“Il Monte dei Paschi nel Novecento” di P. F. Asso e S. Nerozzi
- 12 Marzo 2017

“Il Monte dei Paschi nel Novecento” di P. F. Asso e S. Nerozzi

Recensione a: Pier Francesco Asso e Sebastiano Nerozzi, Il Monte dei Paschi nel Novecento. Storia di una banca pubblica (1929-1995). Donzelli, Roma 2016, pp. 385, 30 euro (scheda libro)

Scritto da Gianluca Piovani

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Il volume oggetto della presente recensione si occupa del Monte dei Paschi in un’ottica diacronica. Particolare rilievo viene dato alle sue interazioni con i processi storici, anche da un punto di vista di regolamentazione e giuridico oppure di rapporti con la politica e con il contesto istituzionale ed economico dei diversi periodi che ha attraversato. In questo modo il volume tratta in realtà non solo del Monte dei Paschi ma in sostanza dell’intero sistema bancario italiano: i casi e le vicende attraversate dal Monte dei Paschi sono quelli che similmente attraversano gli altri attori del sistema, magari da posizioni diverse ma sempre all’interno dello stesso contesto. La concretezza dell’analisi storica e dei fatti permette al lettore non solo di conoscere e di capire le singole vicende, ma di formarsi gli strumenti critici necessari per proiettare questi schemi di valutazione in altri contesti e tempi, compresi magari il presente ed il futuro. Con la presente recensione spero di mettere in luce entrambi gli aspetti della fondatezza dell’analisi diciamo “micro” del singolo caso Monte dei Paschi ma anche “macro” riguardanti l’evoluzione dell’intero sistema bancario e le dinamiche politiche ed economiche che lo hanno mosso.

Agli inizi del Novecento il panorama bancario italiano era molto variegato ed esistevano numerose categorie di banche classificabili in particolare in base alla dimensione, alla proprietà pubblica o privata e al tipo di attività svolta. Tra queste diverse categorie una era quella delle Casse di Risparmio, costituite con questo nome nell’Ottocento ma definite e regolate dal legislatore a fine secolo, il cui obiettivo non era il fine di lucro. Le Casse raccoglievano denaro soprattutto tra il popolo minuto e lo reinvestivano con criteri prudenziali, educando la popolazione al risparmio e riconoscendo un modesto interesse che incrementava la somma depositata.

Tali proto banche in sostanza non rispondevano come le moderne società per azioni al fine di lucro ma nascevano intorno ai conferimenti di comuni, gruppi di cittadini o monti di pietà costituiti con il concorso di istituzioni ecclesiastiche.  La Cassa di Risparmio inizialmente era quindi un’istituzione che si costituiva spontaneamente nei territori nelle forme più varie per raccogliere piccoli risparmi dal popolo minuto; le somme così raccolte venivano impiegate, oltre che in piccoli finanziamenti  al contadino che aveva un’annata cattiva e non sapeva dove rimediare denaro per sostenersi fino al prossimo raccolto o all’artigiano che aveva bisogno di effettuare un investimento ma non disponeva attualmente dei mezzi liquidi, in titoli di Stato e in operazioni fondiarie garantite da ipoteche. In tutti questi casi vi era il bisogno pratico e concreto di un prestatore e tale prestatore veniva quindi creato dalla comunità stessa attraverso gli strumenti di cui di volta in volta si era dotata: vuoi il comune, vuoi una congregazione ecclesiastica, vuoi un gruppo di influenti e ricchi cittadini. Ciò considerato è chiaro come l’assenza di fine di lucro e l’attenzione per l’utilità sociale fossero tratti caratterizzanti delle Casse. Tale “imprinting” iniziale influenzerà a lungo questi istituti che si svilupperanno secondo schemi di proprietà non privata ma pubblica così come ad esempio testimoniano molti dei loro Statuti che attribuivano ad enti locali ed istituzioni pubbliche la nomina dei componenti dei loro organi decisionali ed amministrativi (nel caso delle Casse di origine privata queste nomine avvenivano per cooptazione).

Altro tratto del sistema bancario italiano che viene ereditato da questo periodo storico è il suo essere frazionato. Ogni comune costituiva infatti i suoi istituti secondo le sue proprie modalità ed assetti legislativi, proprietari e statutari. Unificare da un punto di vista legislativo tale multiforme realtà fu (e forse tuttora è, pensiamo per esempio alla recente riforma di Renzi riguardante le Banche di Credito Cooperativo) un’operazione molto complicata sia da un punto di vista tecnico che politico. L’intervento del legislatore inoltre non si contraddistinse per chiarezza e decisione: la legge infatti si occupò più volte di ridefinire i caratteri delle Casse, trattandole talvolta come beni dello Stato e talaltra invece parificandole alle altre realtà private. I due differenti inquadramenti rispondono a due diverse esigenze: da un lato vi è infatti il fine di tutelare il forte interesse pubblico nel settore mentre dall’altro vi è quello di privatizzare e normalizzare il sistema bancario parificando tutti gli istituti. Esempi di interventi sulle Casse sono quello del 1926, che stabilì che le più piccole Casse (misurate in termini di raccolta) dovessero fondersi per incorporazione con la Cassa del rispettivo capoluogo di provincia, e quello del 1936, che le classificò unitamente agli altri Istituti di credito ordinario mantenendone però la personalità giuridica di Enti morali e di conseguenza anche una loro sostanziale inalienabilità.

Il Monte dei Paschi, all’inizio del Novecento, era paragonabile ad una Cassa di Risparmio che distribuiva parte dei propri utili con erogazioni liberali a favore della comunità senese, che per Statuto ne nominava la Deputazione, il Provveditore e il Presidente (semplificando il Consiglio di amministrazione, il Direttore ed il Presidente). Nel periodo tra il 1926 ed il 1936 il legislatore intervenne sull’intero sistema bancario a seguito della crisi economica che, facendo entrare in crisi le imprese diminuiva la riscuotibilità dei crediti delle banche: queste avevano in portafoglio quantità significative di azioni delle aziende in crisi che, svalutandosi, diminuivano il patrimonio della banca e quindi il valore delle sue azioni. Le azioni di queste banche erano possedute dalle stesse aziende in crisi, e quindi il loro valore, diminuendo, diminuiva ulteriormente il patrimonio delle aziende in crisi; quest’ultima diminuzione influiva a sua volta sul patrimonio delle banche e così via.

A spezzare i nessi di causa ed effetto fu un coacervo di leggi, tra le quali quelle con cui furono fondati IMI (Istituto Mobiliare Italiano) ed IRI (Istituto per la ricostruzione industriale): a questi enti furono conferite le azioni che inquinavano i portafogli delle banche e la loro storia proseguirà gloriosamente nel dopoguerra, quando su queste ceneri lo Stato fonderà la sua politica di partecipazioni statali a servizio della nuova industria italiana. Con un altro intervento il legislatore impose che le banche si dovessero dividere in banche autorizzate a gestire il credito ordinario (a breve termine) ed in banche autorizzate a gestire il credito commerciale (a medio/lungo termine); questo intervento, anch’esso volto a rendere più stabile il sistema bancario, era basato sulla logica di dividere chi raccoglieva i fondi dei piccoli risparmiatori (raccolta a breve) e coloro invece che investivano anche in azioni di imprese (impiego a lungo termine). La commistione in un unico istituto dei due tipi di banca di cui sopra, pratica comune prima della riforma, rendeva le banche più vulnerabili a cambi del ciclo economico ed a shock di liquidità a causa dei due diversi orizzonti temporali tipici di ciascun tipo di banca.

I conferimenti azionari ad IRI ed IMI liberarono le banche della zavorra che impediva loro di rimettersi in salute, ma la situazione dei sistemi bancario ed economico italiano restava ancora critica. Fu questo lo scenario in cui MPS, piccola banca locale che aveva mantenuto un’alta patrimonializzazione e che aveva evitato gli incroci azionari incestuosi con l’industria, venne chiamata più volte dalle autorità a salvare altri Istituti in crisi. A cavallo del 1930 il Monte dei Paschi divenne la prima banca italiana per numero di sportelli (passati dalla trentina del 1912 ai duecentocinquantadue del 1938), finanziò i nascenti IMI ed IRI e partecipò alla riconversione del debito pubblico come uno dei principali attori. Nel 1936 viene classificata ex lege tra gli Istituti di diritto pubblico e non tra le Casse di Risparmio, pur continuando ad avere una struttura societaria più simile a queste che ad una SpA.

Passate le distruzioni e le incertezze del secondo conflitto mondiale, Monte dei Paschi di Siena entrò nel dopoguerra dotata di una struttura atta al Credito Fondiario e quindi a servizio della ricostruzione. L’istituto senese conobbe tuttavia alcune difficoltà di espansione. Queste furono dovute sia alla politica dell’organo di vigilanza che era poco se non per nulla favorevole ad una guerra di sportelli tra le banche sia a considerazioni di carattere politico, incentrate sulla considerazione che il “proprietario” di MPS era il comune di Siena, governato da una sinistra invisa e temuta dalle forze che, direttamente e indirettamente, sostenevano il governo. Questi fatti non impedirono una crescita patrimoniale che risultò in seguito molto utile quando il mercato venne liberalizzato.

La situazione iniziò a cambiare nella seconda metà del decennio 1980-1990 quando fu gradatamente liberalizzata l’apertura di nuovi sportelli. La diminuzione dei vincoli valutari accompagnò la finanziarizzazione e l’internazionalizzazione del settore bancario con una crescita, anche disordinata, alla quale Monte dei Paschi partecipò con convinzione sia direttamente che tramite un numeroso gruppo di società partecipate.

Molto più recentemente con un processo che dal 1990 al 1993 condusse al nuovo TUB (Testo Unico Bancario) il legislatore spinse le Casse di Risparmio e gli Istituti di diritto pubblico a scorporare l’attività bancaria, che doveva essere quindi conferita ad una nuova Società per Azioni, dall’attività pubblica, che doveva essere attribuita ad una Fondazione – ente morale proprietaria della SpA. Ancora una volta la natura bipolare di questi particolari Istituti viene confermata dal legislatore, che in questo caso addirittura tenta di irreggimentare questo bipolarismo dando vita a due entità distinte ma legate dagli assetti proprietari. L’intenzione della legge è quella di separare due momenti: il primo quello dell’esercizio dell’attività bancaria, ed il secondo il suo scopo e la destinazione degli utili. L’esercizio dell’attività bancaria è posta in capo alla SpA, la quale quindi auspicabilmente dovrebbe essere condotta seconda criteri di mercato e di efficienza. Solo in un secondo momento interviene la Fondazione, la quale percepisce gli utili distribuiti dalla banca SpA e decide a quali attività benefiche e di utile comune destinarli.

Lo scopo della legge era quindi di portare progressivamente il mercato all’interno di questa parte della realtà bancaria italiana prevedendo la possibilità che la Fondazione vendesse quote della banca rendendo quindi contendibili e non più inalienabili le ex Casse ora SpA: poiché queste operazioni di natura finanziaria avrebbero fatto emergere plusvalenze da sottoporre a tassazione, e quindi nessuno avrebbe aderito, venne prevista una specifica esenzione dalla fiscalità il che fa in certo modo notare quanto l’argomento stesse a cuore al legislatore. L’avvicinamento del mercato, si pensava, avrebbe inoltre facilitato l’integrazione nella realtà europea e reso possibile per queste banche capitalizzarsi ricorrendo all’ampia liquidità dei mercati, rendendosi più forti, stabili e non dipendenti da aiuti pubblici in caso di difficoltà e crisi economiche.

Con la stessa riforma bancaria del 1990/1993 il nuovo Testo Unico Bancario tornerà ad ammettere le banche universali al fine di adeguare le norme italiane a quelle europee, permettendo alle banche nazionali di competere ad armi pari nel nuovo mercato allargato. L’apertura al mercato implicita in questo nuovo assetto legislativo permise al Monte dei Paschi di continuare forti politiche di espansione che lo fecero giungere a quotarsi nel 1999 con un’offerta pubblica di acquisto che ricevette domande pari a 10 volte l’offerta totale di titoli.

Come sappiamo gli anni della crisi hanno poi messo in luce le debolezze e le criticità del Monte dei Paschi che ad oggi è un istituto in grave difficoltà. Sempre ad oggi, come in realtà da sempre, il dibattito riguardo il migliore assetto legislativo da adottare nei confronti del sistema bancario in genere e della sua apertura al mercato è in discussione. Il volume oggetto di questa recensione non si occupa degli ultimi scoop giornalistici e delle news più fresche ma riporta il lettore ad una riflessione più profonda sulle radici storiche del modello bancario italiano attraverso l’interessante caso del Monte dei Paschi. Chiaramente il contenuto del libro non è quello dei bilanci o dei verbali del Monte, o un cumulo di statistiche a carattere compilativo. Gli autori svolgono la trama come se fosse un romanzo storico, dove ogni capitolo copre progressivamente un diverso periodo economico. Ogni capitolo richiama e spiega l’importanza dei rapporti del Monte dei Paschi con la città di Siena, quelli all’interno della Deputazione o tra questa e la città, affronta e approfondisce senza remore anche i rapporti con gli organi del Governo, talvolta dirigisti o perfino sottilmente ostili, e con Banca d’Italia, con la quale nascono conflitti legati alla politica di concessione di apertura degli sportelli o al rispetto dei vincoli e dei massimali imposti alle banche nei periodi di crisi valutaria.

In questo modo la storia del Monte dei Paschi incrocia alcuni episodi importanti della storia d’Italia, dal finanziamento della guerra a quello del debito pubblico, dal miracolo economico al fenomeno del terrorismo, dalla guerra fredda ad un certo clima di ostracismo verso le forze politiche della sinistra in Italia nell’immediato dopoguerra: sono questi eventi e i loro risvolti anche politici che pesano sulle scelte della dirigenza del Monte e che influenzano i feedback che il Monte ne riceve in termini economici e patrimoniali. L’aspetto economico è inevitabile ma non richiede conoscenze specialistiche in quanto i temi contenuti nel libro sono di volta in volta spiegati in modo da mantenere un tono divulgativo: una conoscenza dei tratti storici essenziali di questo periodo è invece opportuna, proprio per dipanare la matassa sottostante che richiama esplicitamente i fatti ma, restando correttamente nell’ambito del tema dato, non li esplora nei dettagli.

È un libro ricco di spunti diversi e chiaro nell’esposizione, che permette ad ognuno di noi di ripercorrere alcuni pezzi della storia d’Italia con i risvolti politici ed economici legati all’epoca in cui avvengono. È dalla rivisitazione di questo intreccio che il lettore potrà rimeditare gli eventi trascorsi, approfondire gli spunti ricevuti ed esprimere o rivedere i propri giudizi sulle singole vicende e sui loro protagonisti. Tale riflessione può riguardare sia il contesto storico e politico che quello economico. Partendo da una solida analisi dei fatti e della storia è infatti poi possibile ed estremamente gustoso per il lettore curioso ricostruire le ricadute dei fatti in termini più economici, finanziari e politici realizzando l’intreccio tra queste realtà e sviluppare un proprio punto di vista diacronico sul divenire di questi ambiti, magari anche proiettandosi nel futuro.

Scritto da
Gianluca Piovani

Nato nel 1991 a Bologna, ha conseguito la laurea magistrale in Finanza Intermediari e Mercati presso l’Università di Bologna. Durante il periodo universitario ha fatto parte del Collegio Superiore dell’Università di Bologna. Ha collaborato con la rivista elettronica «Il Chiasmo». La sua esperienza lavorativa inizia con ricerca economica in Prometeia e prosegue in Banca di Bologna con la gestione patrimoniale. Attualmente lavora per la multinazionale Crif e si occupa di servizi informatici per banche.

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