Scritto da Giacomo Centanaro
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«C’è stato un tempo in cui si facevano le cose impossibili. C’è stato un tempo»[1]. Così inizia il romanzo di Francesco Pinto Il lancio perfetto dedicato non solo alla fase particolare della scienza italiana di cui qui si tratterà, ma anche ai suoi protagonisti. Perché ogni fase storica ha i suoi volti. Nomi, vite ed esperienze memorabili che nella storiografia e nella memoria collettiva hanno rappresentato movimenti più ampi e, a volte, più complessi. Il tempo cui si riferisce Pinto, il tempo delle “cose impossibili”, era la giovane Repubblica Italiana degli anni Sessanta.
L’Italia del secondo dopoguerra ha offerto alla storia del nostro Paese un grande pantheon di biografie uniche che, in quel periodo più che in altri, hanno visto in singole esistenze l’avvicendarsi di più vite: da esiliati a professori, ministri e presidenti della Repubblica, da operai a partigiani a capitani di aziende pubbliche, da militari a scienziati. Anche l’Italia di quei decenni viveva più vite, che coesistevano nel medesimo corpo: il mondo agricolo e l’esodo dalle campagne, la vera industrializzazione, la repubblica democratica, gli impulsi riformatori del centro-sinistra e gli istituti e alcune sacche del mondo del ventennio fascista che persistevano, l’arretratezza economico-sociale di tante aree, e l’ambizione spaziale.
Questo articolo è dedicato principalmente a una parte del lavoro da scienziato e da servitore pubblico di una di queste figure: Luigi Broglio, professore all’Università di Roma e alto ufficiale (raggiunse il grado di generale) del genio dell’Aeronautica Militare. Un uomo alto, riservato, morigerato e dalla grande cortesia, che tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta riuscì a catalizzare, grazie alla sua visione e alle sue riconosciute capacità relazionali, il sostegno di numerose voci autorevoli e diverse, che andavano dall’allora Presidente del Consiglio Amintore Fanfani al Vicepresidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson, da Enrico Mattei a Giorgio La Pira e Edoardo Amaldi. Personaggi che ricoprirono, ognuno, il proprio ruolo in questa impresa.
Per comprendere meglio alcuni passaggi decisivi della storia italiana nelle attività spaziali è utile guardare agli antefatti risalenti agli anni Cinquanta della partecipazione italiana nella prima corsa allo spazio e, soprattutto, a ciò che rese possibile la stretta collaborazione (e fiducia) con gli Stati Uniti in un campo allora così sensibile. Come ricordava Broglio nel libro-intervista scritto da Giorgio Di Bernardo Nicolai, un episodio centrale fu il periodo che trascorse negli Stati Uniti come visiting professor della Purdue University a West Lafayette, Indiana, tra il settembre 1950 e il luglio 1951, che gli permise di creare rapporti con la NASA e con il mondo universitario statunitense. Dopo il ritorno di Broglio in Italia, l’Office for Scientific Research dell’Aeronautica Militare statunitense espresse al Governo italiano la volontà di proseguire il rapporto scientifico. Broglio propose due linee di ricerca: una sulle forze aerodinamiche tangenziali a velocità supersoniche, e una che puntava a comprendere come adoperare le gallerie aerodinamiche ad alta pressione per effettuare studi sulle parti più sottili degli aeromobili[2]. L’Università di Roma era stata la prima in Europa a vedersi affidare due contratti di lavoro dall’ufficio scientifico dell’Aeronautica Militare statunitense[3]. Con l’approvazione del Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Aeronautica Militare italiana, le ricerche vennero varate nel 1952, anno in cui Broglio venne eletto preside della Facoltà di Ingegneria Aeronautica; iniziò così la costruzione di un tunnel per velocità supersoniche, il primo a Mach 4 in Italia[4], nei pressi della Facoltà di Ingegneria sul Colle Oppio, a poca distanza dal Colosseo. Un giorno del maggio 1954 un esperimento inaugurò ufficialmente la galleria supersonica: era quindi possibile sviluppare nuovi studi sulle strutture dei veicoli spaziali[5]. Nel 1957 a Broglio venne concesso dall’Aeronautica l’utilizzo dei locali dell’aeroporto dell’Urbe; negli anni precedenti, grazie alle sue capacità relazionali e al rilievo dei suoi progetti, era riuscito a raccogliere fondi dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall’Aeronautica Militare e anche dall’Advisory Group for Aeronautical Research and Development della NATO, presieduto allora dal grande scienziato aeronautico Theodor von Karman, per realizzare nel 1956 quella che, allora, era l’unica galleria a Mach 6 d’Europa[6]. Per “partecipare” insieme alle superpotenze alle attività spaziali serviva la ricerca, che necessita inevitabilmente della sperimentazione e, per quest’ultima, servono fondi e impianti appositi. In quegli stessi anni (prima e contemporaneamente al lancio dello Sputnik I) Broglio iniziò a concentrarsi sugli studi di missilistica, iniziando ad avventurarsi anche al di fuori del settore scientifico dell’aeronautica in cui godeva di una unanime stima su entrambi i lati dell’Atlantico, per approcciare i temi chiave dell’aerospazio, una scelta che gli portò le diffidenze e l’opposizione di parte della comunità scientifica con cui intratteneva rapporti e che «non fu quindi indolore»[7].
Fortunatamente, gli esperimenti di Broglio all’Università di Roma non erano casi isolati, ma erano parte di un più ampio fermento scientifico-tecnologico nazionale ed europeo degli anni Cinquanta, che coinvolgeva istituzioni, mondo imprenditoriale[8] e della ricerca; un fenomeno che aveva un altro grande protagonista nel fisico Edoardo Amaldi (uno dei giovani e rivoluzionari collaboratori di Enrico Fermi, i cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”), che nel 1951 era stato tra i fondatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e, nel 1954, del CERN di Ginevra. Broglio riteneva che l’appoggio di Amaldi fosse stato determinante, in quanto fu il grande fisico stesso a chiedergli espressamente in una lettera di impegnarsi in prima persona per fare sì che l’Italia potesse entrare nel novero dei Paesi con capacità spaziali[9]. Come tutti i suoi contemporanei, Amaldi era rimasto impressionato dall’impresa dello Sputnik I, ma la sua capacità di visione – e previsione – anche “politica” della scienza e la sua caratura lo portarono a ritenere che anche l’Europa avrebbe dovuto impegnarsi in un proprio progetto indipendente di cui, quindi, anche l’Italia doveva essere parte. Il 16 luglio 1959, per iniziativa di Amaldi, il consiglio di presidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche, presieduto allora da Francesco Giordani, istituiva la Commissione per le Ricerche Spaziali, guidata da Broglio, garantendo al nuovo organo anche un contributo per il suo funzionamento. La Commissione fu la prima sede dove presero corpo i progetti dei nuovi satelliti, e fu il soggetto istituzionale che rappresentò l’Italia a livello internazionale per la costituzione dell’European Space Research Organisation (ESRO) e dell’European Launcher Development Organisation (ELDO)[10].
La storia della messa in orbita del primo satellite italiano nel dicembre 1964, il San Marco I, e dell’inizio dell’avventura italiana nell’esplorazione dello spazio e nell’affermarsi dell’Italia come una delle Nazioni dotate di capacità spaziali più autorevoli, è un esempio di quanto le conquiste tecnologiche e scientifiche possano rappresentare per un Paese che cerca per sé un futuro più grande. Quando il San Marco I raggiunse la sua orbita, Broglio venne invece raggiunto, dalla Toscana, da un fiasco di Chianti, inviato dall’allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira[11]. Il successo legato al primo satellite italiano in orbita segnava l’inizio di un percorso di successo per la scienza e la tecnologia italiana che continua ancora oggi, ma arrivava alla fine di un periodo di “preparazione” del terreno sia politico, sia delle capacità scientifiche. È necessario ora fare un salto indietro poiché, proprio a Firenze, proprio grazie a La Pira, si era verificato anni prima un evento importante per questa storia. Oltreché un politico sensibile, La Pira era un uomo di fede, terziario domenicano, che durante il suo mandato da sindaco di Firenze, e anche dopo, non ha mai detenuto la proprietà di una casa nella città, limitandosi a una piccola stanza, con una sola sedia. Un politico che seguiva anche una rinnovata spinta di dialogo espressa dal Vaticano di Giovanni XXIII, e che era animato dalla volontà di restituire a Firenze e all’Italia un importante ruolo internazionale di dialogo nella politica così come nella formazione (si pensi al progetto dell’Università Europea) e nella ricerca. La Pira aveva anche uno stretto rapporto con l’allora Presidente del Consiglio Amintore Fanfani, di cui era stato Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e di cui condivideva la “spinta” internazionale. Rispondendo a una lettera di auguri natalizi inviatagli da Palmiro Togliatti, La Pira rispondeva: «Io ho grande fiducia negli sviluppi degli avvenimenti nel mondo: questo 1961 porterà eventi positivi di immenso valore storico»[12]. Così, il quarto Congresso Scientifico Internazionale del Committee on Space Research (COSPAR) – istituito nel 1958, un anno dopo il lancio del primo satellite Sputnik – dell’aprile 1961 si tenne a Firenze, a Palazzo Pitti, con il secondo Symposium Internazionale di Scienza Spaziale che si aprì il 10 aprile nella settecentesca Sala Bianca del palazzo[13]. Due giorni dopo, i partecipanti al Congresso avrebbero ricevuto l’improvvisa comunicazione di una delle più grandi imprese dell’esplorazione spaziale. Come ricordava Broglio, lo scienziato sovietico Blagonravov si alzò in piedi e chiese di interrompere i lavori. Con le lacrime agli occhi annunciò che: «Il maggiore Yuri Gagarin era, primo uomo nella storia, entrato in orbita. La notizia fu accolta con un grande applauso. Anche gli americani applaudirono, ma per loro la notizia fu un colpo sullo stomaco»[14]. Congratulandosi con gli scienziati sovietici, La Pira disse: «È questo il primo saluto del cielo che riceviamo qui a Firenze»[15]. Nella sua lettera a Togliatti, pochi mesi prima, aveva avuto ragione.
Sull’onda di questo evento rivoluzionario, nelle giornate fiorentine successive, Broglio riuscì a coinvolgere con le sue abilità personali la delegazione statunitense, guidata dal Direttore dell’Ufficio per la Cooperazione Internazionale della NASA, Arnold W. Frutkin[16]. I risultati del lancio del razzo Nike Cajun del gennaio dello stesso anno dalla Sardegna avevano ricevuto un’accoglienza positiva, e Broglio propose ai suoi interlocutori i dettagli del progetto San Marco, il primo piano spaziale italiano, che era stato approvato nel gennaio 1961 dalla Commissione per le Ricerche Spaziali, e aveva ricevuto un appoggio ufficioso dal Presidente del Consiglio Fanfani. Il primo sostegno da parte degli Stati Uniti a questo suo progetto, amava raccontare Broglio, gli arrivò in una trattoria di Pontassieve, un luogo ben diverso dalla sede che ospitava il congresso internazionale di quei giorni: «Lei è coraggioso, se andrà avanti con questa idea noi l’appoggeremo»[17]. Da parte del Governo italiano, l’appoggio decisivo (anche se ancora informale) al progetto arriverà la mattina del 31 agosto 1961, quando Fanfani riunisce un Consiglio dei Ministri quasi al completo che, grazie anche all’appoggio esterno di La Pira, dà parere positivo. Giovanni Caprara fa notare l’importante discontinuità segnata: la politica italiana ai suoi massimi livelli entrava in un ambito di attività limitato allora ad alcune sperimentazioni militari e a una comunità di ricerca ancora ristretta[18]. Un rilevante passaggio simbolico fu anche la creazione nel 1962, sotto il Governo Fanfani IV, del primo Ministero della Ricerca, pur senza portafoglio. Nell’aprile 1963 nasceva poi, in seno al Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Istituto per le Ricerche Spaziali, per dare una struttura alla Commissione presieduta da Broglio e realizzare gli obiettivi indicati da questa. Fu un ulteriore, importante passo: facevano parte dell’Istituto tutti gli enti potenzialmente interessati (ad esempio i Ministeri degli Esteri, Difesa, Industria, Telecomunicazioni) e nel comitato direttivo sedevano anche esponenti del mondo industriale come Breda, FIAT Avio, Montecatini. Non solo le amministrazioni statali entravano direttamente in scena ma, come ha osservato Caprara: «L’era dei pionieri era finita e gli scienziati dovevano iniziare a convivere con gli industriali»[19]. Come hanno riportato Luciano Ragno e Bruno Amatucci, Broglio raccontò che il periodo compreso tra il 1953 e il 1960 servì a formare quadri scientifico-tecnici adeguati, a realizzare impianti sperimentali aerospaziali e a inserire la Scuola di Ingegneria Aerospaziale nel filone più avanzato della ricerca aerospaziale, per esempio per quanto concerneva lo studio delle traiettorie di rientro nell’atmosfera delle astronavi. Gli anni 1961-1963, poi, con il programma in collaborazione con la NASA per esperimenti in Sardegna con il lancio di razzi sonda, e il successo riscontrato, posero ulteriori basi per la fiducia statunitense nelle capacità italiane[20].
L’Italia democratica aveva collaborato con gli Alleati e aveva a ogni titolo vinto la guerra civile ma nonostante lo status di “cobelligerante” post-armistizio, il Paese che le istituzioni repubblicane avevano ereditato e ricostruito rimaneva una nazione sconfitta della guerra mondiale. La cooperazione tecnologica con gli Stati Uniti fornì all’Italia preziose occasioni per continuare il proprio sviluppo industriale e scientifico in settori strategici anche dal punto di vista militare che in via convenzionale non le sarebbero stati concessi, per esempio per lo sviluppo di capacità missilistiche autonome[21]. Il 7 settembre 1962 Roma formicolava di agenti delle forze dell’ordine per la presenza del Vicepresidente degli Stati Uniti (e Presidente dello Space Council) Lyndon Johnson, arrivato qualche giorno prima. Ai colloqui di natura politico-economica si affiancarono questioni di cooperazione scientifica. Fra queste c’era anche il progetto San Marco, pensato come intesa italo-statunitense, e il cui accordo bilaterale venne firmato da Johnson e dal Ministro degli Esteri Attilio Piccioni. In quell’occasione Johnson venne anche accompagnato in via Salaria per visitare i nascenti impianti del Centro Ricerche Aerospaziali dell’Università di Roma. Anche senza voler dare troppo peso agli aneddoti, quel giorno si verificò un episodio che, letto a più di sessant’anni di distanza, può dare un’idea al contempo delle aspirazioni del settore spaziale dell’Italia e anche dei mezzi effettivi a sua disposizione: nonostante la scarsità di materiale a disposizione, per mostrare al Vicepresidente degli Stati Uniti che sul posto di lavoro tutti i tecnici indossavano la tuta, quando Johnson visitava una sala e Lugi Broglio lo intratteneva con le spiegazioni, i tecnici passavano nella stanza successiva, consegnando le tute ai colleghi; così, fino alla fine della visita[22]. Il progetto San Marco divenne finalmente una realtà, con il sostegno della NASA e un accordo che includeva non solo il settore dei satelliti, ma riguardava anche cooperazione nei poligoni e nelle stazioni di terra, fino all’impiego e alla messa in orbita dei razzi Scout.
Broglio era profondamente religioso e un cattolico osservante. Questo emerse anche nella scelta dei nomi delle infrastrutture protagoniste del programma: non solo San Marco, il santo protettore dei naviganti cui Broglio, nato a Mestre, era devoto, ma anche Santa Rita, la santa degli avvenimenti impossibili, per la prima, inedita, piattaforma installata nell’Oceano Indiano, da cui effettuare i lanci[23]. Il problema che il gruppo di ricerca di Broglio nel 1961 doveva risolvere era pratico (gli stadi del razzo, nel tragitto verso l’orbita, sarebbero potuti ricadere sopra zone abitate, motivo per cui vennero escluse le strutture già presenti in Sardegna) ma i vantaggi di una postazione di lancio equatoriale erano anche scientifici[24]. Un giovane scienziato, allievo di Broglio e membro del gruppo di ricerca, Carlo Buongiorno, trovò la soluzione assistendo a un servizio televisivo dedicato a una piattaforma petrolifera dell’ENI, la Perro Negro, costruita dalla Nuovo Pignone di Firenze, società salvata tra la fine del 1953 e il gennaio 1954 dall’ENI di Enrico Mattei, proprio grazie all’intervento del sindaco La Pira. L’idea di un lancio da una piattaforma marina non era ancora mai stata concretizzata.
Nello stesso agosto 1961 in cui il Governo aveva approvato il programma, Broglio incontrò per la prima volta Enrico Mattei a Marina di Pisa. Durante la visita alla Perro Negro, Mattei rispose alle richieste di Broglio proponendo la più piccola Scarabeo, allora in Egitto. Seguirono altri incontri tra i due, entrambi anche ex partigiani cattolici durante la Resistenza, e a mediare, ancora una volta, fu La Pira. Vinte addirittura le resistenze del Presidente egiziano Nasser, la Scarabeo venne messa a disposizione del progetto San Marco. Il 21 dicembre 1962 la piattaforma, opportunamente modificata, iniziava il suo viaggio verso il Kenya, ma senza che Mattei potesse esserne testimone, vittima dell’incidente aereo di due mesi prima[25]. La base sarebbe stata posta al largo delle coste del Kenya, vicino alla città di Malindi, dove sorse l’odierno Luigi Broglio Malindi Space Center, attualmente base operativa dell’Agenzia Spaziale Italiana. L’accordo che nacque tra il Governo del Kenya e l’Università di Roma nel 1964 si sarebbe presto evoluto in un primo accordo governativo bilaterale per la cooperazione scientifica, tuttora in vigore; come raccontava Broglio, il Kenya avrebbe beneficiato dei dati, delle misurazioni, della formazione di personale scientifico relativo al settore, e l’Italia, in cambio avrebbe acquisito un proprio poligono di lancio, un importante elemento per la propria autonomia spaziale[26]. Nel corso del 1963 e del 1964 si tennero i lanci di collaudo dei prototipi (dalla base di Wallops Island in Virginia) e dei razzi sonda (dalla Santa Rita) che andarono a buon fine, ma l’instabilità politica in Kenya limitò il ruolo della base italiana, dove il Dipartimento di Stato statunitense riteneva rischioso l’invio di razzi troppo sofisticati[27]. La Santa Rita, poi, si rivelò essere troppo piccola per il razzo Scout, e sarebbe stata poi affiancata nel 1966 da una seconda, più grande, la San Marco.
Il 15 dicembre 1964, dal poligono NASA di Wallops Island, Virginia, un razzo Scout, recante la scritta “Italia – United States”, portava in orbita il San Marco I, una sfera di 66 cm di diametro e del peso di circa 115 kg, costruita nei laboratori del Centro Ricerche Aerospaziali all’aeroporto dell’Urbe. Sarebbe rimasto in orbita, intorno al nostro pianeta, per circa 271 giorni, rientrando a terra il 14 settembre 1965. Il satellite mirava a rispondere a interrogativi allora molto sentiti in merito alle proprietà dell’atmosfera ad altissime quote e all’intensità delle forze registrate, ad esempio la resistenza aerodinamica incontrata dal satellite durante il suo viaggio e, quindi, il dato chiave della densità dell’atmosfera, elemento di interesse anche per il mondo della difesa, in quanto poteva incidere sulla traiettoria dei missili balistici intercontinentali[28]. Lo strumento per effettuare queste misurazioni, la “Bilancia di Broglio” fu il primo dispositivo della storia a dare informazioni precise sull’alta atmosfera[29].
Escludendo le operazioni di Unione Sovietica e Stati Uniti, il San Marco 1 fu preceduto dall’Ariel 1 inglese (non costruito in proprio) e dall’Alouette 1 canadese, ma fu il primo, costruito in proprio, a essere lanciato da una squadra propria, italiana, sia pure da una base statunitense e con vettore statunitense[30]. Lo status dell’importanza dell’impresa era riconosciuto poi anche da una dichiarazione della Casa Bianca che la definiva una «pietra miliare nella cooperazione dell’attività spaziale internazionale», aggiungendo poi come «per la prima volta un Paese diverso dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica abbia messo in orbita un suo satellite scientifico»[31]. I risultati raggiunti dalle capacità italiane permisero il passo successivo, ossia il lancio dalla base italiana in Kenya. Il 15 luglio 1967, dalla piattaforma San Marco, sotto la direzione del centro di controllo Santa Rita, venne lanciato il satellite San Marco II, il primo a iniziare il suo percorso da una piattaforma oceanica e a effettuare misurazioni innovative; il risultato ebbe una grande eco internazionale: la stessa NASA aveva abbandonato l’idea di un lancio da piattaforma all’Equatore[32]. Grazie all’esperienza maturata e al finanziamento italiano di 2,2 miliardi di lire approvato dal governo con una legge ad hoc, anche questo secondo lancio portò a termine tutti gli obiettivi scientifici affidati. Il lancio del San Marco II portò con sé una collaborazione ancora più stretta con la NASA e l’accordo per permettere il lancio di satelliti statunitensi e inglesi dalla piattaforma italiana a partire dal 12 dicembre 1970 con il SAS I[33].
L’attivismo dell’Italia degli anni Sessanta non vide solo le attività spaziali del programma San Marco, le tappe importanti furono anche altre, e coeve a fermenti e a tentativi di riforma profondi non solo del Paese, ma dello Stato e delle sue funzioni. Se la forza delle idee della comunità scientifica aveva dato un contributo essenziale all’inizio della partecipazione italiana alla prima “corsa allo spazio”, è a profonde convinzioni politiche che si deve anche, negli stessi anni, un sincero movimento di riforma, sia interno alla componente politica che presiedeva le istituzioni, sia alla componente intellettuale. Con la stagione politica del primo centro-sinistra (grossomodo 1960-1970) si apriva anche la stagione della programmazione economica, con un “nuovo” portato dottrinale economico[34]. In quella breve stagione – cui spesso, tuttavia, ci si riferisce come a una occasione mancata[35] – si ebbero ulteriori importanti investimenti per il sostegno alle capacità spaziali italiane. Ne furono un esempio gli investimenti dell’impresa Telespazio nella conca del Fucino, a 700 metri di altezza, ad Avezzano in Abruzzo. Nel gennaio del 1963 la prima parabola, installata nel novembre precedente, era riuscita a ricevere i segnali trasmessi dai satelliti Relay e Telstar, facendo dell’Italia il quarto Paese “protagonista” delle telecomunicazioni spaziali; due anni dopo il governo italiano delegava Telespazio a aderire e a rappresentarlo nell’INTELSAT (International Telecommunications Satellite Organisation).
Il 27 agosto 1967 l’allora Presidente del Consiglio Aldo Moro inaugurò ufficialmente il Centro Spaziale del Fucino[36] e, nello stesso anno e in quello seguente, Telespazio installò due grandi antenne paraboliche, rivolte rispettivamente verso l’Oceano Atlantico e verso l’Oceano Indiano, per ricevere e trasmettere segnali[37]. Gli sviluppi di quegli anni sarebbero stati determinanti per permettere all’Italia di muovere i suoi primi passi in un altro settore fondamentale delle attività spaziali, ossia quello dei servizi spaziali. Quello del Fucino è, ad oggi, il più grande teleporto per usi civili al mondo[38]. Nel 1969 il Ministro della Ricerca Salvatore Lauricella diede vita al primo comitato interministeriale per coordinare le attività del settore, il Comitato Interministeriale per l’Attività Spaziale e, in seguito alla decisione del 1967 del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) di istituire una commissione per esaminare le prospettive di sviluppo dell’industria aeronautica, nello stesso 1969 si sarebbe formata Aeritalia, dalla partecipazione di Fiat e Aerfer[39]. Il decennio era iniziato con l’ideazione del progetto San Marco e la costruzione delle numerose precondizioni politiche, finanziarie e tecnologiche che lo avrebbero reso possibile. Dopo gli ulteriori sviluppi del San Marco, si sarebbe concluso, nel 1969, anno simbolo che nel luglio avrebbe visto il primo uomo sulla Luna, con il “concepimento” di un altro protagonista inanimato della storia italiana dello spazio, il satellite per telecomunicazioni Sirio, che venne lanciato da Cape Canaveral nell’agosto 1977.
Lo spazio sarebbe rimasto, come lo è ancora ai nostri giorni, una dimensione di frontiera. Ciò che si sarebbe sempre più consolidato, in maniera inevitabile, è il processo di istituzionalizzazione, di presa in carico da parte delle autorità politiche e delle organizzazioni intergovernative dello sviluppo del settore. Nel frattempo, il settore industriale dell’aerospazio continuava il suo sviluppo, con anche la necessità di trovare un proprio spazio in Europa. Riaffioravano quindi le diversità di vedute anche in merito a quali “cordate” internazionali seguire, tra i progetti europei e la “special relationship” con gli Stati Uniti (che si erano già rese evidenti la mattina del 31 agosto 1961). Come osserva Marcello Spagnulo, i progetti di Broglio, che voleva arrivare anche a un razzo lanciatore tutto italiano, costruito in cooperazione con gli Stati Uniti, entravano in collisione con i programmi dell’Agenzia Spaziale Europea (che nel 1975 succedette all’ELDO). L’Italia non poteva permettersi di sostenere finanziariamente allo stesso tempo troppe linee di sviluppo delle proprie attività spaziali, e «in sintesi, tra le due visioni tecnopolitiche dell’esplorazione spaziale del dopoguerra – quella europeista di Amaldi e quella filo-americana di Broglio – fu la prima a concretizzarsi»[40].
A fare nascere lo spazio italiano, dopotutto, non erano mai state solamente le forze e le competenze della scienza, ma anche una precisa volontà e prospettiva politica. Forse non è possibile determinare se l’Italia avrebbe raggiunto questi risultati negli stessi tempi e con le stesse modalità senza la dimensione individuale, senza l’impegno personale delle figure qui menzionate. L’interrogativo ricalca un dibattito più profondo e articolato: ossia se gli individui siano davvero capaci, da soli, di influire sul corso della storia, oppure se, invece, siano più semplicemente dei prodotti di un contesto, dei punti di una funzione matematica, che ha già tracciato il corso degli eventi. Ciò che è certo, è che Broglio seppe riunire e indirizzare sostegno politico (non solo italiano, ma anche statunitense), capacità tecniche e scientifiche e mezzi finanziari, riuscendo anche a far convergere, fin dai primi anni, i mondi diversi dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e dell’Aeronautica Militare. Già negli anni 1968 e 1969 il progetto San Marco (che porterà in orbita complessivamente cinque satelliti) visse i primi tagli di fondi, addirittura una inchiesta amministrativa (rivelatasi poi una svista), e negli anni la “competizione” di altri progetti italiani o collaborazioni europee lo adombrò[41]; negli anni Novanta, poi, il venir meno del sostegno politico ai progetti di Broglio (che erano anche sempre stati ispirati a una razionalizzazione delle risorse finanziarie) fu ormai evidente[42]. Anche il mondo industriale aveva avversato nel corso degli anni il progetto San Marco, poiché privo di un coinvolgimento delle capacità produttive delle industrie[43].
Luigi Broglio si spense a Roma il 14 gennaio 2001, a due mesi di distanza dall’attracco del primo equipaggio alla Stazione Spaziale Internazionale. Ancora oggi, il suo nome e l’avventura scientifica che lo ha visto protagonista non hanno, nella cultura diffusa, il rilievo assegnato a tanti altri servitori del Paese e grandi nomi della scienza italiana, né quello degli altri italiani che, come abbiamo visto, lo hanno accompagnato e sostenuto. In alcune delle sue ultime riflessioni emergeva la considerazione delle opportunità che l’Italia nel corso degli anni aveva perso, nonostante i grandi sforzi fatti per farle acquisire posizioni di primato. Guardandosi indietro e ripercorrendo i decenni di lavoro e di sforzi, gli avvenimenti clamorosi e la riuscita (nonostante tutto) di grandi obiettivi, Broglio tuttavia manteneva un senso di meraviglia per quello che in quegli anni l’Italia era riuscita a fare: arrivare nello spazio.
[1] F. Pinto, Il lancio perfetto, Mondadori, Milano 2014.
[2] G. Di Bernardo Nicolai, Nella nebbia in attesa del Sole, Di Renzo Editore, Roma 2005, pp. 29-32. Cfr. G. Caprara, Storia italiana dello spazio, Bompiani, Milano 2019, p. 95.
[3] L. Ragno e B. Amatucci, L’Italia nello spazio prima e dopo Sirio, Fratelli Palombi Editori, Roma 1978, p. 27.
[4] «Unità di misura della velocità usata soprattutto in aerodinamica e aeronautica: la velocità di un corpo in moto in un fluido, per esempio un aeromobile, è espressa in mach (in numero di Mach) dal rapporto tra la velocità del corpo rispetto al fluido e la velocità del suono in quel fluido nelle condizioni fisico-chimiche in cui esso si trova» definizione Treccani.
[5] L. Ragno e B. Amatucci, op. cit., p. 27.
[6] G. Di Bernardo Nicolai, op. cit., p. 34.
[7] Ivi, p. 37.
[8] Per esempio, nel dicembre 1953 Finmeccanica (appartenente al gruppo IRI) e FIAT avevano dato vita al Centro Studi sulla Propulsione a Reazione (CESPRE), che si affacciava alla tecnologia missilistica, cruciale per le forze armate. Si veda G. Caprara, op. cit., p. 99.
[9] G. Di Bernardo Nicolai, op. cit., pp. 37-38.
[10] M. Gentilini, L’Italia e il Cnr negli anni della “corsa” allo spazio, «Almanacco della Scienza», 6 luglio 2022.
[11] G. Di Bernardo Nicolai, op. cit., p. 79.
[12] G. Spinoso e C. Turrini, Giorgio La Pira: i capitoli di una vita, Florence University Press, Firenze 2022, p. 1216.
[13] G. Godoli, Lettera alla Direzione – Il quarto Congresso del COSPAR e il secondo Symposium internazionale di scienza spaziale, «Memorie della Società Astronomia Italiana», Vol. 32, luglio 1961, p. 271.
[14] G. Di Bernardo Nicolai, op. cit., p. 57.
[15] G. Spinoso e C. Turrini, op. cit., p. 1231.
[16] G. Caprara, op. cit., pp. 117-118.
[17] G. Caprara, op. cit., p. 118.
[18] Ivi, pp. 118-119.
[19] Ivi, p. 129.
[20] Cfr. L. Ragno e B. Amatucci, op. cit., pp. 30, 56.
[21] M. Spagnulo, L’Italia spaziale da terzo grande a satellite di chi?, «Limes», n. 12/2021, p. 192.
[22] L. Ragno e B. Amatucci, op. cit., p. 55.
[23] Lo racconta lo stesso Broglio, si veda, per esempio, la puntata Luigi Broglio e il primo satellite italiano, del podcast Volare di Rai Radio 3. La scelta è ricordata anche nel libro-intervista, già citato, di G. Di Bernardo Nicolai.
[24] «Un’orbita equatoriale bassa a 550 chilometri d’altezza si collocava a di sopra della fascia più densa dell’atmosfera e al di sotto dello strato inferiore di van Allen […] quest’area “pulita” da influenze ambientali si prestava in particolar modo alle ricerche di astronomia spaziale», G. Caprara, op. cit., p. 124.
[25] Ivi, pp. 130-131.
[26] G. Di Bernardo Nicolai, op. cit., p. 55.
[27] G. Caprara, op. cit., p. 134.
[28] Ivi, p. 121.
[29] G. Di Bernardo Nicolai, op. cit., p. XIV.
[30] Cfr. il documentario Luigi Broglio, per la serie I giganti della scienza, Rai Scuola.
[31] M. Gentilini, L’Italia e il CNR negli anni della “corsa” allo spazio, «Almanacco della Scienza», 6 luglio 2022.
[32] G. Di Bernardo Nicolai, op. cit., p. 86.
[33] D. De Santis e M. Focaccia, Nel mondo e nello spazio, in Consiglio Nazionale delle Ricerche. L’impresa scientifica 1923-2013, CNR Edizioni, Roma 2013, p. 134.
[34] G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana, il Mulino, Bologna 2020, p. 467.
[35] Cfr. P. Ciocca, Ricchi per sempre?, Bollati Boringhieri, Torino 2020, p. 269. Si veda anche Guido Melis, op.cit., pp. 465-466.
[36] Telespazio.com, La nostra storia.
[37] G. Caprara, op. cit., p. 218.
[38] Telespazio.com, Centro spaziale del Fucino.
[39] M. Landoni, L’impresa spaziale italiana. Dall’intervento pubblico all’innovazione tecnologica, il Mulino, Bologna 2020, p. 52.
[40] M. Spagnulo, op. cit., p. 193.
[41] G. Di Bernardo Nicolai, op. cit., p. 94.
[42] Luigi Broglio e il primo satellite italiano, del podcast Volare di Rai Radio 3.
[43] G. Caprara, op. cit., p. 206.