“La scuola giusta. In difesa del liceo classico” di Federico Condello
- 08 Giugno 2018

“La scuola giusta. In difesa del liceo classico” di Federico Condello

Recensione a: Federico Condello, La scuola giusta. In difesa del liceo classico, Mondadori, Milano 2018, pp. 272, 18 euro (scheda libro)

Scritto da Sebastiano Bertolini

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Non esiste, in Italia, una scuola dibattuta quanto il liceo classico. Costantemente al centro di diatribe didattiche, ideologiche e politiche, questa scuola ha raccolto, nell’intero corso della sua storia, un cospicuo numero di critiche e pregiudizi. La scuola giusta. In difesa del liceo classico di Federico Condello, docente di Filologia Greca presso l’Università di Bologna, si inserisce nel solco di una saggistica sempre più fiorente a difesa delle lingue classiche e del loro insegnamento: attraverso un’analisi riccamente documentata, il libro scardina atavici e ripetuti clichés e illustra i punti di forza di una scuola che rappresenta un unicum nel panorama educativo mondiale.

Nella prima parte del libro, Condello offre un profilo del liceo classico a partire dai suoi natali fornendo un inquadramento storico utile alle argomentazioni della seconda parte. Qui l’autore confuta la vulgata che fa risalire l’istituzione del liceo classico alla riforma Gentile (1923), mostrando non solo come sia complesso (se non impossibile) rintracciare le origini dell’istruzione ‘classica’ in Italia, ma anche come tale ricerca eziologica sia sempre viziata da un giudizio in ultima istanza ideologico. Condello analizza quindi i ‘numeri’ odierni di questa scuola in termini di popolazione studentesca secondo una serie di indicatori (maschi/femmine, Nord/Sud etc.), utile a fornire un’idea della sua consistenza numerica e sociale, e analizza la progressiva ‘caratterizzazione umanistica’ del liceo classico che, insieme alla ‘crescente fortuna degli indirizzi paralleli e concorrenti’ diventa la vera radice del suo ‘declino’:

Se il liceo classico è “scuola umanistica”, il suo fallimento è sicuro, perché equivale a un tradimento della sua funzione liceale. Peggio ancora se è scuola prevalentemente “letteraria” o prevalentemente “classica”. Se a questo ruolo lo sospingono o costringono riformatori e aspiranti riformatori, ciò significa accelerarne il fallimento. (pp. 143-4)

Nel tentativo di rimarcare la propria identità, il liceo classico diventa progressivamente un feticcio indirizzato non alla più ampia gamma di studenti possibile, ma solo a quelli che intendono votarsi allo studio delle lingue classiche e dell’antichità, tradendo così la sua vocazione liceale per così dire ‘universale’:

Questo liceo classico più classico è in realtà un liceo che si elogia per posa, e si condanna a una predestinata marginalità. Il suo apparente rafforzamento identitario è la conclamata attestazione della sua debolezza: divenuto via via scuola fra le scuole, quella che fu la scuola per eccellenza ora dovrebbe ritagliarsi un proprio posto e rassegnarsi alla funzione che il sistema le assegna: sfornare […] futuri antichisti. [p. 70]

La sezione finale della prima parte del libro prende le mosse da questa svolta perpetrata dalle riforme scolastiche degli ultimi decenni. L’autore smonta le proposte avanzate da varie parti per contrastare il progressivo calo di iscrizioni: proposte basate proprio sulla ‘settarizzazione’ del liceo classico e vòlte all’impoverimento di parte di quelle hard skills grammaticali su cui lo studio delle lingue antiche e l’esercizio della traduzione sono fondati:

Ecco l’esito che vanno prefigurando […] molti movimenti e sommovimenti che hanno segnato la storia del liceo classico negli ultimi trent’anni almeno: un liceo classico che merita di sopravvivere solo a patto di essere semplicemente classico, e niente di più. Ecco quel che si intravede anche dietro la proposta – in apparenza così generica – di un liceo classico con più appeal culturale e meno storture grammaticali; di un liceo improntato a un sapere classico-umanistico più lieve e più aereo, ma proprio perciò più esteso e più diffuso. Si spiega così anche l’ostilità fegatosa contro la grammatica, la lingua, la versione, che nel liceo classico – lungi dal rappresentare tratti di ottuso specialismo – sono i veri saperi “trasversali”, perché insegnano pratiche intellettuali rigorose, disponibili alla generalizzazione e all’applicazione nelle più varie discipline […] Nessun paradosso, in questo, se si ricorda quanto i saperi linguistici e filologici più aspri abbiano, fin dall’esordio dell’istruzione classica italiana, mirato a rendere il liceo classico tutto tranne che una scuola per classicisti. Dunque un liceo più debole; dunque un liceo per pochi. Non è questo il rischio vero – la sconfitta definitiva – del liceo classico? (pp. 92-3) 

 

Il liceo classico fra stereotipi e pregiudizi

Nella seconda parte del libro, l’autore risponde a quattro ingiurie ricorrenti frequentemente mosse al liceo Classico e approfondisce la sua critica alle attuali proposte di cambiamento dello stesso.

La prima è quella di essere una scuola ‘fascista’, perché di concezione e formazione gentiliana: una tesi che Condello (come già anticipato) smonta dal punto di vista storico e ideologico, evidenziando come il contributo di Gentile a questa scuola, al contrario di quanto si pensi, sia stato sostanzialmente nullo (o, al contrario, parzialmente distruttivo).

La seconda è l’accusa di essere una scuola ‘per umanisti’: un liceo classico foriero, nella vulgata, di un sapere inutile, retorico e fumoso in contrasto con quello utile e concreto offerto dalle scuole tecnico-scientifiche. Condello addita l’origine di questo pregiudizio all’erroneo dualismo fra cultura umanistica e scientifica, e smaschera il feticcio dell’interdisciplinarità spesso addotta a soluzione di tale bipolarismo. Al fine di smontare questo luogo comune, peraltro, prende in esame i numeri e le percentuali del monte ore degli insegnamenti del liceo classico per ribaltare alcuni assunti anch’essi dati per scontati: mostra, infatti, come non solo il liceo classico presenti, monte ore alla mano, un equilibrio disciplinare superiore alla maggioranza delle altre scuole, ma anche come il latino e il greco non possano essere ascritte banalmente alla ‘cultura umanistica’:

Il liceo classico è invece la scuola in cui il latino e il greco divengono termini di un’interazione ben più complessa; e in questa interazione essi operano non solo o non tanto per ciò che sono, quanto per ciò che fanno e fanno fare; e così influiscono sia sulle altre discipline storiche o linguistiche, sia sull’insieme. (p. 150)

Un punto cruciale della confutazione di Condello sta inoltre in un’analisi approfondita dei risultati universitari, che dimostrano come i diplomati del liceo classico compiano scelte universitarie molto diversificate e siano più che in grado di competere in qualunque ambito disciplinare. Una scuola, dunque, tutt’altro che ‘fumosa’ ma, al contrario, più ‘giusta’ perché più rispettosa dello studente, cui permette di procrastinare ai 18 anni la futura scelta di vita

Quel che davvero interessa è altro: è mostrare che il denigrato liceo classico, tutto futile umanità, o tutto ostiche lingue antiche, prepara egregiamente i suoi diplomati, pronti a competere con ottimi esiti sui terreni che parrebbero meno favorevoli. Che stravincano, vincano di misura o pareggino è del tutto secondario: l’importante è che possano scegliere quel che realisticamente determinerà – fra i loro 18 e 25 anni, durante la carriera universitaria – gran parte della loro vita futura. Possono farlo senza timore alcuno di fallire, e con ottime speranze di riuscire bene, benissimo, e in molti casi meglio di chi parte favorito. Ciò basta. (p. 165)

La terza accusa vede nel liceo classico un liceo ‘disumano’, interessato soltanto all’arido nozionismo grammaticale greco-latino. Condello osserva come tale critica – peraltro parzialmente infondata alla luce degli innovativi metodi didattici delle lingue antiche – sia non solo assai insidiosa, poiché da tempi immemori le accuse di eccessivo nozionismo non producono altro che nuove forme di nozionismo, ma anche come essa prenda curiosamente di mira solo lo studio grammaticale del greco e del latino:

Perché, in questo attacco scomposto alla didattica liceale, si riservano ironie e accuse di nozionismo solo all’insegnamento del greco e del latino? […] Sfuggono al nozionismo la fisica o le scienze naturali? Mandare a memoria liste di varietà botaniche o codici d’enzimi è più istruttivo e più “interessante” che studiare le eccezioni della terza declinazione? (p. 194)

L’ultimo capitolo presenta l’accusa finale: il liceo classico come scuola di classe. Si tratta, per l’autore, del punto più importante della questione, perché dall’orientamento delle scelte scolastiche dipende la realizzazione o meno di un’equità sociale e culturale. La risposta è sì: il liceo classico, per una serie di ragioni che vengono passate in rassegna, è ancora una scuola di classe, perché frequentata più di altre scuole dalle fasce ‘alte’ della popolazione. Ma proprio in virtù della sua natura e della sua capacità di offrire sbocchi occupazionali in ogni settore, essa può ricoprire un ruolo positivo di promozione sociale.

È evidente che il liceo classico ha tutte le caratteristiche per costituire ancora un efficace strumento di equità culturale e sociale: è uno strumento dei più efficaci […]. Il liceo classico attrae studenti privilegiati, certo, e in misura maggiore rispetto ad altre scuole; ma continua ad attrarre studenti la cui chances di sopravanzare i genitori sono fra le più alte, visti i dati dei successi universitari che caratterizzano i diplomati al classico […]. Solo che questi studenti sono ancora pochi, perché sono pochi in generale gli iscritti al liceo classico: e dunque […] il sistema scolastico italiano sfrutta troppo poco uno dei suoi migliori strumenti – almeno potenziali- di equità sociale e mobilità intergenerazionale. (pp. 245-6)

 

Il liceo classico: una scuola giusta perché equa e rispettosa

Il libro offre un’interessante prospettiva sullo stato attuale della prismatica e atavica querelle intorno al liceo classico. Più attento alla pars destruens che alla pars construens, esso non fornisce proposte concrete utili ad arginare la progressiva riduzione delle iscrizioni ma, senza cadere nel passatismo di una laudatio temporis acti (più volte, al contrario, messa alla berlina), mira a inquadrare lo stato di salute del liceo classico all’interno del panorama assai nebuloso e zoppicante di tutto il sistema scolastico italiano e dell’irrisolta questione fra inclusione e qualità, nonché a far chiarezza su alcune critiche erronee entrate ormai nel pensiero comune. Un punto di vista fondato su argomentazioni stringenti e precisi dati di fatto prima ancora che su posizioni ideologiche.

Innanzitutto, come Condello dimostra dati alla mano, il liceo classico non preclude alcuna scelta universitaria o lavorativa; semplicemente, la posticipa a una età in cui i ragazzi sono in grado di prendere decisioni più ponderate circa la loro vita e le loro passioni. In secondo luogo, ci conferma che, pur con tutti i problemi che possono esistere nella scuola italiana, il liceo classico, ancora, funziona. E funziona proprio in virtù di quelle hard skills insite negli esercizi di traduzione delle lingue antiche, che in termini didattici e pedagogici non hanno nulla da invidiare alle tanto invocate scienze pure e che, pertanto, possono preparare a carriere sia ‘scientifiche’ che ‘umanistiche’.

Una scuola giusta, dunque, perché rispettosa delle aspirazioni dei ragazzi che la intraprendono. Ma giusta anche perché equa: predisponendo gli studenti ad una preparazione non precocemente professionalizzante ma formativa nel significato più profondo della parola, il liceo classico è ancora oggi in grado di svolgere quel ruolo di ascensore sociale che la scuola (e la scuola pubblica in primis) deve, per sua natura, offrire e garantire ai suoi ragazzi.

Scritto da
Sebastiano Bertolini

Classe 1989. Laureato in Lettere Classiche al Collegio Superiore di Bologna. Al momento è PhD candidate in Classics all’Università di Edimburgo (UK). Ha sostenuto periodi di ricerca in Francia, Germania e Grecia. Parallelamente agli studi accademici, è docente di Lettere alle scuole medie superiori di Reggio Emilia e chitarrista professionista in diverse formazioni musicali.

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