Scritto da Diego Ceccobelli
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Uno dei fenomeni che sta caratterizzando in maniera sempre più evidente la fase politica contemporanea è quello delle dinastie democratiche. Il potere, in moltissime democrazie contemporanee, sembra essere diventato una “questione di famiglia”. Il caso mediaticamente più eclatante, ma solamente l’ultimo in ordine cronologico, è rappresentato senza ombra di dubbio dalla candidatura di Hillary Clinton, moglie di Bill (Clinton), per la carica di presidente degli Stati Uniti. Tuttavia, il fenomeno delle dinastie democratiche, ossia la presenza e/o il semplice tentativo dei membri di una stessa famiglia di ricoprire i ruoli politici apicali di un determinato Paese, non si ferma al caso statunitense. Letto in ottica comparata, sono infatti moltissimi i casi che testimoniano come, con il passare del tempo, i membri di una stessa famiglia tendano a concorrere per la conquista delle principali cariche politiche del proprio Paese. Considerando unicamente l’Europa Occidentale, il Nord America e il Sud America, i principali casi di dinastie democratiche contemporanee sono i seguenti:
Hillary Diane Rodham Clinton (Stati Uniti), segretario di Stato degli Stati Uniti e candidata per le primarie del Partito Democratico: è la moglie di Bill Clinton, presidente degli Stati Uniti dal 1992 al 2000.
Jeb Bush (Stati Uniti), candidato per le primarie del Partito Repubblicano: è il fratello minore di George W. Bush, presidente degli Stati Uniti dal 2000 al 2008; e figlio di George H. W. Bush, presidente degli Stati Uniti dal 1988 al 1992.
Justin Trudeau (Canada), leader del Partito Liberale del Canada: è il figlio di Pierre Trudeau, primo ministro del Canada dal 1968 al 1979.
Keiko Fujimori (Perù), sconfitta da Hollanta Humala Tasso nel secondo turno delle elezioni presidenziali peruviane del 2011; e uno dei principali candidati per le elezioni presidenziali peruviane del 2015: è la figlia di Alberto Fujimori, presidente del Perù dal 1990 al 2000.
Aecio Neves (Brasile), sconfitto da Dilma Rousseff nel secondo turno delle elezioni presidenziali brasiliane del 2014: è il nipote di Tancredo Neves, eletto presidente del Brasile nel 1985.
Cristina Fernandez De Kirchner (Argentina), presidente dell’Argentina: è la vedova di Nestor Kirchner, presidente dell’Argentina dal 2003 al 2007.
Luis Albert Lacalle Pou (Uruguay), sconfitto da Tabarè Vazquez nel secondo turno delle elezioni presidenziali uruguaiane del 2014: è figlio di Luis Alberto Lacalle Herrera, presidente dell’Uruguay dal 1990 al 1995.
Marine Le Pen (Francia), leader del Front National: è figlia di Jean Marine Le Pen, sconfitto da Jacques Chirac nel secondo turno delle elezioni presidenziali francesi del 2002.
Ed Miliband (Regno Unito), ex leader del Partito Laburista Britannico: nel 2010 ha sconfitto il fratello, David Miliband, nell’elezione che lo ha eletto leader del Partito Laburista Britannico.
Jens Stoltenberg (Norvegia), primo ministro norvegese dal 2000 al 2001 e dal 2005 al 2013: è il figlio di Thorvald Stoltenberg, ministro norvegese degli esteri e della difesa tra gli anni Ottanta e Novanta.
I figli, le mogli o i nipoti dei leader contemporanei sono sempre più in grado di seguire le orme (politiche) dei propri famigliari, ereditando il capitale politico raccolto in passato dai propri padri, nonni o mariti. Sebbene i referenti empirici del fenomeno delle dinastie democratiche stiano crescendo in maniera esponenziale, è molto raro trovare, sia nella letteratura politologica sia nel dibattito giornalistico quotidiano, delle analisi o semplici commenti atti a individuare le cause che stanno spingendo buona parte delle democrazie contemporanee ad affidarsi ai membri di una stessa famiglia.
Come per molti altri fenomeni politici, il progressivo indebolimento dei partiti rappresenta un primo fattore in grado di spiegare (anche) quello delle dinastie democratiche. In una fase nella quale la selezione delle leadership contemporanee è sempre più vincolata alla capacità di un attore politico di instaurare un rapporto diretto con i cittadini attraverso i media, i partiti hanno perso buona parte della loro storica capacità di selezionare al proprio interno la classe dirigente di un paese. Come in un’azienda di famiglia, è molto facile che un figlio, una moglie o un nipote di un primo ministro imparino l’arte della politica tra le mura domestiche, meno tra quelle di una sede di partito.
La politica, poi, sta tornando a essere una questione per ricchi. O quantomeno, una questione di (tanti) soldi. Come ci ricordano quotidianamente gli studiosi statunitensi, la prima regola per comprendere le dinamiche politiche contemporanee è la seguente: “follow the money!”. Questo non vuol dire che il figlio di un operaio, di un contadino, o di un insegnante delle elementari, non possa ambire a guidare il proprio paese o a ricoprire delle cariche politiche apicali. Come per le dinastie democratiche, anche i casi di leader politici “provenienti dal nulla” sono all’ordine del giorno (vedi ad esempio i casi di Stefan Lofven, primo ministro svedese; Sigmar Gabriel, leader della SPD; oppure Pierluigi Bersani, ex segretario del Partito Democratico). Il fatto è che la complessità dei processi politici contemporanei porta il figlio/a, nipote o marito/moglie di un attore politico a godere di un vantaggio competitivo sempre più rilevante nell’acquisizione di quelle competenze e capacità attraverso le quali scalare la piramide del potere.
Insomma, oltre al “follow the money” tanto caro alla letteratura statunitense, bisognerebbe iniziare a considerare anche un sempre più attuale “follow the family”. Soprattutto, bisognerebbe iniziare ad imbastire un dibattito serio sul tema. Gli anni passano, le dinastie democratiche aumentano, ma (quantomeno) un ragionamento serio sul motivo per il quale la politica stia tornando a essere una “questione di famiglia” non sembra (ancora) all’ordine del giorno. Forse è giunto il momento.