“La Macchia Urbana” di Michele Grimaldi
- 17 Settembre 2018

“La Macchia Urbana” di Michele Grimaldi

Recensione a: Michele Grimaldi, La Macchia Urbana. La vittoria della disuguaglianza, la speranza dei commons, Aracne, Roma 2018, pp. 416, 17 euro (scheda libro)

Scritto da Alberto Bortolotti

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La Macchia Urbana è un saggio di grande interesse, che può essere letto a più livelli. Presenta un impianto scientifico ma contiene molti elementi di carattere politico ed economico utili per una riflessione sull’attualità. È inoltre organizzato in capitoli suddivisi per temi, consentendo al lettore la possibilità di ritornare più volte sul testo per approfondire questioni specifiche. È una sorta di pamphlet di pensieri, analisi e riflessioni sulle città, una guida molto utile anche ai non-addetti ai lavori per capire la prassi dei fenomeni urbani connessi alle disuguaglianze.

Il saggio si apre con una prefazione di Walter Tocci, intellettuale e storico dirigente e parlamentare del PCI-DS-PD che, con brillante lucidità, fa emergere sin da subito alcune delle contraddizioni che il sistema capitalistico neoliberista presenta e gli effetti sulla ridistribuzione della ricchezza connessi alla prassi economica globalizzata. Tocci descrive accuratamente come il fenomeno del “turbo-capitalismo” sia stato veicolato da una sofisticata azione culturale la quale, dapprima, ha plasmato l’idea della città come una “sfera liscia depurata dalle striature e dalle fratture sociali”, infine ha fomentato la frattura tra “logica di sistema” e “forma di vita”, celando le profonde estraneità che si determinavano tra élite e popoli negli usi della società di massa, con la consequenziale nascita di un forte populismo, inteso come utilizzazione e attuazione politica di questa frattura.

Nella fenomenologia urbana, spiega Tocci “i confini si smaterializzano ma diventano più laceranti prendendo a riferimento la diversità di etnia, di ceto sociale, di stili di vita, di generazioni e assumono le varie forme di gentrification, di vecchi e nuovi ghetti, di edge-cities, delle osservazioni securitarie delle gated communities, fino al Truman-Show del new urbanism”. Il legame tra spazio, cittadinanza e democrazia viene messo in discussione sotto tutte le sue forme al punto che questo sistema “turbo-liberista” implode proprio quando giunge alla messa in mostra delle proprie contraddizioni: con la crisi del mercato immobiliare del 2007. A tal proposito, con molta eloquenza Tocci scrive: “chi l’avrebbe detto che il turbo-capitalismo si sarebbe inceppato sul vecchio sogno piccolo borghese della casetta di proprietà?”.

Nella prima parte del saggio, Michele Grimaldi approfondisce il tema delle città globali e delle connessioni presenti fra queste, legandolo alla questione delle disuguaglianze. Riprendendo l’opera degli urbanisti Henri Lefebvre, Manuel Castells e David Harvey, con un metodo che presenta diversi tratti propri di quello marxista, l’autore analizza il punto di unione tra la forma del capitalismo e la dimensione urbana, scrive infatti: “la città subisce e interpreta questa evoluzione – economica – produce nuovi codici, adotta nuove forme spaziali, diviene simbolo di una gerarchia di decisioni, di classi, di privilegi e di diseguaglianza, sociali e politiche”.

È stato l’avvento del capitalismo globale ad aver profondamente modificato le modalità dell’evoluzione urbana, che oggi si sviluppa sempre più come una declinazione del binomio broken citiesbooming cities, come le ha definite l’economista premio Nobel Sir Paul Collier. Il contrasto tra periferia e centro, tra Nord e Sud del mondo, tra campagne e città si è accentuato sempre più. La tensione tra questi poli opposti emerge nella questione delle diseguaglianze che, nella società d’oggi, si declinano anche e soprattutto nella possibilità di accesso ad un ventaglio maggiore o minore di opportunità. Nel 1900 solo il 10% della popolazione mondiale abitava in città, mentre nel 2007 si è raggiunto ciò che l’urbanista Richard Burdett chiama tipping point, il punto di non ritorno nel quale la popolazione cittadina mondiale ha superato il 50%. Il raggiungimento del tipping point è dovuto ai processi di globalizzazione, come spiega Saskia Sassen in The Global City: la competizione novecentesca delle città evolve al punto da divenire una competizione di epicentri posti in un unico scenario globale, dove flussi economici determinano gerarchie, schemi e percorsi evolutivi o involutivi.

I processi di globalizzazione hanno invertito le gerarchie tradizionali sia rispetto alle aree geografiche che alle entità democratiche/autoritarie presenti nelle città, regioni o Stati nazionali. Sin dalle origini dei tempi, le città sono nate come concentrazione geografiche e sociali portatrici di un surplus produttivo: l’urbanizzazione, la divisone e le gerarchie degli spazi e delle funzioni, sono per questo configurate come un fenomeno di classe. L’estrazione di tale surplus ha infatti sempre assunto la duplice caratteristica dell’essere prodotto a spese di un pezzo di comunità e di essere controllato da una ristretta élite che, nella società liquida, è costituita dall’oligarchia finanziaria e informatica internazionale.

Il fenomeno urbano e il sistema capitalistico

La seconda parte del saggio, intrecciando temi urbani ed economici, si rifà soprattutto al lavoro di tre autori già citati: David Harvey, Manuel Castells e Henri Lefebvre. Tutto parte dalla considerazione che ogni surplus economico, prima produttivo poi finanziario, deve essere ottenuto a scapito di qualcuno, e deve, al tempo stesso essere controllato da una élite ristretta. Nel 2008, David Harvey osserva, analizzando curve logistiche del surplus produttivo, il rapporto di proporzionalità diretta presente tra la storia dell’accumulazione capitalistica e la crescita dell’urbanizzazione, dimostrando statisticamente la relazione tra surplus e città.

Lo stesso rapporto tra valore d’uso e valore di scambio dello spazio, inteso quest’ultimo come un fattore di produzione sociale, rappresenta per Henri Lefebvre un ulteriore tratto distintivo e descrittivo della relazione tra potere e collettività: il rapporto tra l’opera e il prodotto.

Nella logica capitalistica, la città diviene quindi esclusivamente prodotto, subordinato alle esigenze e alle forme del mercato e del profitto quando, al contrario, dovrebbe essere la collettività a determinare la genesi e lo sviluppo del processo di evoluzione urbano.

L’interdipendenza economica e la parallela riduzione dei poteri dello Stato, spiega l’autore, rappresentano gli elementi centrali di una nuova geografia politica globale nella quale gli epicentri urbani del potere finanziario sono articolati in ragione delle esigenze dell’economia. Saskia Sassen precisa, infatti, che “il mondo città diviene il perimetro di una rete di nodi urbani che svolge la funzione di centro nervoso della nuova economia”[1].

Le sconfinate baraccopoli dei paesi in via di sviluppo, le fratture violente tra periferie e centri, i fenomeni migratori verso gli agglomerati urbani in crescita e lo spopolamento dei borghi antichi, la gentrificazione e l’abbandono di impianti industriali sono la cartina di tornasole del cambiamento di scenario urbano verso una dimensione sempre più globalizzata.

Dal punto di vista sociale la perdita di influenza dei corpi intermedi delle grandi città ha favorito la formazione di massicci movimenti di protesta che hanno deciso di rappresentarsi in simbolici luoghi urbani, trasformandoli in vere e proprie piazze del mondo (Occupy Wall Strett di New York, Piazza Tahrir al Cairo, Gezi Park di Istanbul). Sono gli stessi movimenti di protesta che Manuel Castells aveva definito “contraddizioni urbane” nel ’72, a proposito dei movimenti di liberazione etnica o razziale. 

La rendita urbana e le speculazioni immobiliari

La proprietà privata è un segno dell’alterazione del paesaggio da parte dell’uomo. Nel contesto globalizzato, l’urbanizzazione ha accentuato in modo esponenziale ciò che già agli albori della città era lo strumento per produrre e assorbire l’eccedenza di capitale, ovvero la speculazione immobiliare che diventa il centro sia di flussi commerciali sia di quello della gestione del potere atto a garantirli e consolidarli, come avvenuto in molte delle Generic Cities descritte da Rem Koolhaas.

Il processo di appropriazione della rendita sul territorio urbano ha avuto storicamente bisogno della connivenza del potere pubblico, che, attraverso la sua solidità, garantisse il recupero del capitale investito mediante l’istituzione di tariffe e imposte. Karl Marx intuì questo fenomeno quando coniò la definizione di “immobiliarizzazione dei flussi”, già nel 1859. All’epoca il fenomeno era ridotto poiché lo spostamento del capitale su scala internazionale avveniva in maniera limitata e ciò rappresentava, di fatto, un limite all’investimento stesso. L’autore afferma che, per certi versi, il passaggio alla finanziarizzazione dell’economia è stato dettato dalla necessità di rivolvere il problema dell’eccedenza (plusvalore economico) dinanzi ai limiti, spaziali, di mercato e produzione, la finanziarizzazione quindi della rendita fondiaria e immobiliare con il relativo affermarsi dell’accumulazione e del reinvestimento del capitale per mezzo dell’urbanizzazione.

La fase successiva di questo processo, spiega Grimaldi, è rappresentata dal prevalere della rendita differenziale, contraddistinta da una valorizzazione delle proprietà immobiliari già afferenti al contesto urbano: il cambio delle destinazioni d’uso delle strutture esistenti o la riqualificazione di interi quartieri tramite rigenerazione urbana, in molti casi, secondo l’autore, assegna ai capitalisti enormi vantaggi e profitti relativi alle plusvalenze immobiliari.

Con il sopraggiungere della rendita pura, avviene dunque una sorta di distacco tra finanza e forma propria della città, tra valore d’uso e moltiplicato di scambio. D’altronde, come viene ampiamente spiegato nel saggio, il premio di liquidità della moneta – la possibilità di essere scambiata senza perdita di valore – in passato si era mantenuto maggiore rispetto al costo di mantenimento. In una situazione di iper inflazione però la moneta supera il premio di liquidità e riduce la propria funzione di “riserva di valore” assumendo uno stato liquido. Pertanto, altri beni, come quelli immobiliari, diventano beni-moneta, come è avvenuto a Manhattan dove spesso ci si riferisce ad alcune abitazioni di lusso come “casseforti nel cielo” per via del loro elevato valore.

Come ha rimarcato Saskia Sassen quindi, nel XXI secolo, “le città divengono l’espressione spaziale di una vera e propria politica economica diretta trans-nazionalmente, dalle società immobiliari e finanziarie più aggressive”[2]. 

“La macchia urbana” di Michele Grimaldi: conclusioni

Complessivamente il saggio presenta diversi punti d’interesse che sono legati soprattutto a un approfondimento, condotto con una profondità storica, sui fenomeni principali legati all’urbanizzazione, come lo sviluppo della città, dalla sua nascita, al fordismo, a oggi, la speculazione immobiliare o la segregazione razziale.

Infine, sono presenti nel libro almeno tre temi notevoli e meritevoli di approfondimento sui quali il lettore dovrebbe porre l’accento: la città globale, il sistema capitalistico del mercato immobiliare e le diseguaglianze. Essendo la città uno specchio nel quale si riflettono le contraddizioni delle società umane, e in particolare alcuni dei temi cruciali legati ai modelli politici che, nelle varie sfumature, i maggiori paesi del mondo hanno adottato, il punto di osservazione delle trasformazioni urbane rappresenta, di fatto, una straordinaria chiave di lettura per comprendere quali siano le maggiori sfide politiche che la prossima classe dirigente dovrà affrontare. E i tre temi accennati sono emblematici e segnalano problematiche che i decisori politici non potranno eludere e che genereranno in futuro conflitto sociale.

In conclusione, questo saggio è un utilissimo strumento di lettura di un ambito cruciale della società per tutti coloro che sono interessati a comprenderne le dinamiche o intervenire per modificarle attraverso il proprio ruolo sociale.


[1] S. Sassen, The Global City, Princeton University Press, Princeton 2001

[2] S. Sassen, Op.Cit.


Crediti immagine: da David Rodrigo [CC0 Creative Commons], attraverso unsplash.com

Scritto da
Alberto Bortolotti

Laureato in Architettura con una tesi di urbanistica al Politecnico di Milano, è Consigliere Iunior dell’Ordine degli Architetti di Milano. Collabora con il Politecnico di Milano e ha svolto il proprio apprendistato presso lo studio del Commissario Presidenziale per la Politica Architettonica Coreana Seung H-Sang. È autore di Modello Milano? Una ricerca su alcune grandi trasformazioni urbane recenti (Maggioli 2020).

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