordine ai caotici centri europei.
In conseguenza alla cessione del potere finanziario dalle istituzioni pubbliche ai privati, la politica soffre una problema di mancanza del “governo del reale” non essendo più in grado di controllare gli scenari internazionali né di costruire una visione d’insieme della società del futuro. In questa condizione di «interregno globalizzato», secondo le parole dell’economista Paolo Guerrieri Paleotti, «la condizione attuale della città è il risultato di relazioni di potere e sociali storicamente contingenti» in cui «la produzione dello spazio sociale continua a rinnovarsi attraverso una molteplicità di processi di ristrutturazione»[7].
Il ruolo della grande dimensione nel disegno urbano
Nel contesto globalizzato fin qui descritto, il tema della bigness o grande dimensione – dell’elemento sopra le righe che trasforma radicalmente il disegno della città – rappresenta la vera sfida dell’urbanistica contemporanea. Oggigiorno sono sempre più diffusi enormi oggetti che modificano l’urbanizzato ed è imprescindibile un’organizzazione della città che tenga conto dei processi di assemblaggio di grandi volumi che vanno nella direzione di una moltiplicazione dell’architettura postmodernista su scala mondiale. Nella realtà della grande dimensione, infatti, «la grandezza di un edificio può dar vita a un programma ideologico indipendente rispetto alle condizioni di progetto definite dai suoi architetti»[8].
Perciò, nella bigness, è il ruolo della scala a costituire la “sfida” nei processi di analisi delle dinamiche urbanistiche. Neil Brenner, a tal proposito chiarisce che «le scale non vengono più equiparate alle funzioni unitarie sociali, ma sono viste, sempre più spesso, come cristallizzazioni di una molteplicità di processi economico-sociali sovrapposti»[9]. Una posizione che si fonda sul principio di massimizzazione del capitalismo e che non coincide con il pensiero espresso sulla questione da Vittorio Gregotti, il quale sostiene che «i problemi della città globale non coincidono con quelli che definiscono il disegno della postmetropoli»[10].
Tuttavia gran parte del ragionamento si fonda sulla definizione del concetto di città globale che, se per Saskia Sassen ha a che fare in primo luogo con la demografia, per Niel Brenner riguarda solo l’influenza politico-economica della città a livello internazionale. Comunque è chiaro che in un rapporto di flussi continui inter-continentali è «impossibile concepire delle modalità di controllo di un’evoluzione che non più essere controllata formalmente, e perciò l’unico modo per trovare un senso alle nostre città è mantenere un rapporto tra città e dimensione umana»[11], agendo sulla politica della scala.
[1] Conferenza Festa dell’Architetto 2017, 02/12/17, Maxxi, Roma.
[2] Cfr, S. Sassen, The Global City, Princeton University Press, Princeton 2013.
[3] R. Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, Macerata 2006, pag. 53.
[4] Cfr, D. Sudjic, R. Burdett, Living in the endless city, Phaidon, Londra 2011.
[5] Cfr. N. Brenner, Stato Spazio Urbanizzazione, Guerini e Associati, Milano 2016 – Neil Brenner per «glocalizzazione» intende il fenomeno di scambio e sviluppo che coinvolge le Città Mondiali e la loro rete.
[6] A. Ferlenga, Città e Memoria, Christian Marinotti Edizione, Milano 2015, pag. 54.
[7] N. Brenner, Stato Spazio Urbanizzazione, Guerini Scientifica, Milano 2016, pag. 18.
[8] R. Koolhaas, Op. Cit., pag. 13.
[9] N. Brenner, Op.Cit., pag. 54.
[10] V. Gregotti, Architettura e postmetropoli, Einaudi, Torino 2011, pag. 64.
[11] A. Ferlenga Città e Memoria, Christian Marinotti Edizione, Milano 2015, pag. 55.