Recensione a: Marco Bardazzi, Silicon Europe. La grande avventura della microelettronica e di un’azienda italofrancese che fa girare il mondo, 2022 e Anna Santi (a cura di), SGS: una storia di pionieri. Nascita e sviluppo della microelettronica in Italia, 2022
Scritto da Alessandro Aresu
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Bruno Murari ha attraversato per la prima volta i cancelli di Agrate Brianza nel 1961. Viene assunto col badge n. 184 da SGS, Società Generale Semiconduttori, che preferisce a IBM, con cui pure aveva svolto un colloquio. Da pochissimi anni quell’azienda ha portato l’Italia nella mappa mondiale della microelettronica e Murari, perito, superperito e appassionato di aeromodellismo, già dipendente della galassia ENI di Enrico Mattei, segnerà assieme ad altri protagonisti la sua storia. Una storia che, con diverse incarnazioni, ci porta a STMicroelectronics, società frutto dell’aggregazione tra attori italiani e francesi. Murari è, ancora oggi, parte di quella storia. STMicroelectronics è un’azienda relativamente poco nota rispetto al suo rilievo per l’Italia. Ha più di 11.000 dipendenti, è uno dei principali investitori in ricerca e sviluppo in Italia, a Catania ha costruito un essenziale ecosistema dell’innovazione nel Sud. È attualmente (gennaio 2023) la sesta società a Piazza Affari per capitalizzazione.
Negli ultimi anni, tuttavia, è successo qualcosa. Alcuni eventi internazionali hanno contribuito a stimolare l’attenzione sui semiconduttori, e in particolare la cosiddetta “carenza di chip” a partire dal 2020. Ciò è avvenuto all’interno di un tema più ampio, che ho sviluppato nelle mie ricerche[1]: la competizione tra Stati Uniti e Cina sulle filiere tecnologiche, in una diffusione globale sempre più marcata delle considerazioni di sicurezza nazionale, quale influenza politica sulle scelte economiche. La carenza dei chip ha avuto un effetto in un certo senso “popolare”, perché se “manca la roba” (e una roba molto particolare) e un consumatore non può avere un’automobile o uno smartphone, ciò genera curiosità a tutti i livelli. È l’occasione in cui, almeno per un momento, abbiamo guardato “dentro” l’automobile e lo smartphone, per capire come sono fatti e come funzionano le nostre dipendenze. A questo movimento si affianca l’approfondimento scientifico, storico e di divulgazione: la comunità dell’ingegneria elettronica (un tempo quasi “invisibile”) diviene più rilevante per le scelte dei governi e un volume come Chip War di Chris Miller[2] ha potuto vincere il premio di libro dell’anno del Financial Times. Non solo: gli articoli di Cheng Ting-Fang su Nikkei Asia (sicuramente la giornalista più brillante del settore) hanno conquistato più spesso spazio sulle prime pagine del Financial Times e sono aumentate le visualizzazioni del canale Asianometry di YouTube. In questo contesto culturale, anche la storia di STM riceve nuova attenzione in Italia, grazie al libro Silicon Europe di Marco Bardazzi, giornalista di lungo corso, già alla guida della comunicazione dell’ENI, e grazie alle testimonianze dei pionieri dell’azienda raccolte da Anna Santi, in un interessante esperimento di storia orale.
Il racconto della microelettronica, se visto con la prospettiva degli Stati Uniti, non è certo nuovo. L’appetito per la nascita della Silicon Valley (letteralmente: la Valle del Silicio) ha da tempo prodotto numerosi lavori storici e giornalistici, che si concentrano sulle personalità principali, sul sistema finanziario e in particolare l’industria del venture capital, sui legami con il mondo accademico[3]. Anche un narratore come Walter Isaacson, citato da Bardazzi, si è messo alla prova con il tema, perché dopo la storia di Steve Jobs ha voluto raccontare quella degli innovatori che l’hanno preceduto, toccando quindi anche l’epica di Shockley-Fairchild-Intel.
Il libro di Bardazzi aiuta a vedere l’intreccio di questa storia della tecnologia e dell’impresa del Novecento con l’Italia, dalla fine degli anni Cinquanta con Società Generale Semiconduttori, che nasce dalla curiosa alleanza tra Olivetti, Telettra e Fairchild Semiconductor. Ripercorrere quella storia consente di prestare attenzione a un protagonista sottovalutato dell’Italia tecnologica del Novecento, Virgilio Floriani, e alle sue preziose riflessioni. È poi un intreccio di relazioni internazionali e di talenti in Italia: talenti spezzati troppo presto, come Mario Tchou, o talenti che si sono inseriti in una rete globale, come Federico Faggin[4]. Eppure, questi sono personaggi relativamente noti. La differenza riguarda invece le storie di alcuni manager, ricercatori e ingegneri che da SGS e un’altra azienda, ATES (su cui aveva investito l’americana RCA[5]), portano poi all’aggregazione con i francesi e a STMicroelectronics. Per questo è interessante, attraverso le testimonianze presenti nel libro di Bardazzi e nel testo curato da Anna Santi, conoscere – oltre a Murari – personalità come Guido Zargani, Aldo Romano, Giuseppe Ferla, Mario Santi e molti altri. Tra loro un posto particolare è occupato da Pasquale Pistorio.
In un manifesto degli anni Ottanta, Pistorio è il volto che – con inconfondibili baffi – imita i manifesti del reclutamento militare degli Stati Uniti per dire a una crescente platea di ingegneri e tecnici specializzati che c’è un’azienda che li attende. Esiste una battaglia che vale la pena di combattere. È lui, infatti, manager di natali siciliani, ingegnere del Politecnico di Torino che ha scalato i ranghi di una grande multinazionale dell’epoca, Motorola, a prendere le redini dell’azienda nazionale di microelettronica, che si trovava sotto la galassia IRI ma non godeva affatto di buona salute. Pistorio, rinunciando a buona parte del suo stipendio statunitense per l’avventura italiana, porta avanti una ristrutturazione dura e ambiziosa. Suscita la simpatia di Romano Prodi e degli altri interlocutori col suo ottimismo e la sua carica innovativa. Ed è lui ad avvicinare al mercato l’azienda e a comporre l’aggregazione paritaria con i francesi. Il pregio del libro di Bardazzi è che, attraverso l’introduzione di queste storie delle persone e dei gruppi di ricerca, rende il lettore “disposto” ad affrontare le parti del libro che, in seguito, affrontano gli elementi tecnici dell’industria. Sono paesaggi popolati da acronimi come BCD, FD-SOI, MEMS. La microelettronica, infatti, è difficile.
È normale che i libri che tracciano la storia di una grande azienda nazionale ne parlino in termini simpatetici. Eppure, questo non deve impedirci di guardare anche agli aspetti critici di quella vicenda, che riportano alla domanda complessiva sul ruolo dell’Europa e dell’Italia. Da un lato, insistere troppo sulle debolezze europee e italiane rispetto ad altre geografie, in questo specifico settore, può essere fuorviante. Non c’è stato un periodo in cui l’Europa era la principale potenza mondiale della microelettronica e gli altri attori stavano a guardare. Lo stesso cammino italiano nella microelettronica è senz’altro diverso rispetto alle tragedie nazionali della chimica e delle telecomunicazioni[6].
La storia del settore, inventato dagli Stati Uniti, è stata caratterizzata dalla sfida giapponese, negli anni Ottanta, con quei fenomeni che possiamo chiamare “prima guerra dei semiconduttori”. C’è una tendenza strutturale da almeno trent’anni di spostamento della manifattura avanzata in Asia orientale, in particolare Taiwan e Corea del Sud. E ora ci sono due temi di grande rilievo che si intrecciano, uno politico e l’altro tecnologico: il primo riguarda il ruolo dei chip nel conflitto tra Stati Uniti e Cina (“seconda guerra dei semiconduttori”) e il secondo, in sintesi, coinvolge l’incidenza di chip sempre più avanzati in segmenti “tradizionali” come automotive e industria. Come ho spesso sottolineato[7], questo panorama deve portarci anzitutto a conoscere la profondità della supply chain. Essa, in estrema sintesi, è formata da campioni fondamentali per gli strumenti di design (come le statunitensi Synopsys e Cadence Systems), da designer di chip (le principali aziende sono statunitensi, tra cui Amd, Nvidia, Qualcomm), da attori della chimica e dei materiali, da campioni dei macchinari necessari per la produzione (come le statunitensi Applied Materials, KLA, Lam Research, l’olandese ASML, la giapponese Tokyo Elektron), da aziende che producono per conto terzi oppure integrano design e produzione (tra di esse, TSMC, Samsung, Intel, e i produttori integrati europei tra cui STM), da attori concentrati sui test e l’assemblaggio. Di ognuna di queste realtà, e di molte altre, si potrebbe costruire una storia d’impresa, come si potrebbe parlare a lungo dei principali centri di ricerca pubblici e privati. Uno degli elementi “invisibili” di quest’industria è il lavoro titanico che sta portando avanti un giornalista dei Paesi Bassi, René Raaijmakers, sulla storia di ASML: un’opera in due volumi di cui per ora è uscito il primo, De architecten van ASML del 2017, tradotto in inglese nel 2019 e in seguito, con notevole successo, in cinese.
Alla luce di queste considerazioni, quando parliamo di Europa e Italia del silicio (e del carburo di silicio, del nitruro di gallio), dobbiamo considerare almeno tre livelli. Primo: quali aziende europee e quali capacità ci sono nei segmenti dell’industria, nel suo complesso? Secondo: qual è la posizione e quali sono le prospettive delle industrie europee del settore, quali sono le sfide e i rischi principali che devono e dovranno affrontare? Terzo punto: quanto siamo in grado di alimentare il talento necessario a gestire quello che abbiamo e a prepararci alle novità?
La storia di STMicroelectronics va letta al futuro, anche a partire da queste domande, nel rapporto con le capacità italiane in una catena del valore in cui l’azienda è sicuramente capo-filiera e che contiene altre storie che meritano di essere raccontate, a partire da Spea e Technoprobe[8]. In termini gestionali e strategici è molto importante capire, anche in termini critici, i passaggi più difficili della storia di STM. A partire dalla profonda crisi, ricordata da Bardazzi, generata dal declino di Nokia e dalla perdita delle capacità europee nella telefonia. Per allargare lo sguardo, dobbiamo paragonare STM con gli altri attori europei simili, come la tedesca Infineon e l’olandese NXP, eredi di Siemens e di quella Philips che ha messo lo zampino in tante storie dell’industria, tra cui ASML e TSMC. Negli ultimi quindici anni, qual è stata la performance relativa di STM rispetto a Infineon nei principali segmenti di interesse? Chi ha fatto meglio e chi peggio e dove? Quali sono le sovrapposizioni? Quale ruolo hanno giocato e possono giocare le acquisizioni? Che cosa si può imparare da questo paragone? E andando più a fondo della collaborazione tra Italia e Francia sulla microelettronica, che cosa può essere migliorato per fare gli interessi degli italiani? Gli studiosi di varie discipline, sfruttando anche l’attenzione crescente per la microelettronica, potranno fornire le risposte migliori a queste domande e, allo stesso tempo, una traccia per il futuro utile ai decisori e all’opinione pubblica.
Più in generale, è utile continuare a chiederci cosa manchi all’Europa del silicio, rispetto alle altre principali aree, gli Stati Uniti e l’Asia orientale. Una risposta semplice, quasi banale, riguarda la capacità e la sensibilità finanziaria. Il denaro europeo è consistente ma, con alcune eccezioni, perde le occasioni delle grandi scommesse tecnologiche. Si tratta anche di un problema culturale al quale finora non si è posto rimedio. Siamo sinceri: quanti gestori di fondi pensione e di altri investitori istituzionali nazionali conoscono Bruno Murari e gli altri pionieri della microelettronica in Italia? Secondo me, quasi nessuno. Io, per lavoro e passione, ho conosciuto buona parte della comunità accademica e scientifica del nostro Paese nella microelettronica e non mi risulta che i fondi, statali o non statali, abbiano passato il tempo a bussare alla porta di Luca Benini, Enrico Sangiorgi o Corrado Spinella per farsi spiegare come funziona l’industria. Questo è parte del problema. Allora è il caso di svegliarsi: le prospettive di start-up e scale-up del settore non sono né saranno comprensibili solo attraverso parametri finanziari. Nella storia del venture capital e del private equity degli Stati Uniti c’è anche il continuo scambio con le competenze tecniche, un contesto che ha vari difetti ma in cui la finanza a volte abita gli stessi luoghi della tecnologia. Noi europei dobbiamo ancora compiere questo passaggio. Per ora, anche nell’ambito europeo, mentre è cominciato il lavoro di mappatura delle supply chain del continente ed è ormai cresciuta la sensibilità sugli investimenti nei settori ad alta tecnologia, si parla troppo di “unicorni” in termini di chiacchiere invece di chiarire come si possa realizzare il circolo virtuoso tra finanza e tecnica. Anche da questo punto di vista, nell’ottica dell’Italia sarà utile analizzare qualche caso positivo, come per esempio la storia di Seco.
Inoltre, dobbiamo capire quale sia il ruolo più appropriato dei pubblici poteri, nei vari contesti. Come ho mostrato nel mio ultimo libro e altrove[9], non ha alcun senso dire che ASML, il più grande successo europeo, sia figlio di uno “Stato imprenditore”. Il successo dell’azienda si può spiegare chiaramente attraverso altri parametri. Anche per i principali fornitori di ASML, i tedeschi di Zeiss e Trumpf, si potrebbe fare un ragionamento simile. In termini diversi, è sufficiente considerare gli altri operatori europei che si muovono nel segmento di STM per mostrare quanto siano limitati i discorsi su una peculiare differenza derivante dal controllo pubblico. In generale, spiegare la complessità della supply chain dei semiconduttori attraverso un concetto come “neoliberismo” è nel migliore dei casi inutile e nel peggiore dei casi caricaturale. Allo stesso tempo, il settore è sempre stato caratterizzato da variegate modalità di intervento pubblico, non solo per la semplificazione delle autorizzazioni senza cui nessuno pensa nemmeno di investire, ma anche per la promozione e la realizzazione dei suoi vari segmenti, nonché per gli ecosistemi di interscambio tra impresa, formazione e ricerca su cui Taiwan e la Corea del Sud hanno raggiunto l’eccellenza. Oggi questo è ancora più vero, con la corsa agli investimenti pubblici che, come era inevitabile, ha già iniziato a fare i conti con i cicli che caratterizzano l’industria. Allora, oltre a svolgere il compito di conoscere la realtà delle cose, nonché quello di attrarre investimenti e migliorare la consapevolezza culturale della microelettronica, cosa deve fare il settore pubblico? Sono domande aperte alla navigazione degli studiosi e dei nuovi protagonisti che, come i pionieri di STM che amano andare in barca a vela in Sardegna, seguiranno la bussola della microelettronica. Con lo sguardo verso la sabbia e il suo silicio.
[1] Alessandro Aresu, Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina, La Nave di Teseo, Milano 2020 (qui recensito da Pandora Rivista); Id., Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia, Feltrinelli, Milano 2022 (qui recensito da Pandora Rivista).
[2] Chris Miller, Chip War. The Fight for the World’s Most Critical Technology, Scribner’s, New York 2022.
[3] Per la storia delle personalità, si pensi tra l’altro – ma la bibliografia è sterminata – a T. R. Reid, The Chip. How Two Americans Invented the Microchip and Launched a Revolution, Penguin Random House, New York 2022, Michael S. Malone, The Intel Trinity. How Robert Noyce, Gordon Moore, and Andy Grove Built the World’s Most Important Company, Harper Business – HarperCollins, New York 2014.
[4] Intervistato su Pandora Rivista 1/2021 – Frontiere: Alberto Prina Cerai, Oltre il silicio: dalle origini dei microprocessori all’informazione quantistica. Intervista a Federico Faggin
[5] RCA, storica azienda delle radio degli Stati Uniti (fu General Electric ad acquistare queste attività della Marconi) ha un ruolo importante nella storia dei semiconduttori negli anni Settanta perché protagonista della licenza a Taiwan che precede l’arrivo di Morris Chang.
[6] Si veda tra l’altro Alessandro Aresu, Per una biografia geopolitica di Telecom, «Limes», n.10, 2018.
[7] Si vedano tra l’altro Alessandro Aresu, Come finisce la guerra dei semiconduttori, «Limes», n.10/2022, Id., La guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina, «Aspenia», n.99, 2022; Id., Taiwan, l’isola dei chip, «Limes», n.12/2022.
[8] Si veda anche Simone Antonio Sala, Il chip parla italiano, «Limes», n. 12, 2022.
[9] Si veda tra l’altro Alessandro Aresu, La competizione tecnologica fra Washington e Pechino passa da un paesino olandese, «Domani», 25 novembre 2022.