“Machiavelli’s Effectual Truth” di Harvey C. Mansfield
- 22 Febbraio 2024

“Machiavelli’s Effectual Truth” di Harvey C. Mansfield

Recensione a: Harvey C. Mansfield, Machiavelli’s Effectual Truth. Creating the Modern World, Cambridge University Press, Cambridge 2023, pp. 298, 30,33 euro (scheda libro)

Scritto da Enrico Fantini

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La già abbondante bibliografia di studi machiavelliani si arricchisce da ultimo di un ulteriore tassello. Si tratta tuttavia di uno di quelli destinati a fare epoca (nel bene e nel male) e a marcare una linea interpretativa con la quale gli studiosi del segretario fiorentino dovranno confrontarsi nei prossimi anni. Non fosse altro che per il suo autore: Harvey Mansfield.

Classe 1932, oltre sei decenni di ininterrotta attività accademica trascorsa tra le aule di Harvard, si direbbe un pensatore perennemente votato alla contraddizione e al pungolo critico. Nel 2006, con i campus americani in agitazione, faceva pubblicare per la Yale University Press un volume intitolato Manliness (virilità). Strenuo difensore della tradizione occidentale, critico della woke culture, predica la necessità di un esecutivo forte per arginare quell’ircocervo inquieto e irrazionale che chiamiamo opinione pubblica. Mentre i suoi anni di apprendistato intellettuale ricadono tutti sotto il segno di Leo Strauss (raffinatissimo filosofo politico, studioso di Maimonide e Spinoza nonché, secondo luogo comune, padre nobile del pensiero neocon), i suoi lunghi anni di insegnamento sono stati spesi per formare opinion maker, filosofi politici e alti funzionari di Stato. Da Strauss Mansfield recupera il piacere di una riflessione che trova il suo punto di partenza nell’incontro (quasi intimo) con i grandi testi della tradizione occidentale per poi subito flettere verso una «speculazione» libera – a volte anche troppo – dal puntiglio filologico. È l’applicazione di quell’eccentrica ermeneutica straussiana che pone il vero nocciolo di un’opera “tra le righe” e non nella sua lettera, con il corollario che a cogliere e trasmettere tale nucleo possa essere soltanto un pari grado di Platone e Spinoza. Da qui le varie accuse di settarismo, elitismo, snobismo che ancora gravano sulle figure di Strauss e sodali. 

Machiavelli’s Effectual Thruth. Creating the Modern World è il quarto volume che l’autore dedica al segretario fiorentino. Si tratta una raccolta di saggi confezionati negli anni Dieci, eccezion fatta per due testi: The Cuckold in Machiavelli’s Mandragola e Leonardo Bruni and Machiavelli on Civic Humanism, entrambi pubblicati nel 2000. Come tutte le miscellanee assomma inevitabili ridondanze e cacofonie, scarti stilistici notevoli (sebbene l’incedere sintattico di Mansfield inchiodi sempre alla fatica – a volte improba – della lettura), argomentazioni serrate che si alternano a tesi non sempre sostenute da un adeguato apparato documentario[1]. Sul piano del metodo, Mansfield ingaggia una polemica serrata contro il contestualismo degli storici di professione (Quentin Skinner e John Pocock su tutti). Se da un lato ciò gli permette di snellire l’apparato di note, dall’altro gli consente di isolare l’autore del Principe dal suo contesto per enfatizzarne la grandezza. Ne risulta una ricostruzione basata su una storiografia filosofica tradizionale (e forse per i moderni standard, un poco asfittica) in cui si delinea un rapporto quasi esclusivo tra testi e personalità che si influenzano e si superano a vicenda. Il risultato, tuttavia, è affascinante: Machiavelli viene posto da Mansfield a perno della svolta che inaugura la modernità, a figura chiave che oblitera la tradizione antica (che si incarna nella triade Platone-Aristotele-cristianesimo) per fondare una nuova civiltà basata sul metodo scientifico (p. 35).

Tre sono i nuclei del volume: il primo riguarda il posto che Machiavelli occupa nella storia del pensiero. Il secondo concerne la sua fortuna. Il terzo inquadra il rapporto che questi intrattiene con l’antico. La tesi del libro è che il contributo più rilevante del fiorentino allo sviluppo del pensiero moderno (non solo di quello politico) risieda nella formulazione del concetto di “verità effettuale”. Si tratta di una nota formula machiavelliana (non proprio hapax, come ricerche recenti mostrano, dato il suo abbondante impiego precedente, soprattutto nelle sue varianti latine) che occorre in Principe, XV, 3. La verità effettuale si occupa di analizzare l’azione sotto il profilo della causa efficiente e del suo esito manifesto, finendo così per anticipare il concetto di “fatto”, alla base del metodo scientifico inaugurato da Bacon. Ne risulta l’immagine di un Machiavelli modernissimo più che moderno, che sfonda ogni categorizzazione storiografica della teoria politica per imporsi come capofila della tradizione liberale tout court[2].

Il secondo punto mette a fuoco (non senza forzature metodologiche) le modalità con le quali Machiavelli organizza, nei testi, le forme della sua successione. Mansfield teorizza un Machiavelli che assicura la propria egemonia sul mondo moderno attraverso la programmazione della sua stessa ricezione. Ne deriva l’applicazione di un’ermeneutica largamente improntata agli esercizi di lettura straussiani che non riesce del tutto persuasiva: l’insistita zeppa numerologica (il tredici e i suoi multipli) per giustificare riprese o scarti tematici tra Machiavelli e i suoi sodali ha più un valore affettivo nei confronti del magistero di Leo Strauss che realmente probante. Eppure, sono proprio i capitoli su Montesquieu (per respiro e densità una vera e propria monografia) e Tocqueville a contenere le pagine più suggestive e ficcanti. Di grande raffinatezza è, ad esempio, l’analisi delle modalità con le quali l’autore de L’esprit des lois pur ricusando frontalmente le derive del machiavellismo ne recupera lo spirito attraverso un’originale ripresa del concetto di interesse. Per Machiavelli l’interesse del principe si esplica nella conquista e nel mantenimento dei propri dominî; ma per perseguire tale fine è necessaria l’applicazione di una certa dose di violenza. In Montesquieu, a oltre due secoli di distanza, l’interesse risulta invece esteso a ogni interazione umana e assieme deprivato della cornice di virtù guerresche: in questo modo viene posto alla base della moderna (e pacifica) civiltà commerciale fondata sullo scambio e sulla negoziazione.

Il terzo tema del libro indaga un aspetto solo apparentemente marginale. Definire il rapporto che Machiavelli intrattiene con la cultura classica significa, nella prospettiva di Mansfield, stabilire se a fondamento della civiltà moderna vi sia la ripresa o piuttosto il definitivo superamento del patrimonio dell’antico. In un meritorio volume recentemente pubblicato, James Hankins sottolinea come alla base della moderna civiltà fondata sul riconoscimento del merito e delle competenze vi sia la riscoperta dei greci da parte dalla trattatistica politica quattro-cinquecentesca di area italiana[3]. Per Mansfield così non è: la riflessione di Machiavelli è alla base del modello di agente che opera nel mondo negoziando – attraverso procedure razionali – la massimizzazione del proprio utile. Machiavelli guarda più all’illuminismo che all’umanesimo. La tradizione greco-romana (forse un poco riduttivamente trasformata in un almanacco di virtù appese nel vuoto) in lui viene semplicemente superata senza rimpianti. 

Machiavelli’s Effectual Truth è una lettura stimolante. Dice molto su Machiavelli, fornendone un’immagine allo stesso tempo ingigantita e non ingessata dagli allori del tempo; dice molto su Mansfield e sul suo rapporto con Strauss (un rapporto che trova forse il suo punto di frattura proprio nel giudizio sul segretario fiorentino); dice molto sulla galassia del conservatorismo americano (ben più complesso e sfrangiato di quanto da questa parte dell’Atlantico si possa immaginare). Dice molto, infine, anche sulla contraddizione profonda che attraversa l’élite statunitense, da sempre divisa tra il genuino apprezzamento di una società meritocratica guidata dal perseguimento di obiettivi morali e un implacabile realismo politico.


[1] Si veda in particolare la lunga sequela di presunti discendenti di Machiavelli alle pagine 23-27, che non pare pienamente giustificata.

[2] Illuminanti in tal senso le pagine in cui Mansfield propone un confronto tra l’autore del Principe e il Leonardo Bruni della Laudatio florentinae urbis: Machiavelli è oltre Bruni perché è fuori dall’aristotelismo così come è al di là dell’umanesimo civile perché coglie il nesso (che Bruni non vede) tra interesse privato e interesse pubblico.

[3] James Hankins, Political Meritocracy in Renaissance Italy. The Virtuous Republic of Francesco Patrizi of Siena, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) – Londra 2023. Per una recensione al volume si rimanda a: “Political Meritocracy in Renaissance Italy” di James Hankins, «pandorarivista.it», 29 agosto 2023.

Scritto da
Enrico Fantini

Ha studiato Letteratura italiana all’Università di Siena (BA) e alla Scuola Normale Superiore di Pisa (MA, PHD). Attualmente è Wallace Fellow presso Villa I Tatti - Harvard University. Si occupa di letteratura, di storia delle idee, di politica.

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