Machiavelli, o il disvelamento dell’economia politica
- 06 Marzo 2014

Machiavelli, o il disvelamento dell’economia politica

Scritto da Fabio Gualandri

7 minuti di lettura

Reading Time: 7 minutes
“Volendo riconoscere la virtù di uno spirito italiano, era necessario che la Italia si riducesse nel termine che essa è nel presente […] senza capo, senza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa; ed avessi sopportato d’ogni sorte ruina. Aspetta qual possa essere quello che sani le sue ferite e ponga fine a sacchi di Lombardia, alla taglie del Reame e la guarisca dalle piaghe”.
Queste righe tratte dalle ultime pagine del Principe, potrebbero tracciare il paesaggio devastato del primo scorcio del secolo XXI invece sono la compassionevole descrizione della penisola al tramonto del Rinascimento in cui si animarono le gesta diplomatiche ed intellettuali dello scrivano fiorentino. Qui apparentemente non si discetta d’economia nell’accezione che la modernità ha attribuito al termine d’etimo classico ma si lascia scorrere in filigrana il protagonista dell’opera, convitato di pietra di qualsiasi discorso sui rapporti umani di scambio oggi affollato da una torma di modelli quantitativi e convalidato da misurazioni esatte: il potere politico.
Jurgen Habermas¹ nelle “Theorie des kommunikativen Handels”, unisce in imperituro matrimonio politica ed economia, essenzializzando il sistema moderno nelle nozze del potere con il denaro mentre etica, cultura e religione, in quanto parti del “Lebenswelt” cioè del mondo della vita come lo esperiamo, dissolvono sullo sfondo. Karl Polanyi² e Mark Granovetter³ hanno imbrigliato il fiume tumultuoso dell’economia nella società e nelle sue istituzioni, rendendo l’ “embeddedness” condizione di possibilità del funzionamento del sistema economico. Una prospettiva accettata dalla sociologia e dall’antropologia ma non dai sacerdoti del nomos oeconomicus.
Dall’alba della democrazia, svanita la supremazia della Chiesa e della nobiltà o del monarca, la vox populi che inizialmente traeva legittimazione dal potere assoluto chiamato Dio è divenuta almeno sul piano teorico l’estrema ratio della società umana, ma il Politico nelle sue sembianze assembleari negli Stati moderni è un sovrano rinchiuso nel castello, confinato al ristretto orizzonte nazionale e sottoposto in una relazione quasi vassallatica a sempre più forti vincoli verso entità esterne.
L’autorità suprema assunta nella volontà popolare è compressa dalle regole dettate dalla conformazione neo-liberista delle organizzazioni internazionali basate sul Washington consensus, che assestano il potere decisionale economico a un livello superiore e sovranazionale. In questa impalcatura globale si è potuto compiere il processo si privatizzazione e smantellamento dell’elemento statale nell’economia, insieme ad un impressionante sequela di acquisizioni straniere nei paesi più fragili, dovuto alla debolezza delle classi imprenditoriali e aggravato dalla cronica instabilità politica.
In Italia la forza dei sindacati e un generale consenso su politiche assistenzialiste e di impronta keynesiana all’interno dei partiti repubblicani permeava l’ambiente politico nazionale verso un generale indirizzo sociale delle politiche economiche, una discreta autonomia e un ruolo chiave dello Stato, anche se quest’ultimo in progressiva perdita di legittimità a causa della corruzione e del malgoverno.
La fine dei “Trente glorieuses” sancita dalle crisi petrolifere, dall’aurora della globalizzazione e dallo sviluppo dei processi produttivi post-fordisti, ha creato un retroterra socio-economico instabile e paludoso, sotto il quale è stato possibile rielaborare teorie più datate, sviluppate in ambienti quali la Mont Pelerin Society e risalenti alla scuola austriaca di Hayek e Von Mises dei burrascosi anni Venti. La Scuola di Chicago e il suo epigono più celebre Milton Friedman estremizzarono e pietrificarono il dibattito aperto su benefici e svantaggi del lassez-faire in un monetarismo purista e arcigno giustificandolo come l’inevitabile evoluzione darwiniana del liberalismo economico smithiano e ricardiano, al grido ossessivo di meno Stato e più mercato.
Si è trattato di un vasto esperimento socio-economico avviato nei laboratori inglesi e cileni per effondersi su gran parte del pianeta, cristallizzato dalle politiche di aggiustamento strutturale e dalla riscrittura dei principi su cui si erano fondati i trattati internazionali. Una operazione dal largo respiro resa possibile da un diffuso clima di acquiescienza sociale, sospinto dall’individualismo consumista, irradiato dalla gentrificazione a debito e dalla conseguente apparente rigenerazione delle classi medie oppure semplicemente imposto manu militari laddove si era in predicato di scorgere il pericolo rosso.
La sostanziale adesione al dogma del “there is no alternative” tatcheriano ha offuscato la capacità di comprendere appieno la portata del cambiamento fra gli analisti e i governanti. Alla stregua degli eventi sismici che modificano a vigorosi scossoni la morfologia del territorio, l’onda travolgente del neoliberismo si è propagata attraverso una imponente macchina mediatica e un cornucopia di “think-tanks” che ha sancito anche lo spostamento definitivo del baricentro culturale mondiale verso i santuari della nuova ortodossia ideologica.
Il corso degli eventi segna delle cesure e il periodo pre-crisi del secondo decennio del nuovo millennio viveva ancora, nei sogni delle classi dirigenti e nelle attese della popolazione, nello Zeitgeist degli anni ’90, quando avevano dominato le mitologie della new economy, le teorie dell’internazionalismo liberale sulla fine della storia di Francis Fukuyama e le profezie auto-
avverantesi dello scontro fra le civiltà di Samuel Huntington.
Ma proprio nella temperie tripudiante e incerta dei lustri seguiti alla caduta del Muro, nel 1994, un papello squarcia l’innocenza preadamitica del capitale raccontato nei tomi accademici: il Rapporto Martre “intelligenza economica e strategia delleimprese”, indirizzato al governo francese e stilato da tecnici dalle più disparate provenienze, avvia una profonda riflessione sulle condizioni dell’economia in ambiente di libero scambio e una presa di consapevolezza del rapporto necessario e funzionale con la struttura pubblica.

Appaiono per la prima volta collegate in un apparato concettuale definito parole come sorveglianza e monitoraggio economico, protezione del patrimonio informativo, supporto alla presa di decisione, tecniche di influenza e spionaggio. La Scuola di Guerra economica nasce a Parigi icasticamente fra la Scuola militare e Les Invalides mentre i Dipartimenti di “intelligence economique” emanano dal Ministero dello Sviluppo economico a tutte le suddivisioni amministrative dello Stato.

La spinta al rinnovamento teoretico e pratico avveniva negli anni delle aperture dei paesi del blocco orientale, quando il muscolare
confronto nucleare fra le superpotenze lasciava posto a un sotterraneo e pervasivo conflitto a bassa intensità di molteplice natura geo – economica, cognitiva e informativa in uno scenario di instabilità, mutamento e ridefinizione di alleanze ora a geometria variabile, ben tratteggiato dal visionario saggio vergato dai colonnelli dell’Aereonautica cinese Qiao Liang e Wang Xiangsui, “Guerra senza limiti”.
Durante la seconda metà del Novecento quei saperi tecnico-scientifici e le scienze sociali che venivano insegnati nelle business schools delle grandi aziende e disposti prussianamente al servizio degli interessi nazionali passando fra le porte girevoli di colossi manifatturieri, servizi segreti e governi, si pongono allora al servizio delle prassi di aggressione competitiva, negli Stati uniti ruggenti o nell’arco di perle asiatiche coronate dal Sol levante. In questo humus nascono internet, il GPS, le nanotecnologie, i successi della ricerca medica, l’ibrido, Samsung, Toyota e persino Apple. In Europa queste conoscenze si riversano anche sull’accademia e nel grande complesso pubblico statale ministeriale, regionale dove si mettono al mondo le Nokia e le Airbus mentre i petroldollari pompano l’ascesa delle stelle finanziarie del deserto che brillano dai grattacieli sfavillanti sul Golfo Persico.
L’Unione sovietica cercava di tenere il passo per puntellare la propria pianificazione imperfetta ma sarà la Repubblica popolare cinese del periodo delle riforme a divenire una eccezionale allieva, creando organismi particolarmente sofisticati al fine d’accaparrarsi tecnologie avanzate e inondare di liquidità il ventre produttivo del Drago attraverso politiche di attrazione degli investimenti esteri e ciclopiche banche pubbliche. Fondi sovrani e giganti para-statali dai quattro punti cardinali battagliano ai giorni nostri nel “Grande
gioco” per raccogliere le ceneri dell’austerity.
Così quasi per ironia del destino, il tempo del trionfo coincide con la caduta della foglia di fico che copriva la purezza originale della distruzione creatrice schumpeteriana. Come un re nudo, il capitalismo si mostra impudicamente al mondo per quel che è,
ovvero frammentato, conflittuale e gerarchizzato, animato da una volontà di potenza indissolubilmente legata al potere statale e
spesso indirizzato verso obiettivi politici. D’altronde l’architettura della teoria neoliberista alla prova delle tempeste viene messa a dura prova anche su un’argomentazione cardine quale l’indipendenza delle banche centrali dall’esecutivo, realizzato in quel periodo nella prima esperienza neozelandese e seguito dalle filiazioni nel mondo anglosassone ma rimanendo sempre una separazione reversibile nelle fasi di difficoltà finanziaria.
La grande crisi del 2008 ha segnato un ulteriore spartiacque, un tornante del dispiegamento lineare della storia che ha generato una seconda scossa ad alta magnitudo ridisegnando la mappa del potere sapientemente costruita dall’epoca del tardo colonialismo.
Celati all’ombra dell’oscuramento dei mezzi di comunicazione, i paesi del Secondo e Terzo Mondo e gli sconfitti dalla guerra fredda, preceduti dall’abbrivio delle tigri asiatiche, divoravano lentamente fette di sistema produttivo mondiale mentre il provincialismo compiaciuto di talune classi dirigenti ha ristretto lo sguardo al piccolo e a volte tracotante mondo euroamericano nelle sue dimensioni più facilmente pensabili dalle nostre categorie socio-politiche usuali.
Scorrendo un notiziario cinese, si può apprendere che una determina del Consiglio di stato ha potuto stilare e attuare le direttive con cui entro tre anni dovranno essere rivoluzionate totalmente le infrastrutture di tutte le città, dalle metropolitane al gas, dalle comunicazioni alle reti elettriche.
Come una epifania, si manifesta plasticamente in tutta la sua ingenuità l’illusione rassicurante secondo la quale il Settentrione delimitato dalle liberaldemocrazie atlantiche poteva accomodarsi all’omega della traslatio imperii universale mentre già, non appena gli indicatori statistici e gli osservatori suggellavano il sorgere del “nuovo secolo asiatico”, riecheggiavano i vaticini obliati di Spengler, Heidegger e Jaspers sul destino crepuscolare dell’Abendsland occidentale.
Forse si tratta solo di falsi profeti o di oracoli precipitosi ma sicuramente i contraccolpi domestici della soffocante cappa europea del debito sovrano faranno presto vacillare l’ultimo baluardo teutonico dell’oltranzismo monetarista. La sua versione ordoliberale renana si presenta anch’essa nelle vesti di un Giano bifronte che impone la spada ai suoi clientes continentali ma si culla in un morbido paternalismo con robuste venature socialdemocratiche al suo interno.
Si profila dunque una ulteriore transizione geopolica ed economica, anche se ancora non culturale, verso le regioni dove all’interno di una economia mista lo Stato gioca la parte dello stratega nella regolazione dei rapporti economici e nella programmazione di lungo termine. La partita della globalizzazione è in corso e pare che i vincitori, nel Vecchio e nel Nuovo mondo, abbiano ribaltato il tavolo e cambiato le carte.
La Storia non è finita. Il Principe è tornato dalla caccia e ha ripreso lo scettro in mano.
____________________________
[1] Jurgen Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns (vol. 1: Handlungsrationalität und gesellschaftliche Rationalisierung, vol. 2: Zur Kritik der funktionalistischen Vernunft), Frankfurt a.M. 1981.
[2] Si vedano nelle traduzioni italiane i saggi di storia economica: Karl Polanyi, La grande trasformazione (1944), Einaudi, Torino 1974; Traffici e mercati negli antichi imperi. Le economie nella storia e nella teoria (1957), Einaudi, Torino 1978; Economie primitive, arcaiche e moderne (1968), Einaudi, Torino 1980.
[3] Come testo fondativo della Nuova Sociologia Economica: Mark Granovetter, “Economic Action and Social Structure: The Problem of Embeddedness”; American Journal of Sociology, Vol. 91, No. 3., November 1985, pp 481-510
[4] Jean Fourastié, Les Trente Glorieuses, ou la révolution invisible de 1946 à 1975, Paris, Fayard, 1979.
[5] Ricostruzioni recenti e autorevoli della storia della Mont Pelerin Society e delle evoluzioni del pensiero liberista: Angus Burgin, The Great Persuasion: Reinventing Free Markets since the Depression, Harvard University Press, Cambridge, MA, 2012; P.
Mirowski e D. Plehwe, The Road from Mont Pelerin: The Making of the Neoliberal Thought Collective, Harvard University Press, Cambridge, MA, 2009.
[6] Trad. it: Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1992
[7] Samuel Huntington., The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, New York, Simon & Schuster, 1996
[8] Il documento si trova in rete presso il Centre National de ressources et d’information sur l’intelligence économique et stratégique: Commissariat Général du Plan, Intelligence économique et stratégie des entreprises, La documentation française, 1994.
[9] Il volume pubblicato in Italia è una versione curata dal Gen. Mini della traduzione ad opera della Central Intelligence Agency sulla base dell’originale cinese: Qiao Liang e Wang Xiangsui, Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, Editrice goriziana, 2001.
Scritto da
Fabio Gualandri

23 anni. Dottore con lode in Scienze sociali per la globalizzazione all’Università di Milano. Laureando in Scienze cognitive e processi decisionali. Ha studiato l’area ex sovietica all’I.S.P.I. poi a Mosca, S.Pietroburgo, Odessa e Politiche pubbliche della R.P.C. presso l’Università di Pechino. Ha coordinato progetti di cooperazione europea. Parla 7 lingue straniere. Presidente commissione Affari istituzionali del C.d.Z 8 del Comune di Milano, è segretario del circolo G.D. Zone 7-8.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila!

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, è anche possibile regalare l’abbonamento. Grazie!

Abbonati ora

Seguici