“Missione economia. Una guida per cambiare il capitalismo” di Mariana Mazzucato
- 12 Ottobre 2021

“Missione economia. Una guida per cambiare il capitalismo” di Mariana Mazzucato

Recensione a: Mariana Mazzucato, Missione economia. Una guida per cambiare il capitalismo, Laterza, Roma-Bari 2021, pp. 240, 18 euro (scheda libro)

Scritto da Alessandro Venieri

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“Il ritorno dello Stato” è un adagio che ricorre a intervalli regolari nel dibattito pubblico come in quello accademico. Spesso tale proclama si avvicenda ad altrettanti manifesti mortuari in cui viene proclamata la sua morte, o obsolescenza, scatenando discussioni e opposizioni di ogni sorta[1]. Di recente è tornato in voga per via dell’ondata epidemica e delle misure economiche e finanziarie dispiegate per mitigarne gli effetti più dirompenti, a sostegno soprattutto dell’occupazione[2]. Il complesso delle iniziative di politica economica attuate nell’ultimo anno e mezzo è stato salutato quindi, non a torto, come “il ritorno dello Stato”: il Festival dell’Economia di Trento, prestigiosa vetrina di discussione capace di attrarre numerosi esperti di economia di rilievo internazionale, ha intitolato esattamente in questo modo l’edizione del giugno 2021[3].

In tale dibattito si inserisce Missione economia, l’ultimo saggio di Mariana Mazzucato (presente, tra l’altro, a Trento con l’intervento “Missione economia. Un rapporto nuovo tra pubblico e privato”). Pubblicato nell’aprile 2021 per i tipi della Laterza, il volume proclama a gran voce che lo Stato non solo è tornato, ma che è necessario in ancora maggior misura per affrontare le grandi sfide globali, come epidemie e cambiamento climatico. Il libro ha come obiettivo ambizioso quello di offrire «una guida per cambiare il capitalismo» come si può leggere nel sottotitolo, e «la ragione dell’enfasi posta su questa nuova idea dello Stato è semplice: solo il governo ha la capacità di guidare la trasformazione con la forza necessaria»[4].

Mazzucato, professoressa di “Economia dell’innovazione e del valore pubblico” allo University College of London (UCL), dove dirige il Centre for Innovation and Public Purpose, è arrivata alla scrittura di questo saggio dopo aver conseguito una serie di successi editoriali, accademici e professionali di rilievo. Il saggio Lo Stato innovatore del 2014 (originariamente intitolato The Enterpreneurial State ma poi tradotto in maniera leggermente diversa in italiano, forse per rassicurare un certo pubblico) e Il valore di tutto del 2018 hanno permesso a Mazzucato di entrare di diritto nel gotha dell’economia dell’innovazione e dello sviluppo, grazie a una visione storica di ampio respiro. Nel febbraio 2020 l’accademica italo-americana era stata nominata consulente economica nel governo Conte II, e contestualmente membro del CDA di Enel. Oltre a queste posizioni, la professoressa Mazzucato è a capo del Council on the Economic Health for All dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e membro dell’Advisory Group on a New Growth Narrative del Segretario generale dell’OCSE[5].

Missione economia vuole essere più “democratico” rispetto ai suoi due nobili predecessori, nei confronti dei quali si pone come un sunto e una lectio facilior, incorporando riferimenti ed esempi ivi già ampiamente sviscerati. Una sostanziale, e ovvia, differenza è la presenza sullo sfondo dell’emergenza Covid-19 e la risposta economico-politica messa in campo. Questo ritorno, dal punto di vista dell’autrice, deve essere innanzitutto difeso e tutelato, contro una serie di pregiudizi e ideologismi figli di una visione errata e dannosa dell’economia. La prima metà del saggio – a fare da pars destruens – è dedicata a una disamina e critica delle principali tesi sposate dai promotori di un ruolo minimo dello Stato, e risulta forse la parte più interessante dell’opera.

In particolare, il terzo capitolo è interamente riservato a una demolizione di “cinque falsi miti” che “ostacolano il progresso”, ovvero cinque idee che istruiscono spesso la retorica – se non l’azione – del pensiero ultra-liberista, quello che a volte è stato sbrigativamente indicato come neo-liberismo. Il primo mito è che il valore venga creato unicamente dalle imprese e che pertanto lo Stato si dovrebbe limitare a un ruolo di facilitatore di tale processo: ciò è falso, soprattutto da una prospettiva storica, laddove il periodo d’oro dei “trenta gloriosi” è stato segnato da enormi investimenti pubblici che hanno avuto ricadute positive nel breve, medio e lungo termine.

Una seconda falsa credenza da sfatare è che l’unico scopo dello Stato sia quello di correggere i fallimenti di mercato, un’azione di cosiddetta “market fixing”. Al contrario, lo Stato dovrebbe essere coinvolto anche nel “market shaping”, ovvero dovrebbe riuscire a identificare una direzione alla crescita, dando una forma ben definita al mercato stesso, e una direzione per districarsi nel difficile mondo dei consumi delle società del benessere.

Ulteriore falsa convinzione è che lo Stato sia o debba essere amministrato come se fosse un’azienda: questo è forse uno delle asserzioni più peculiari, in quanto rappresenta un punto di tangenza tra posizioni ultraliberiste e posizioni stataliste di estrazione socialista. In particolare, Mazzucato punta il dito contro la scuola di pensiero del New Public Management (NPM) che, a partire dagli anni Ottanta e Novanta, ha introdotto criteri di corporate governance dedotti dal settore privato[6]. Mazzucato evidenzia tre sviluppi particolarmente problematici che derivano dal NPM: «a) la privatizzazione delle aziende pubbliche; b) il decentramento e/o la liquidazione dei grandi enti pubblici; e c) l’introduzione di metriche come la retribuzione legata ai risultati»[7]. Collegata a questo nuovo paradigma di gestione del settore pubblico vi è anche – e qui passiamo a un’ulteriore credenza denunciata dalla professoressa Mazzucato – la convinzione che l’outsourcing e la privatizzazione siano un modo rapido per far risparmiare denaro ai contribuenti e mitigare il rischio a cui sono esposte le imprese pubbliche. Il caso di studio proposto è il Regno Unito, dove a partire dal primo governo Thatcher la proprietà di un numero crescente di aziende pubbliche venne trasferita al privato: il servizio postale Royal Mail, le compagnie nazionali ferroviarie, aziende nel settore delle telecomunicazioni e delle risorse naturali[8]. Fra il 1980 e il 1996, il valore delle privatizzazioni messe in atto dal Regno Unito ha rappresentato il 40% del valore totale di tutti i beni privatizzati dai paesi OCSE[9].

Questo trend non è stato invertito dal New Labour, che ha deciso di ricorrere a partenariati pubblico-privati e all’outsourcing piuttosto che al trasferimento dei diritti di proprietà ai privati, con dei costi che sono costantemente cresciuti nel corso degli anni rispetto ai corrispettivi programmi a gestione interamente pubblica[10]. Un fenomeno simile, anche se dall’origine completamente diversa, ha avuto luogo anche in Italia, con l’ondata di privatizzazioni dei primi anni Novanta aventi come principale risultato lo smembramento dell’IRI. Il tema, anche se generalmente meno controverso e dibattuto rispetto alle dismissioni inglesi, è tornato in anni recenti di grande attualità a livello di dibattito politico, e in letteratura viene oggi considerato in maniera più cauta rispetto alle analisi precedenti[11]. Il fenomeno dell’outsourcing, d’altro canto, ci riguarda da vicino. Basti pensare alla vicenda risalente al marzo del corrente anno, quando con grande clamore mediatico il MEF appaltò alla società McKinsey, la più grande società di consulenza manageriale al mondo (e una delle “Big Three” assieme a Boston Consulting Group e Bain & Company), uno studio dei recovery plan sviluppati da altri paesi europei[12]. E ancor più controversa nel dibattito pubblico nazionale è – alla luce dei recenti sviluppi – la decisione politica di alcune amministrazioni regionali, prima fra tutte quella lombarda, di articolare il proprio servizio sanitario attorno a una prepotente presenza del privato.

All’interno del libro, in posizione mediana, è collocato come case study il Progetto Apollo, considerato paradigmatico come «grande esercizio di risoluzione dei problemi, con il settore pubblico al posto di comando, ma sempre a stretto contatto con le aziende – piccole, medie e grandi – con cui ha lavorato alla soluzione di centinaia di singoli problemi»[13]. Il Programma Apollo dà l’abbrivio alla seconda parte del saggio, quella che dovrebbe rappresentare la pars construens del volume, dove l’autrice si focalizza sul concetto di “missione”, da intendersi come degli obiettivi ambiziosi ma realistici capaci di ispirare fiducia nell’opinione pubblica e intorno a cui articolare l’azione governativa – in primis – e del settore privato per affrontare le maggiori sfide sistemiche del nostro tempo. «Una missione deve essere audace e stimolante e avere al tempo stesso un’ampia rilevanza sociale. Deve essere chiara nell’intenzione di sviluppare soluzioni ambiziose che migliorino direttamente la vita quotidiana delle persone, e saper stimolare l’immaginazione […] le missioni devono anche avere una direzione chiara, misurabile e delimitata nel tempo, cosa che deriva dalla definizione di un obiettivo concreto con una tempistica specifica»[14].

Uno strumento per focalizzare meglio le missioni e tutte le loro implicazioni su vari piani (spillover, tecnologie, logistica, policy tool) sono quelle che Mariana Mazzucato chiama “mappe di missione”, diagrammi per visualizzare in maniera schematica le relazioni tra le varie parti delle missioni. Le mappe presentano alla propria base un portafoglio di progetti e sperimentazioni bottom-up, sopra cui è redatta una lista di settori capaci di innovarsi con spillover positivi l’uno sull’altro, delle missioni mirate e chiare su cui focalizzarsi e, in posizione apicale, le grandi sfide da affrontare. Un intero capitolo viene dedicato alla disamina di varie mappe di missione, imperniate su alcuni dei 17 obiettivi delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile[15]. L’autrice così ci propone una mappa della missione “100 città europee a zero emissioni di carbonio entro il 2030”, legata alla sfida del cambiamento climatico[16]. O un’altra ancora per la missione “un oceano senza plastica”, che contribuisce ovviamente a vincere la sfida “oceani puliti”.

Le tre missioni cruciali, secondo l’accademica italo-americana, sono il “green new deal”, “innovare per garantire l’accesso alle cure mediche” e “ridurre il divario digitale”: esse hanno il merito di individuare dei problemi che possono catalizzare la collaborazione tra molteplici settori. Il ruolo dello Stato e della governance pubblica, è cruciale per la vittoria in queste sfide: uno Stato capace di plasmare il mercato (market shaper) e di agire da investitore di prima istanza, con finanziamenti pazienti e a lungo termine, può attivare una nuova dinamica ecosistemica pubblico-privata, con degli effetti di “crowding in”, attirando ovvero ulteriori investimenti privati che possono rafforzare quelli pubblici, sommandosi a essi.

Il saggio risulta ottimo per un primo approccio con il lavoro di Mazzucato e un’opportunità per il pubblico non specialistico di acquisire familiarità con alcuni dei temi maggiormente dibattuti riguardo l’intervento pubblico in ambito economico: come già ricordato, l’attività di debunking effettuata nella prima parte del volume è puntuale ed efficace. Apprezzabile è anche il tentativo di inserirsi in dibattiti contemporanei di rilievo, come la transizione green e il digital divide. Il saggio è anche un buon modo per rispolverare alcuni classici, in particolare Keynes e Schumpeter, i quali ricorrono in numerosi snodi argomentativi. Notevole è però l’assenza di autori fondamentali per quanto riguarda la nozione di “creazione” e “formazione” del mercato, come Polanyi in primis e il suo La grande trasformazione, ma anche autori più recenti come Mark Granovetter e Steven Vogel[17]. Eppure la nozione di embeddedness e quella del mercato come artificio sociale e istituzionale sono molto vicine ad alcuni principi esposti nel saggio, che richiamano alla mente l’espressione “fabricated markets” utilizzata da Vogel[18]. Destano perplessità alcune semplificazioni teoriche ed espositive, come quella del sesto capitolo, dove l’autrice fa un uso disinvolto della Modern Monetary Theory per giustificare politiche monetarie oltremodo espansive finalizzate al finanziamento di alcune missioni considerate imprescindibili[19]. Vi sono inoltre alcuni esempi e richiami storici – vedasi il riferimento alle società e ai modelli politici della Grecia antica o della Roma repubblicana e imperiale, sempre nel sesto capitolo – che risultano approssimativamente espressi e che avrebbero necessitato di una migliore definizione[20]. Talvolta, inoltre, l’invettiva contro i consulenti manageriali cozza con linguaggi, immagini e proposte direttamente dedotte da quell’universo, come correttamente sottolineato dal Guardian, e si ha la sensazione che la sostanza sia troppo spesso sacrificata sull’altare di un modus narrandi pop[21].

Ciononostante, alcuni principi richiamati in coda al saggio, come la creazione collettiva del valore, o ancora il continuo riferimento a nuove forme di coinvolgimento del pubblico nell’individuazione dei grandi obiettivi sociali da perseguire, meritano una riflessione più approfondita e sono correttamente posti in rilievo. Allo stesso tempo, la messa in risalto delle contraddizioni di un modello economico, sociale e giuridico che mette in mano ad attori privati le chiavi per estrarre in maniera quasi-monopolistica rendite crescenti dal pubblico, fa di questo volume un utile contributo, affine ad altri studi che di recente hanno cercato di analizzare e spiegare il fenomeno[22].


[1] «The Economist», The virus means the big state is back.

[2] «LSE Review of Books», The Return of the State: Restructuring Britain for the Common Good edited by Patrick Allen, Suzanne J. Konzelmann and Jan Toporowski, 10 agosto 2021.

[3] G. De Felice, Il ritorno dello Stato. Imprese, comunità, istituzioni, 2021.

[4] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, p. 186.

[5] Biografia e CV di Mariana Mazzucato.

[6] C. Hood e R. Dixon, A Government That Worked Better and Cost Less? Evaluating Three Decades of Reform and Change in UK Central Government, Oxford University Press, Oxford 2015.

[7] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, p. 37.

[8] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, p. 38.

[9] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, p. 42.

[10] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, p. 39.

[11] A. Capussela, Declino. Una storia italiana, Luiss University Press, Roma 2019, pp. 29-30.

[12] «IlSole24Ore», Recovery Plan, scontro su McKinsey consulente del governo. La nota del Mef: «Governance Pnrr in capo a ministero e amministrazioni», 6 marzo 2021.

[13] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, p. 7.

[14] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, p. 112.

[15] United Nations, 17 Goals.

[16] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, p. 106.

[17] K. Polanyi, The Great Transformation: The Political and Economic Origins of Our Time, Beacon Press, Boston 1944.

[18] S. K. Vogel, Marketcraft: How Governments Make Markets Work, Oxford University Press, Oxford 2018, pp. 117-141.

[19] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, pp. 166-170.

[20] M. Mazzucato, Missione economia, Laterza, 2021, pp. 154-155.

[21] «The Guardian», Mission Economy by Mariana Mazzucato review – the return of the state.

[22] K. Pistor, Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza, Luiss University Press, Roma 2021.

Scritto da
Alessandro Venieri

Ha conseguito una laurea triennale in storia all’Università di Bologna. In seguito, ha ottenuto il doppio titolo magistrale in scienze internazionali e diplomatiche all’Università di Bologna e in Public Policy alla Higher School of Economics di Mosca. Dopo aver studiato alla London School of Economics (MSc in International Political Economy) ha conseguito un Advanced Diploma in Economics e un MPhil in Economic and Social History all’Università di Cambridge. Attualmente lavora come research officer all’EUAA, l’Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo e studia filosofia all’Università di Macerata.

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