Recensione a: Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, La scommessa cattolica, il Mulino, Bologna 2019, pp. 200, 15 euro (scheda libro)
Scritto da Andrea Raffaele Aquino
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Dietro numeri di fedeli in continua crescita (circa un miliardo e trecento milioni nel 2019), la Chiesa Cattolica cela delle crepe profonde e dilanianti delle quali non si avvede fino in fondo (o non vuole farlo), che potrebbero, in un futuro non troppo lontano, minare la pervasività e l’esistenza stessa dell’istituzione e del messaggio di cui essa è latrice. In un Occidente sempre più secolarizzato, assuefatto alla rapidità e impacciato nella meditazione personale (anche laica), abbiamo (e avremo) ancora bisogno della Chiesa e del cristianesimo, che presuppongono attività “lente” come l’ascolto e la preghiera? È possibile “scommettere” su di essi?
La scommessa cattolica, scritto a quattro mani da Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, docenti di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, parte da questi interrogativi presenti, ne cerca l’origine nel passato e li proietta verso il futuro mediante un approccio critico, imperniato sul dialogo con tutti quegli intellettuali che, a partire dal Concilio Vaticano II, hanno affrontato la questione nella sua complessità, da Romano Guardini a Michel de Certeau, da Zygmunt Bauman ad Hannah Arendt.
Le sfide del presente
Viviamo in un mondo in continuo mutamento che ha un soggetto e un oggetto ben definiti e coincidenti: l’Io. Un Io sovrano, atomo, sempre più distinto da ciò che lo circonda (la famiglia, in primis, la cultura di riferimento, la comunità), giudice supremo del bene e del male, autoreferenziale. Trapassato il muro di un’apparente stabilità (mostrare la sofferenza è un comportamento che abbiamo esorcizzato) ci sono individui insicuri e soli. I dati analizzati nel 2017 dal Pew Research Institute dimostrano che nel Regno Unito il 22% della popolazione soffre di solitudine, mentre risulta incrementata esponenzialmente la percentuale di famiglie mononucleari: il 50% a Parigi, il 60% a Stoccolma, il 90% nel centro di Manhattan. Conseguentemente le ricerche dimostrano un sostanziale indebolimento delle reti sociali: il numero di amici per persona è sceso dal 2,9 registrato nel 1985 al 2,1 del 2004 (data dalla quale è ragionevole sospettare un nuovo abbassamento)[1].
L’uomo moderno, questo è il paradosso, trova nell’autoreferenzialità il modo migliore per vivere nel sistema sociale (l’esempio più evidente proviene dai social network). Immerso in un contesto di continua espansione e di apparente libertà (se non altro di movimento) l’uomo dimentica il traguardo, il fine ultimo, superato dalla necessità vibrante di spingersi sempre oltre. Con la convinzione di essersi sottratto alle catene della contingenza umana, l’Io si fa Dio, segnando una nuova tappa evolutiva, quella che Harari ha chiamato dell’Homo Deus[2]. Questo uomo del XX e del XXI secolo si divide, secondo Max Weber in due “tipi”: lo specialista senza spirito, una sorta di automa-burocrate assuefatto ad uno sguardo sulla realtà meramente analitico e il gaudente senza cuore, ovvero colui che, nella fretta imposta dal sistema, dimentica l’altro e, conseguentemente, perde la capacità di provare emozioni, diventa apatico.
In un contesto di materialismo radicale la morte viene allontanata, la trascendenza esclusa (non presa neppure in considerazione), la vita fabbricata. Vengono insomma toccati e stimolati elementi cardine del cristianesimo in maniera rivoluzionaria, ma di fronte ad una secolarizzazione così potente la Chiesa sembra inerme.
Lacerata e, in alcuni casi, travolta da faide interne, scandali sessuali e finanziari, la Chiesa si trova a dover affrontare problematiche strutturali: calo delle vocazioni, crollo della partecipazione religiosa nelle società più avanzate (e dunque secolarizzate), diminuzione dell’appeal sui giovani e i ceti più istruiti, soprattutto in Europa, dove i nones, coloro che non credono perché si sentono indifferenti a Dio (e dunque non si pongono il problema della trascendenza, risucchiati dal “qui ed ora”) sono, tra gli under 30, in netta maggioranza[3]. Secondo Magatti e Giaccardi il problema riguarda anche un certo tipo di mentalità diffusa tra i sacerdoti, più inclini ad essere maestri (nonostante le ammonizioni già di Paolo VI) che testimoni, che portatori di “parole in cammino”. Cosa avverrà alla Chiesa europea tra una decina o una quindicina di anni, quando generazioni di fedeli scompariranno senza essere “rimpiazzate”? Basterà la rivoluzione di Francesco e la scommessa della “Chiesa in uscita”?
Abbiamo ancora bisogno del paradosso cristiano?
Nel mondo che abitiamo il vero dio è la tecnica, soltanto in essa risiede la salvezza, nel suo sterile autoalimentarsi. L’ideologia è diventata tecnologia e alla sovranità dello Stato si è sostituita quella edonistica dell’Io, che annulla la finalità per inseguire spasmodicamente la ricerca di nuove opportunità; tutto viene relativizzato per assolutizzare la tecnica. Tutto ruota in funzione dell’efficienza in un processo che esprime un prodotto e rottama gli scarti. Ma in una società che vive per consumare e consuma per vivere in eterno, per essere beata, tutto, prima o poi, diventa scarto, inclusa la vita stessa. In questo contesto la religione, non solo quella cristiana, è messa all’angolo, giudicata nel migliore dei casi un impaccio vetusto e anacronistico, un marcatore esteriore di appartenenza formale ad una data comunità, per il quale bisogna sbrigare alcune pratiche fin dall’infanzia (è a questo che vengono educati i bambini): il battesimo, il catechismo di prima comunione e poi di cresima, nell’ambito del cattolicesimo.
La Chiesa si trova oggi tra due baratri profondi: la liquefazione nel sistema e la reazione integralista. Entrambe le vie sono state sperimentate, con risultati deludenti e, in alcune occasioni, catastrofici. La prima si tradusse in quello che Pier Paolo Pasolini chiamò un “patto col diavolo”, con un potere che si faceva beffe dei valori evangelici com’era già quello degli anni Sessanta[4], agevolando il processo di traslazione del sacro dalla Chiesa al sistema consumistico e il conseguente cambio di comandamento: da “ama” a “godi”. La seconda via è quella dell’alleanza politica con una destra estrema per cercare di bloccare la secolarizzazione, strada per altro guardata con sospetto, per utilizzare un eufemismo, da papa Francesco, proveniente da una terra che, decenni addietro, ha molto sofferto per tale scelta. I risultati di quell’esperienza sono stati la perdita di legittimazione politica della Chiesa, gli scontri dottrinali, l’elaborazione di una corrente giudicata troppo estrema come la teologia della liberazione, gli scandali, la corruzione del clero, la collusione con regimi autoritari assassini. Nonostante l’esempio sudamericano, oggi il vento integralista soffia sul mondo cristiano, dall’Ungheria di Orbán agli USA di Bannon. L’idea di fondo di questa corrente politica risiede nella definizione della crisi economica come il risultato dell’alleanza tra la politica liberale di sinistra e gli interessi economici e finanziari di élite anticristiane; la soluzione in quella che il presidente ungherese ha chiamato la “democrazia illiberale”, un connubio tra religione e politica per arginare la secolarizzazione. Tutto ciò, al di là delle implicazioni politiche si configura, per Giaccardi e Magatti, come un allarme sul piano spirituale: la “scristianizzazione” non si ferma dall’alto, mediante il potere politico, ma dal basso, anche perché nell’ottica cristiana l’adesione rimane una libera scelta e non può essere oggetto di ricatti e azioni di forza. “La fede”, infatti, “presuppone la libertà. Qualsiasi forma di fondamentalismo statalizzato non può che diventare la tomba del cristianesimo”[5] e tale libertà va benedetta, seguendo l’insegnamento che Cristo fornisce nella nota parabola del figliol prodigo.
La direzione che sta prendendo la Chiesa (intesa come fedeli e clero) in questo momento non è chiaramente individuabile, ma bisogna notare come una parte di essa miri a restaurare un mondo antico indefinito (forse mai davvero esistito), a ripristinare valori e tradizioni vetuste, a riportare semplicemente indietro le lancette del tempo, non diversamente da come cercò di fare il Congresso di Vienna dopo l’esperienza napoleonica (1814-1815), a tornare al concetto di fede come adesione, come eredità da tramandare acriticamente di generazione in generazione. Nell’ottica di Giaccardi e Magatti la Chiesa dovrebbe essere “un punto di de-coincidenza per liberare, di nuovo, il desiderio rimasto imprigionato nell’ordine sociale costruito dalla modernità”[6]. Il cristianesimo può offrire molto all’uomo moderno, anzitutto una visione nuova della vita, che non mira ad accumulare, ma ad espandersi e, conseguentemente, una visione della salvezza che si colloca in coordinate temporali indefinite, in quella che Panikkar ha chiamato “temporaneità”. La vera vita, la salvezza è profondamente legata al nostro mondo e si raggiunge morendo e resuscitando ogni giorno, in un’ottica che presuppone una concezione che va oltre la singola esistenza individuale. Soltanto donandoci all’altro viviamo davvero: una “picconata” al Dio-Io di cui abbiamo disperata necessità.
Il futuro: una via
La Chiesa oggi ha necessità di intraprendere un percorso strutturale per ripensarsi nel presente senza cadere nell’errore di rituffarsi nelle nostalgie del passato; forse mediante un nuovo concilio, come suggeriva il cardinal Martini durante gli ultimi anni di vita. Occorre, nell’opinione degli autori, anzitutto affrontare le difficoltà nel vivere la fede manifestate non solo dai laici, ma anche (e soprattutto) da alcuni pastori, le quali, irrisolte, hanno condotto agli scandali sessuali recentemente affrontati con decisione dal pontificato di Benedetto XVI e di Francesco. Il punto di partenza in questo senso può essere quello dei sacramenti, riti di passaggio ineludibili e fondamentali per la società che oggi ne è priva, in questo momento svuotati di senso e oggetto di un “marketing della fede”: battesimo, comunione e cresima risultano esperienze di infanzia e spesso qui si fermano; il matrimonio è visto più come punto di arrivo che come punto di partenza; l’ordinazione è in forte crisi quantitativa; l’estrema unzione ridotta a “pallido rito nel quadro di una sanità tecnicizzata”[7]. L’altra questione fondamentale per la Chiesa, anacronisticamente al maschile, è quella femminile, troppo spesso analizzata in chiave quantitativa (più donne) e simmetrica (sacerdozio femminile). Tale punto di vista rischia però di ricondurre il problema ad una battaglia ideologica e andrebbe sostituito con un approccio incentrato sulla reciprocità, proveniente da una lettura più accurata delle Scritture, a partire della Genesi. Una terza criticità è la tendenza da parte dei fedeli ad adottare una “religione fai da te”, attagliata sulle proprie necessità e sulle proprie comodità, contraddittoria rispetto al cristianesimo, basato sullo sforzo e sulla ricerca (scomoda) della Verità. In questo senso il popolo di Dio, che ha sempre camminato insieme nella storia della salvezza biblica si configura oggi come massa di individui isolati. Per “riaprire il cielo”[8] e ritrovare l’anelito alla trascendenza occorre riabitare due confini, due dimensioni: quella dello scarto che presuppone il farsi prossimi per ri-sanare l’umano e quella del mistero che si prefigge di portare ordine nella dismisura che oggi è diventata la misura dell’uomo[9]. Da parte sua la Chiesa ha il compito di ritornare ad un significato etimologico (augeo) di autorità, percepita come potere non di controllo, ma di generatività, di autorizzazione. La scommessa cattolica si giocherà tutta nella capacità della Chiesa di farsi ponte tra passato della tradizione, presente della critica e futuro potenziale di umanità ancora inespresso, che l’ha resa “capace di attraversare i secoli”[10].
Il testo di Giaccardi e Magatti si presenta, in sintesi, come un saggio tagliente, capace di fornire uno spaccato della società attuale, della sua tensione tecnico-spirituale e delle sue contraddizioni, tra moniti drammatici e speranze possibili. La stessa idea di “scommessa”, scelta come punto di partenza della riflessione, risulta straordinariamente efficace per contemplare sinotticamente la precarietà, l’incertezza ma anche la voglia di riscatto e la tenacia di un’istituzione millenaria che lotta per una propria palingenesi.
[1] Giaccardi e Magatti, La scommessa cattolica, il Mulino, Bologna, 2019, p. 29.
[2] Y.N. Harari, Homo Deus, Bompiani, Milano, 2018.
[3] Ivi, pp. 8-9.
[4] P.P. Pasolini, 17 maggio 1973. Analisi linguistica di uno slogan in Scritti corsari, Garzanti, Milano, 2015, p. 14
[5] Giaccardi e Magatti, La scommessa cattolica, cit. p. 61.
[6] Ivi, p. 64.
[7] Ivi, p. 117.
[8] Ivi, p. 137.
[9] Cfr. ivi, p. 140.
[10] Ivi, p. 145.