Recensione a: Francesco Giumelli, Le sanzioni internazionali. Storia, obiettivi ed efficacia, il Mulino, Bologna 2023, pp. 168, 15 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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Le sanzioni adottate da Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito e altri Paesi nei confronti della Federazione Russa a seguito dell’invasione dell’Ucraina hanno posto al centro del dibattito pubblico il tema relativo al sempre più marcato utilizzo di questo strumento giuridico-economico nel panorama internazionale. In merito, va senz’altro segnalato il nuovo libro di Francesco Giumelli, professore di Relazioni internazionali presso l’Università di Groningen, Le sanzioni internazionali. Storia, obiettivi ed efficacia, edito da il Mulino. Il volume intende offrire al lettore una panoramica generale sulle sanzioni, nonché gli strumenti analitici più convincenti per tratteggiarne il volto: chi le dispone e chi le subisce? Come si misura la loro efficacia? Quali sono stati gli sviluppi storici?
Innanzitutto, l’utilizzo delle sanzioni non rappresenta un fenomeno recente. Invero, esse nascono come arma insita negli scambi commerciali: affinché si possano applicare misure sanzionatorie, è infatti necessario che due Paesi abbiano rapporti economici tra loro, così da permettere un’interferenza per ragioni politiche – ad esempio, impedire gli scambi per escludere un Paese dall’approvvigionamento di un determinato bene –, mentre non potrebbero nemmeno astrattamente essere concepite in scenari autarchici. In sostanza, è l’interdipendenza economica il terreno fertile delle sanzioni, che integrano per certi versi l’effetto collaterale della stessa, anche nella sua fase solo embrionale. Dunque, non c’è da stupirsi se il primo episodio rilevante nella letteratura sul tema sia quello del blocco dei porti ateniesi ai mercanti della città di Megara durante la Guerra del Peloponneso, risalente a migliaia di anni fa. Dopodiché, è ovvio che la diffusione delle sanzioni abbia raggiunto una portata sostanziale soprattutto con l’integrazione dei mercati dopo la fine della Guerra Fredda, stante i diversi ordini di grandezza.
È infatti a partire dagli anni Novanta che le sanzioni diventano parte integrante della governance globale. La globalizzazione, anche finanziaria, accresce l’interdipendenza tra Stati e imprese, rendendo più incisive eventuali interferenze finalizzate a colpire i propri partner commerciali o gli attori abitanti le piazze finanziarie. Le Nazioni Unite assumono un ruolo di maggiore protagonismo nelle crisi, in quanto la caduta dell’URSS favorisce una discreta distensione in seno al Consiglio di sicurezza – tra il 1945 e il 1989, sottolinea Giumelli, l’ONU aveva utilizzato le sanzioni in solo due occasioni, nel caso della Rhodesia Meridionale e del Sudafrica. In generale, secondo una rielaborazione dei dati del Global Sanctions Database proposta dall’autore, nel periodo 1949-1970 sono state adottate in media 6.7 sanzioni all’anno, nel periodo 1971-1991 il numero è salito a 13, per poi arrivare a 24.8 nella stagione 1991-2011 e infine a 37 tra il 2012 e il 2022. Un aumento dettato dalla già menzionata maggiore attività delle Nazioni Unite, ma anche e soprattutto dalla parallela azione autonoma degli Stati (sovente sono i singoli Paesi, per ragioni di interesse nazionale, a introdurre sanzioni) o organizzazioni regionali, come l’Unione Europea. Su quest’ultimo aspetto, da un punto di vista teorico, si è soliti distinguere tra sanzioni multilaterali, come quelle adottate dall’ONU (che dovranno dunque trovare l’accordo di tutti i membri del Consiglio di sicurezza, motivo per cui questo tipo di sanzioni non potrà mai essere applicato alla Russia, avendo questa il potere di veto), idonee ad essere vincolanti per tutti i Paesi, e sanzioni unilaterali, adottate dai singoli Stati per ragioni autonome di politica estera, non idonee ad impegnare i Paesi terzi (salva la prerogativa extra-territoriale degli Stati Uniti, che utilizzano il dollaro come estensione de facto della propria sovranità).
Sul fronte invece dei soggetti bersagliati, a partire dagli anni Novanta si sono verificate diverse evoluzioni nell’uso dello strumento. Difatti, storicamente le sanzioni hanno sempre avuto come bersaglio gli Stati; in sostanza, i poteri pubblici responsabili di determinate azioni. Di conseguenza, il raggio di applicazione dello strumento sanzionatorio aveva una portata piuttosto estesa e poteva tradursi in veri e propri embarghi o comunque in significative restrizioni dei commerci con lo Stato-bersaglio. Aspetto che, nel caso delle sanzioni adottate dall’ONU (e dunque applicate da ogni Paese), poteva comportare conseguenze piuttosto pesanti sulla popolazione del Paese colpito. È il caso, scrive Giumelli, delle sanzioni delle Nazioni Unite nei confronti dell’Iraq a seguito dell’invasione del Kuwait, dalle quali è scaturito un acceso dibattito sulle conseguenze umanitarie delle stesse, in particolare a partire da un famoso articolo su Lancet del 1995 che imputava ad esse la morte di 500.000 bambini. Questo e altri motivi – l’integrazione finanziaria, le nuove pratiche di criminalità e terrorismo, l’emersione di gruppi mercenari e paramilitari collegati agli Stati, la gravità di talune azioni personali non riconducibili alla ragione di governo – hanno così condotto all’utilizzo delle sanzioni mirate: verso singoli individui, imprese, settori, figure politiche. «Ad esempio, membri del governo e loro familiari, ma anche sindaci e governatori di regioni nelle quali si sono verificate violenze contro la popolazione civile. Membri di parlamenti sono stati bersaglio di sanzioni per avere votato leggi ingiuste, ma anche aziende (private e non), con l’obiettivo di colpire direttamente quei gruppi che potrebbero beneficiare di politiche perseguite dai governi, come il recente caso degli oligarchi russi. Pure i partiti politici, come UNITA in Angola ma anche i talebani in Afghanistan, sono spesso presi di mira dalle sanzioni, sempre con l’intento di influenzare processi decisionali interni. Infine, un’altra iniziativa in evoluzione prevede l’adozione di misure restrittive dirette a territori controllati da organizzazioni ribelli che, per definizione, posson cambiare nel tempo. Ad esempio, la proibizione di vendere armi all’ISIL in Medio Oriente fu vincolata ai territori da esso controllati» (p. 53).
Dopodiché, anche a seconda del soggetto bersagliato, le sanzioni sono destinate ad assumere molteplici forme: possono consistere in divieti di esportare o importare determinati beni (si pensi al divieto europeo di esportare tecnologie dual use alla Russia e il divieto di importare carbone dalla stessa); congelamento di fondi, riserve e beni; esclusioni da circuiti finanziari; limitazioni all’ingresso nel territorio statale; divieti di prestare servizi, assistenza e know-how. Va evidenziato che un denominatore comune sono le eccezioni di tipo umanitario, come ad esempio la possibilità di esportare comunque farmaci e medicinali.
Per quanto concerne le motivazioni addotte per l’uso delle sanzioni, Giumelli offre una panoramica delle più diffuse: dalla promozione e protezione della democrazia alla tutela dei diritti umani, dalla lotta al narcotraffico a quella contro il proliferare di armi chimiche e nucleari, passando per il terrorismo e i più recenti fenomeni cyber. L’autore si sofferma poi sulle sanzioni adottate sulla base di mere ragioni strategiche riconducibili all’interesse nazionale. Invero, specie per quanto riguarda le sanzioni unilaterali, verrebbe da dire che tutte – anche quelle che si nascondono dietro alla tutela della democrazia o dei diritti umani – hanno un volto intrinsecamente legato agli obiettivi nazionali. In ogni caso, di recente si sono sviluppate vere e proprie forme di sanzioni mirate volte ad indebolire taluni settori di competitor strategici, in un’ottica di guerra economica vera e propria. L’esempio più emblematico è quello dei controlli sull’export alla Cina di determinate tecnologie necessarie per lo sviluppo di semiconduttori e intelligenza artificiale da parte degli Stati Uniti, così da indebolire il relativo comparto di Pechino. Anche l’Unione Europea – al netto delle sue contraddizioni, della sua proiezione normativa e degli insopprimibili interessi nazionali divergenti che la abitano – pare avere aumentato negli ultimi anni l’uso di sanzioni giustificate da motivi di interesse “europeo”: «Lo studio comparativo dei 48 casi suddivisi in 85 episodi di sanzioni pubblicato nel 2021 ha evidenziato 10 casi in cui l’interesse UE è esplicitamente menzionato nei documenti ufficiali, a partire dalle misure contro gli Stati Uniti nel 1996 fino alle misure contro la Russia nel 2022, passando per le sanzioni contro la Turchia nel 2019. Queste ultime, ad esempio, sono state adottate nei confronti delle persone fisiche e giuridiche responsabili o coinvolte nell’attività di trivellazione non autorizzata di idrocarburi nel Mediterraneo orientale. Nello specifico, le attività non autorizzate sono avvenute all’interno delle acque territoriali o della zona economica esclusiva di Cipro, quindi si sono profilate come una minaccia diretta a un membro dell’Unione Europea» (p. 99).
Infine, un appunto merita l’interrogativo circa l’efficacia o meno delle sanzioni. Sul tema, gli studi sono vastissimi. Giumelli, dopo aver riportato alcuni dei risultati emersi dai casi analizzati (ad esempio, 30% di successo secondo il Threat and Imposition of Economic Sanctions, così come per il Global Sanctions Database), si cimenta non tanto in una discussione sul merito, quanto in una sul metodo. Ossia, per definire se le sanzioni hanno successo o sono efficaci, bisogna prima stabilire confini semantici, target, effetti diretti o indiretti, profili di contesto. A tal fine, l’autore suggerisce una metodologia basata su cinque elementi: ruolo delle sanzioni; logica delle sanzioni; impatto ed effetti; costi; utilità comparata. Solo una volta chiariti i termini della discussione è possibile, infatti, ragionare sul tema dell’efficacia o meno delle sanzioni, in modo da evitare conclusioni affrettate o eccessivamente discrezionali.
Le sanzioni sono ormai diventate, da strumento originariamente concepito come eccezionale, parte integrante della governance globale. Salvo movimenti radicali in una direzione di globalizzazione regionalizzata o, al contrario, di maggiori forme di cooperazione, è difficile immaginare che nel prossimo futuro l’utilizzo delle sanzioni sarà ridimensionato, e così sembra suggerire l’autore. Motivo per cui l’analisi sulle logiche che le animano si rende senz’altro necessaria. Si pensi alle diverse imprese, costrette a muoversi in uno scenario sempre più complicato, ove la certezza del diritto tende a lasciare spesso il passo alle esigenze politiche. Ben vengano, dunque, contributi come quello di Francesco Giumelli, che hanno il merito di fornire al lettore gli strumenti essenziali per seguire un dibattito sempre più pregnante.