Recensione a: Giorgia Serughetti, La società esiste, Laterza, Roma-Bari 2023, pp. 184, 18 euro (scheda libro)
Scritto da Teresa Guarino
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Che la società non esista lo diceva Margaret Thatcher e l’abbiamo creduto tutti e tutte per i quarant’anni di egemonia dell’ideologia neoliberista. Ma qualcosa sta cambiando. Nel suo ultimo volume, La società esiste (Laterza 2023), Giorgia Serughetti ci dice che oggi si sono riaperti spazi discorsivi e di pensiero che rendono possibile affermare, forse timidamente, forse con un punto di domanda finale, che la società, invece, esiste. L’opera attinge ad un apparato teorico ampio, che comprende la sociologia, lo studio dei movimenti sociali e la filosofia politica, per tracciare un quadro della scomparsa e del ritorno dell’idea di società a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento fino ad oggi. Accanto ad un’elaborazione teorica di tipo normativo, vengono analizzati casi concreti della vita politica anche estremamente recente, soprattutto italiana.
Partendo da una breve ricostruzione della storia dell’idea di società nel pensiero occidentale moderno e contemporaneo, Serughetti focalizza la sua analisi su come, dalla fine degli anni Settanta in poi, questa idea sia stata smantellata nel quadro di un preciso progetto politico-economico. In altre parole, il progetto neoliberista ha imposto la sua egemonia culturale, nella quale non vi è spazio per l’idea di società. Ma come è stato possibile cancellare un’idea altrimenti tanto radicata nella filosofia e nella pratica politica occidentale? L’autrice delinea una serie di fratture, introdotte dal progetto neoliberista, che hanno reso difficile pensare in termini di collettività: tra le élite e “il mondo di sotto”, tra centro e periferia. Se queste linee hanno da sempre dato forma alle dinamiche, anche partitiche, della politica democratica, ciò che cambia è la profondità della frattura che si produce. I gruppi sociali qui definiti sembrano pertanto vivere in mondi – culturali, valoriali, spaziali, estetici – profondamente estranei tra loro. Questo mina irrimediabilmente la solidarietà che sta alla base della cittadinanza quale strumento per la partecipazione ad una comune vita politica – e sociale. La cancellazione dell’(idea di) società è stata funzionale al progetto neoliberista di erosione dello Stato sociale, fungendo allo stesso tempo da strumento di delegittimazione e di creazione di questa realtà, come una profezia che si autoavvera.
La riproduzione di tale sistema è poi assicurata da un’ulteriore frattura, tra l’io e gli altri: questa indica gli effetti della promessa meritocratica neoliberista, la quale, a livello micro, induce un «narcisismo di massa» e un tipo di individualismo liberal-liberista, profondamente nocivo per la democrazia. A questo punto, non esiste più collettività né solidarietà, ma una serie di soggetti individualizzati che hanno perso fiducia nel ruolo dello Stato, massima espressione della società organizzata.
In questo contesto si registra una tendenza che pare opposta, reattiva alla perdita di legami sociali e profondamente legata a dinamiche emozionali. È qui che si introduce una quarta frattura, tesa a delimitare e ri-definire i confini del “noi”, ma in termini oppositivi e identitari. Ed è proprio l’identità il grande protagonista della politica senza società, lungo tutto lo spettro politico. Se da un lato formazioni e partiti di destra ed estrema destra hanno fatto dell’identità una delle loro armi più forti, movimenti sociali e partiti progressisti hanno d’altro canto partecipato in egual misura all’affermarsi di questo stesso linguaggio. Serughetti concentra la sua analisi sui movimenti sociali progressisti e sul loro rapporto con quella che viene definita l’anti-politica dell’identità. A partire dagli ultimi decenni del Novecento, infatti, i movimenti sociali si fanno progressivamente portatori di istanze culturali e di rappresentazione, che si distaccano sempre di più da bisogni e condizioni materiali. Il conflitto verte su “chi siamo”, delineando gruppi sociali e categorie in virtù di identità spesso essenzializzate. Questo fenomeno porta ad una singolare convergenza con i processi messi parallelamente in moto nella sfera politica istituzionale ed economica. Esemplificativo in questo senso è il caso di una cospicua frangia del movimento femminista: la sua critica dello Stato sociale, il suo antistatalismo e la valorizzazione della sfera privata, sebbene fondati su premesse radicalmente diverse, risultano perversamente funzionali all’affermarsi dell’egemonia neoliberista e all’erosione del welfare state. Progressivamente depoliticizzate, le rivendicazioni identitarie sono svuotate del loro potenziale di cambiamento sociale e assomigliano sempre di più a stili di vita o progetti di affermazione individuale.
Oltre alle implicazioni ideologiche di questo processo, importanti sono le conseguenze organizzative. Sempre nel caso del femminismo, il movimento stesso ne esce frammentato, in virtù dell’appello a identità definite in modo sempre più escludente. Si introducono poi elementi di frammentazione tra i movimenti che fondano le proprie rivendicazioni su elementi culturali, e quelli che portano invece istanze di carattere economico e materiale, come il movimento dei lavoratori. La frammentazione dei movimenti progressisti aumenta esponenzialmente nei decenni successivi, minando le possibilità di convergenza tra le diverse forze del campo progressista.
In questo processo, è interessante lo slittamento semantico e concettuale che subisce la nozione di intersezionalità. Questa nasce nel contesto del femminismo nero statunitense, ad indicare come l’interazione tra diversi sistemi di potere determini forme complesse e specifiche di oppressione e di marginalità. Nel suo incontro con la politica dell’identità, tuttavia, il concetto viene utilizzato in modo sempre più indifferente a rapporti e differenziali di potere. Questo uso ne inficia significativamente il potenziale di critica sistemica, rendendolo così un ulteriore strumento di segmentazione tra gruppi sociali, che vanno a definirsi attraverso la mera sovrapposizione di caratteristiche. I gruppi che ne emergono risultano di volta in volta più escludenti.
L’analisi di Serughetti si ispira al femminismo socialista statunitense e inserisce questo filone della letteratura in un più ampio discorso sulla società e la sua scomparsa. D’altro canto, la particolarità del volume di Serughetti è quella di essere profondamente calato nel contesto italiano, in un’ottica attenta alle connessioni transnazionali dei processi politici (istituzionali e non). Proprio per questo, sarebbe stato interessante avere un quadro più approfondito e mirato ad illustrare le particolarità del caso italiano all’interno del contesto internazionale di frammentazione e depoliticizzazione dei movimenti sociali. Non può non sorgere infatti il dubbio che alcune delle considerazioni che si sono affermate in letteratura rispetto al caso statunitense siano solo parzialmente appropriate in riferimento al caso italiano. Le culture politiche italiane di sinistra hanno mostrato una specificità che – è verosimile pensare – si è tradotta anche in uno specifico approccio alle identità. Lo stesso accade anche per il concetto di intersezionalità, termine importato in Italia dai movimenti femministi degli ultimi anni, ma il cui nucleo concettuale trova nel nostro Paese radici diverse e più legate alla complessità sociale che lo caratterizza[1].
Giungiamo poi alla tesi più originale e interessante del volume: recuperando concetti cardine del pensiero gramsciano, l’autrice sostiene che, al momento presente, l’egemonia neoliberista si sia incrinata, rendendo possibile intravedere delle alternative. Ci troviamo dunque in un interregno, in cui coesistono fenomeni e discorsi radicali e contrastanti. In questo interregno, alcune esperienze dal basso mostrano l’esistenza della società e la rivendicazione di questa sua stessa esistenza.
Serughetti illustra in modo suggestivo ed efficace alcune delle principali esperienze di movimento che hanno interessato l’Italia negli ultimi anni, mettendo l’accento su come questa politica prefiguri un futuro in cui la società sia definitivamente recuperata. Tra i movimenti citati come parte di questo processo vi sono il movimento transfemminista transnazionale Non Una Di Meno, l’esperienza del collettivo di fabbrica GKN a Campi Bisenzio e il movimento ambientalista studentesco Fridays for Future. L’autrice osserva gli elementi che introducono un cambiamento rispetto ai decenni precedenti. Innanzitutto, è stata in molte occasioni superata la frammentazione dei movimenti sociali progressisti: gruppi e rivendicazioni diverse si sono unite in una convergenza che è allo stesso tempo organizzativa e teorica. Le nuove alleanze derivano infatti da un approccio multidimensionale. Una precisa idea di giustizia sociale diviene nuovamente centrale, fungendo da complemento alle istanze di rappresentazione emerse nei decenni scorsi. Condizioni, problematiche e rivendicazioni diverse sono accomunate dalla posizione di vulnerabilità e precarietà da cui sorgono, cui si oppone la lotta per la difesa della vita. Soprattutto a partire dalla crisi del Covid-19, la sfera semantica della vita è estremamente presente nel lessico dei movimenti e si collega alla rivendicazione di una politica della cura. In questo senso, si prefigura una nuova società, fondata sulla consapevolezza dell’interdipendenza tra i soggetti, che scoprono dunque di non essere gli individui atomistici e indipendenti dipinti dalla retorica neoliberista. L’interdipendenza richiama anche un legame con elementi non umani: la cura dell’ambiente è coerentemente inserita nelle rivendicazioni di una vita più bella e più giusta per tutti e tutte.
I concetti qui richiamati sono strettamente legati all’elaborazione teorica del femminismo. L’interpretazione che ne dà Serughetti, richiamandosi ad Angela Davis[2], è quella di un femminismo che si fa metodologia, insegnandoci «come coabitare nelle contraddizioni, nelle differenze, rendendole produttive, e non esclusive né escludenti» (p. 133). Questo permette di recuperare il concetto di intersezionalità in senso post-identitario, come strumento di lettura delle strutture di potere e delle vulnerabilità.
Nel quinto e ultimo capitolo, Serughetti elabora la sua proposta normativa per una «politica terrestre». Si tratta di un’utopia realistica, concreta e quotidiana: utopia perché sorge negli spazi di contestazione di un presente che si pensava ineluttabile. Concreta e quotidiana, perché fondata su pratiche di solidarietà che vengono politicizzate e prefigurano la realtà che si rivendica nella contestazione politica. La politica terrestre si fonda sui corpi – materiali, interdipendenti, vulnerabili. Essa fa propria la difesa della vita, umana e non, coniugando la giustizia climatica con la giustizia sociale. Si tratta di una proposta che recupera la dimensione dell’universalismo, ma arricchendola di ciò che la politica liberale ha relegato alla sfera privata. È questo un universalismo contestuale e dal basso, che permette la costruzione di legami sociali e collettività fondate sulla solidarietà.
Interessante è l’importanza che Serughetti attribuisce agli elementi della temporalità e delle emozioni. Le condizioni per l’elaborazione e l’attuazione di una politica alternativa, in cui la società torni ad esistere, si fondano sull’azione nel presente che si collega alla creatività rispetto al futuro. Le facoltà fondamentali che vi si collegano sono l’immaginazione, la prefigurazione e la speranza. Queste mobilitano risorse emozionali, intellettuali ed etiche. La speranza, in particolare, viene definita come una capacità espansiva, che si estende verso il futuro e verso un noi. Essa non dipende da considerazioni legate alla probabilità. Se siamo in grado di sperare in un futuro che immaginiamo costruito su valori alternativi, allora è possibile costruirlo, a prescindere dalle rappresentazioni del presente dominanti: la speranza spinge all’azione. Alla speranza viene contrapposta la nostalgia, che caratterizza invece la reazione speculare dei populismi di destra, rappresentando un movimento di contrazione. Le facoltà descritte dall’autrice sono indispensabili perché attori collettivi siano in grado di creare un futuro alternativo al presente di crisi in cui viviamo, infrangendo così l’egemonia neoliberista. Queste permettono non solo di mettere in discussione la presunta naturalità dell’ordine economico, sociale e politico, ma anche di costruire una realtà alternativa.
Il volume di Serughetti tratta della società come del ritorno di un rimosso, e lo fa coniugando l’osservazione di processi politici di lungo corso con un’elaborazione teorica normativa. L’interazione tra questi due elementi è caratteristica intrinseca del cambiamento possibile. Questo approccio rende l’opera di particolare interesse, offrendoci una prospettiva originale e inedita nel contesto italiano. L’opera non descrive la società che esiste, ma piuttosto il germogliare di immaginari politici che prospettano e tentano di attuare su piccola scala tale ideale di società, che trova nella cura e nella solidarietà i suoi principi cardine. L’autrice ci dice che la società esiste in senso possibilistico e normativo: è possibile immaginare delle alternative per quanto riguarda i rapporti tra le persone, e tra queste e lo Stato. Ed è necessario farlo, per proteggere la vita.
[1] Su questo, si veda Chiara Bottici, Manifesto anarca-femminista, Laterza, Roma-Bari 2022.
[2] Brian McNeill, Angela Davis visits VCU, reflects on 50 years of activism, calls for a more inclusive, intersectional feminism, «VCU News», 27 febbraio 2017.