Scritto da Laura Ramaciotti
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Laura Ramaciotti, autrice di questo articolo, è la Rettrice dell’Università di Ferrara.
Nel dicembre 2015 la Commissione europea ha lanciato il suo piano d’azione per l’economia circolare (EC), ridefinito nel 2020 prima della crisi pandemica dovuta al Covid-19. L’obiettivo primario delle strategie alla base di queste disposizioni è quello di sbloccare e incrementare potenziale di crescita e di occupazione dell’EC, aumentando la competitività dell’Unione attraverso nuove opportunità di business e mezzi innovativi di produzione e consumo (EMF, 2015). Su questa base si fonda la strategia definita dalla Regione Emilia-Romagna con il nuovo Patto per il Lavoro e per il Clima, che pone traguardi ambiziosi ma necessari per uno sviluppo davvero sostenibile della Regione. La risposta alla crisi, ai cambiamenti climatici e alla disuguaglianza sembra quindi passare per la transizione verso un’economia sostenibile – in particolare circolare – e digitale. Sostenibilità e digitalizzazione emergono quali fattori imprescindibili di questo processo. In questo quadro, la pandemia ha accelerato il processo in atto e al contempo portato alla luce alcune delle debolezze latenti del sistema. Tra queste, la precarietà del lavoro, in particolare delle donne e dei giovani. Le disparità di accesso alle tecnologie informatiche e alla rete, che durante la pandemia sono state a tratti i tramiti esclusivi alla fruizione di servizi fondamentali come l’istruzione, acuiscono le disuguaglianze sociali e la vulnerabilità di bambini e ragazzi delle famiglie più povere. La proposta sostenibile, allora, si offre di delineare quattro sfide fondamentali: quella demografica, dell’emergenza climatica, della trasformazione digitale e della riduzione delle disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali.
In questo scenario, il collante che tiene insieme tutti gli aspetti coinvolti è il lavoro e le attività delle imprese, che in concertazione con organi istituzionali, università ed enti di ricerca si fanno garanti della necessità di effettuare investimenti strategici in grado di portare il territorio verso gli obiettivi di sostenibilità delineati dall’Agenda 2030. Il rovesciamento del sistema di produzione e consumo deve, quindi, farsi carico di questa responsabilità mettendo le imprese e i consumatori al centro del dibattito, considerando il loro compito essenziale al raggiungimento degli obiettivi del Patto. I nuovi processi di produzione rappresentano un aspetto fondamentale nella determinazione della sostenibilità delle risorse future, e stanno attraversando una profonda trasformazione aiutati dal nuovo paradigma economico e culturale che si sta facendo strada. L’economia circolare propone un approccio cruciale e puntuale nella transizione verso un’economia sostenibile, promuovendo un sistema compatibile con aziende e Paesi per ridurre i costi di input, e contraddistinto da un carattere multidisciplinare. Le implicazioni sul mercato del lavoro sono evidenti. La crescita sostenibile e la sinergia fra digitale ed EC potrebbero cambiare per sempre il mercato del lavoro, sia dal punto di vista dei processi e delle risorse, sia delle persone e delle competenze messe in atto. Il digitale è una leva indispensabile per le attività legate a tutto tondo all’EC e ai suoi nuovi modelli di business, costituendo uno strumento indispensabile per monitorare i cicli di vita di un prodotto, analizzare la quantità di merce prodotta, sfruttare gli insights di acquisto e consumo e, grazie allo studio predittivo, venire incontro alle esigenze del consumatore/cliente in fase produttiva, evitando così sprechi e sovrapproduzione. Una domanda chiara, una produzione trasparente e tracciabile e un meccanismo di feedback continuo permettono soluzioni più sostenibili.
L’impatto dell’EC sul mercato del lavoro, secondo il rapporto OCSE del 2020, va analizzato su diversi piani: la creazione di nuovi posti di lavoro, la sostituzione di posti di lavoro esistenti con altri (ad esempio nel caso di settori penalizzati come il carbone o le sostanze inquinanti), la distruzione di posti di lavoro e infine la ridefinizione, in cui all’interno dello stesso ruolo cambiano i metodi e le abilità durante il passaggio dall’economia lineare a quella circolare. Tra il 2012 e il 2018 l’occupazione collegata all’economia circolare nell’Unione Europea è cresciuta del 5%, raggiungendo circa 4 milioni di lavoratori. In Italia, secondo gli ultimi dati, se ne contano poco più di 500.000, per un tasso di occupazione pari al 2,06%, superiore alla media europea (OCSE, 2020).
In questo processo di cambiamento un ruolo da protagonista è riservato all’eco-innovazione che agisce come strumento di supporto a ogni livello (macro-meso-micro); il punto di partenza è che l’EC si avvalga di una strategia innovativa complessiva che travalichi il solo miglioramento nell’uso delle risorse. L’innovazione verde in questo caso ha il compito di portare a un cambiamento radicale nel modo di pensare, produrre e consumare. Il paradigma circolare va oltre l’innovazione standard (prodotto, processo e organizzazione) per raggiungere un cambiamento sistemico che influenzerebbe, così, anche il contesto istituzionale e sociale. I cambiamenti strutturali richiedono particolari disposizioni dei decisori politici necessitando dell’impegno istituzionale, dello sviluppo tecnologico e dell’accettazione da parte dell’utente finale: intraprendere il percorso di transizione implica, quindi, l’interazione di diverse strategie. Sulla base di queste considerazioni, la “nuova” economia richiede modelli di business capaci di adattarsi e di modellarsi a seconda delle diverse esigenze. La versatilità dei processi di produzione e consumo rappresenta la risposta alla necessità di un sistema economico resiliente, che sia in grado di rispondere ai grandi cambiamenti e alla scarsità delle risorse.
L’analisi del tessuto imprenditoriale, delle scelte aziendali in ambito circolare e dei loro investimenti in formazione, innovazione e sviluppo diviene fondamentale al fine di indirizzare le attività degli organi preposti alla riprogettazione dell’intero sistema in ottica circolare. Il modello corrente di produzione e consumo è un modello lineare: le imprese sfruttano le materie prime vergini, le trasformano utilizzando lavoro ed energia e le distribuiscono al consumatore che, dopo l’utilizzo, procede allo smaltimento di quegli stessi prodotti ormai diventati rifiuti. Ne segue, dunque, un ruolo fondamentale svolto dalle imprese.
Per rilevare lo stato di adozione delle strategie di EC nel tessuto imprenditoriale della Regione, il Centro per la Ricerca su Economia Circolare, Innovazione e SMEs (CERCIS) dell’Università di Ferrara ha condotto una survey incentrata sui temi delle innovazioni circolari e della digitalizzazione delle stesse. La rilevazione ha coinvolto un campione di 1603 imprese emiliano romagnole nel periodo 2017-2019. L’analisi di questo considerevole bagaglio informativo ci consente di tracciare i profili delle imprese che operano sul territorio provando a riconoscerne i fattori abilitanti alla transizione. Analizzando la distribuzione delle imprese per provincia rispetto alla loro dimensione emerge che la stessa ricalca la struttura produttiva regionale, evidenziando la prevalenza di microimprese. Inoltre, come appare dal grafico che segue, il territorio regionale è caratterizzato per lo più da imprese a bassa tecnologia: considerando l’intensità tecnologica del settore di appartenenza, oltre il 40% delle imprese si distribuisce all’interno di settori caratterizzati da un’intensità tecnologica medio-bassa, e oltre il 30% da un’intensità tecnologica bassa, mentre solo il 2% fa parte di settori ad alta intensità tecnologica.
Figura 1 Distribuzione delle imprese per provincia e per settore ad intensità tecnologica di appartenenza, dati CERCIS su nostra elaborazione.
Nonostante un tessuto produttivo che non vede le grandi imprese protagoniste e traino della Regione, i dati mostrano che il 34% e il 33% hanno introdotto innovazioni rispettivamente di prodotto e di processo (Tabella 1 e 1B). Naturalmente nell’ottica circolare le innovazioni devono essere finalizzate al raggiungimento di obiettivi in linea con il nuovo paradigma economico. A questo proposito, lo studio ha analizzato l’introduzione di innovazioni che possono riferirsi strettamente al processo e al prodotto circolare. I dati evidenziano che nel triennio 2017- 2019 meno del 30% delle imprese intervistate ha investito in attività di ricerca e sviluppo circolare, mentre circa il 33% ha introdotto innovazioni di tipo circolare (533 su 1.603 imprese rispondenti).
Tabella 1a Tabella 1b. Percentuale di imprese che hanno introdotto innovazioni di prodotto e di processo, dati CERCIS.
Come mostra la tabella che segue (Tabella 2) le innovazioni circolari maggiormente implementate sono collegate alla gestione dei rifiuti, probabilmente come conseguenza di una normativa più stringente in materia. Questa stretta può aver spinto le imprese verso soluzioni che oltre alla riduzione del volume dei rifiuti stessi, consentano inoltre di reimmettere i propri scarti nel processo produttivo quali input per altre imprese.
Così facendo si aumentano certamente le sinergie fra soggetti che, pur appartenendo spesso a settori differenti, si trovano a poter collaborare giovando della cooperazione reciproca. Un’altra strategia innovativa ha riguardato il cambiamento di design del prodotto, in particolare per aumentarne la riparabilità. Il design costituisce uno degli aspetti fondamentali dell’EC consentendo di modificare i prodotti in modo che siano circolari “dal loro interno”, e non solo nel loro processo o nella loro riciclabilità alla fine della loro vita utile. Concepire un oggetto in modo tale che sia facile ripararlo nel corso del suo intero ciclo di vita, fa sì che essa stessa si allunghi con il duplice vantaggio di ridurre sia il volume complessivo di rifiuti prodotti sia la necessità di nuovo input per la sua produzione. Anche l’uso di biomateriali si pone come strategia innovativa sul territorio emiliano romagnolo, ma ciò non desta sorpresa date le caratteristiche settoriali presenti. L’analisi delle stesse innovazioni, osservate tenendo conto della dimensione di impresa e del settore ad intensità tecnologica di appartenenza, ha mostrato che sono per la maggior parte le micro e piccole imprese appartenenti a settori con intensità tecnologica medio-bassa ad aver introdotto innovazioni circolari.
Accanto all’impegno delle imprese per effettuare innovazioni che siano in grado di apportare cambiamenti sul piano circolare, va considerato anche quanto viene fatto sul piano della transizione digitale. Non a caso si è soliti parlare di “transizioni gemelle”, come se l’una non potesse non tener conto di quanto accade sull’altro piano d’azione. La presenza di un Programma come Industria 4.0 avrebbe dovuto aiutare le imprese in questo processo; in realtà ciò che emerge dalla survey CERCIS è che solo 17% delle imprese che hanno introdotto innovazioni di tipo tecnologico ha sfruttato il programma, e tra le micro e piccole imprese – quelle maggiormente diffuse sul territorio regionale – sono soprattutto quelle appartenenti a settori medium-low e low tech che hanno sfruttato le opportunità offerte.